Dicembre 2024: nel settore automotive è successo di tutto. E, più o meno, potrebbe accadere lo stesso a gennaio 2025. Ma andiamo con ordine. L’ultimo mese dell’anno si è aperto con l’addio forzato da Stellantis dell’amministratore delegato Carlos Tavares, ben oltre un anno prima della scadenza del suo contratto. Prima domenica di dicembre e primo primo botto verso l’ora di cena, dunque.
Un’uscita di scena all’apparenza salutare per il gruppo, ora nelle mani del presidente John Elkann che ha scelto un “vecchio” dell’era Sergio Marchionne, cioè Richard Palmer, come consulente personale. Dal punto di vista operativo due i manager impegnati: Antonio Filosa, negli Usa, e Jean-Philippe Imparato in Europa. Uscita di scena salutare, dicevo, perché in pochi giorni Stellantis è riuscita a ricucire il rapporto con il Governo, presentando il “Piano Italia 2025 – 2030” (al “tutto elettrico” messo in conto dall’ex amministratore delegato si unisce, per le novità annunciate, anche la ragionevole opzione ibrida) che prevede, però, tempi di attuazione troppi lunghi (si arriva al 2028), ma con l’impegno preciso di mantenere l’Italia al centro delle strategie produttive. Non resta che attendere i primi eventuali risultati anche se c’è la consapevolezza che il 2025 sarà un anno molto difficile.
Il “dopo Tavares”, poi, ha riportato in un battibaleno Stellantis all’interno di ACEA, l’Associazione dei costruttori europei di veicoli, uscendo così da un “isolazionismo” pericoloso in cui l’ex amministratore delegato aveva trascinato il gruppo (e qui il presidente Elkann avrebbe dovuto farsi sentire). Mano tesa, poi, negli Usa al sindacato UAW con il ritiro dei licenziamenti nello stabilimento di Belvidere. Insomma, un cambio di passo veramente radicale, ma deciso con eccessivo ritardo. Da tempo era chiaro che i piani di Tavares, dai punti di vista produttivo, delle scelte strategiche, delle vendite e dei rapporti istituzionali faceva acqua da tutte le parti.
Dicembre 2024 che ha visto partire, precisamente il giorno 14, il nuovo Codice della strada con la benedizione del vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini. Tante le novità e, allo stesso tempo le solite polemiche, il 90% di carattere politico e strumentale, unicamente per dire “no” a tutto quello che mette in atto questo Governo, contro una serie di normative più rigorose rispetto al passato che mirano a far crollare il numero delle vittime della strada. E’ vero che si poteva fare di più. E si può ancora fare di più in quanto resta un anno di tempo per intervenire e fare correzioni. Importante, è che si faccia di tutto in tema di educazione stradale e che le famiglie inculchino nei giovani responsabilità, buon senso e consapevolezza.
Ecco poi farsi spazio, nella polemica sul “Green Deal”, la “banderuola” Ursula von der Leyen, presidente della Commissione UE, per rassicurare sul fatto che a gennaio sarà lei stessa a occuparsi in prima persona del piano “Fit for 55” e di tutte norme collegate alla visione di una mobilità solo elettrica dal 2035. La “banderuola” Ursula, che da presidente della precedente Commissione UE aveva portato al varo quel piano che ora quasi rinnega, riconosce i problemi sottovalutati, la follia delle multe (fino a 17 miliardi) in vigore da gennaio e l’esigenza, dunque, di dedicare il primo mese del 2025 a una profonda revisione del tutto, come da tempo insiste l’Italia. Meglio tardi che mai…
Già, e poi come la prenderanno i Verdi che hanno assicurato a Ursula il loro sostegnoalla presidenza bis e che ribadiscono in continuazione che nulla deve essere modificato sui piani green relativi al settore automotive? Sicuramente le parti arriveranno ai ferri corti e si perderà altro tempo preziosissimo. Quando la politica e l’ideologia arrivano prima delle necessità reali e della salvaguardia del destino di milioni di famiglie e dell’economia del proprio Continente.
Ursula avrebbe fatto meglio, alla luce dell’andamento delle recenti elezioni, a starsene a casa, e a lasciar spazio a qualcuno sicuramente più obiettivo e in linea con l’esito del voto. Se la si pensa in un certo modo, lo deve essere fino in fondo. Aspettiamo il 31 gennaio per vedere cosa accadrà. Anche gli sviluppi negli Usa relativi alle scelte sul futuro dell’automotive saranno importanti dopo che Donald Trump si sarà insediato, il 20 gennaio, alla Casa Bianca.
L’ultimo botto è arrivato poco prima di Natale, con l’ufficializzazione delle nozze tra le giapponesi Honda, la malmessa Nissan e Mitsubishi. Una fusione che darà vita a una realtà da 50 miliardi di dollari come valore e oltre 8 milioni di veicoli prodotto l’anno. Un soggetto, dunque, che guarderà a vari campi: le tecnologie per i veicoli software-defined (SDV) di prossima generazione, l’intelligenza artificiale e l’elettrificazione, ma anche a vantaggi di scala tramite una standardizzazione delle piattaforme, un potenziamento delle capacità nella Ricerca & Sviluppo, un’ottimizzazione dei sistemi produttivi e delle fabbriche, l’integrazione degli acquisti e un miglioramento dell’efficienza operativa. Il tutto sempre con un occhio alla crescente espansione cinese. Sarà il primo di una serie di consolidamenti, magari con protagonisti, nei nuovi casi, gli straricchi big di Pechino a caccia di opportunità guarda caso proprio in Europa?