Ideologia UE scardinata: nulla è impossibile, basta far valere la ragione

È incredibile come uno scenario, giudicato fino a poco tempo fa blindato, possa invece essere scardinato e cambiare in poco tempo. E’ successo per il dogma del “tutto elettrico” a partire dal 2035, con la successiva apertura ai carburanti sintetici, prima, e ai biocarburanti poi. E, buon ultima, anche l’assurdità dell’Euro 7, come impostata inizialmente, è stata ribaltata.

 

Colpi di bacchetta magica? No, solo la volontà di far valere il buon senso e di guardare al bene dell’industria automotive europea, dei suoi occupati con le rispettive famiglie. In parole povere, chi ha governato l’Italia negli ultimi anni si è subito arreso al diktat ideologico di Bruxelles.

 

È vero che c’è stata la pandemia con tutte le conseguenze traumatiche e drammatiche che ha cambiato le priorità. Purtroppo, però, c’è chi ne ha approfittato per preparare la trappola “pseudo-green” in cui, alla fine, sono caduti tutti senza battere ciglio, attratti dalla visione di un mondo impossibile da realizzare.

 

La guerra in Ucraina, la crisi energetica e delle materie prime, i forti sbilanciamenti dei già fragili equilibri politico-economici e l’inflazione alla stelle, hanno fatto il resto. Il settore automotive ha imboccato la via imposta de Bruxelles senza pensare ai possibili ostacoli che, inevitabilmente, si sarebbero trovati di fronte. E gli stessi Governi, Italia compresa, hanno fatto altrettanto con i risultati che ora tocchiamo con mano.

 

La concorrenza cinese si rafforza proprio sul territorio europeo in virtù di un singolare lasciapassare non contraccambiato (i dazi) e l’automobile, da mezzo di libertà e movimenti per tutti, sta diventando sempre più un lusso con il risultato che le famiglie si tengono ben stretto il veicolo anche di 10 anni perché non ci sono i soldi per cambiarlo.

 

Ma ora, sentendo aria di bocciatuta alle urne al elezioni europee del 2024, è suonata la sirene di allarme. E chi ha fatto spallucce fino a ieri si è accorto del grossimo problema che ha contribuito a creare.

 

Ecco, allora, i nuovi importanti e tangibili segnali di cedimento dell’impalcatura ideologica messa in piedi dalla Commissione UE sullo spinoso problema della eco-mobilità. E qui parliamo del nuovo regolamento sullo standard Euro 7. L’Italia del Governo Meloni ha fatto la voce grossa e la linea impostata è stata seguita da altri Paesi, Francia compresa.

 

È la chiara dimostrazione che bastava svegliarsi prima e che nulla è impossibile. Ma, forse, è stato più opportuno lasciare suonare a vuoto la sveglia. Qualcuno, però, una volta ristabili gli equilibri, dovrà pagare il conto.

Alleluia: Ursula si accorge solo ora che l’auto cinese è un pericolo

Alleluia all’ennesima potenza in modo che sentano questa esclamazione anche nelle stanze dei bottoni occupate dai geni di Bruxelles. La telenovela del “tutti su auto elettriche” dal 2035, annessi e connessi (favore ai cinesi, progetto ideologico e portato avanti sottovalutando dati di fatto e imprevisti, discriminazione nell’accesso alla mobilità) riserva di giorno in giorno sorprese e colpi di scena.

È incredibile che chi governa questa UE ed è pagato profumatamente con i soldi dei cittadini europei per adempiere a tale compito, scopra solo ora che la Cina, con le sue importazioni di auto, rappresenti un serio pericolo.

Sono anni – noi tra i primi – che viene lanciato questo allarme, con l’invito pressante a intervenire prima che sia troppo tardi. Ebbene, la sveglia di cui da settimane parliamo con sempre più insistenza in questi commenti, ieri è suonata in modo assordante anche per Ursula von der Leyen, presidente della Commissione UE.

L’annuncio: “La Commissione UE ha avviato un’indagine sull’opportunità di imporre dazi per proteggere i produttori dell’Unione europea dalle importazioni cinesi di veicoli elettrici”.

La scoperta del secolo del vertice UE continua così: “I mercati globali sono ora inondati di auto elettriche più economiche. E il loro prezzo è mantenuto artificialmente basso da enormi sussidi statali”, ha aggiunto la presidente della Commissione europea facendo riferimento ai veicoli cinesi nel suo discorso annuale al l’Europarlamento.

Complimenti Ursula per la prontezza dei riflessi dimostrati. Si vede proprio che l’aria del voto e la consapevolezza di essere mandati a casa tra meno di un anno cominciano a fare effetto. Il bello è che la Commissione “avrà fino a 13 mesi durante l’indagine per valutare se imporre dazi superiori alla tariffa standard UE del 10 per cento per le automobili”. Tredici mesi, non 13 giorni, come se ci fossero ancora dei dubbi.

Questa tardiva presa d’atto del problema, tra l’altro, arriva nel momento in cui alcuni big di Pechino hanno programmato investimenti in Europa, realizzando impianti produttivi, e creando – forse tra i pochi  positivi- occupazione in prospettiva. Manterranno ancora questi piani? Ci saranno rimostranze?

Durissimo il commento del vicepremier Matteo Salvini sull’intervento di Ursula von der Leyen: “L’Europa si sveglia adesso: distratti, incompetenti o complici?”. La verità verrà galla.

L’auto di domani: “pensiero unico” non significa “pensiero stupendo”

Com’è cambiata in peggio la nostra Italia. O segui un certo mainstream oppure, a priori, hai sempre torto, senza ascoltare ragioni. E questo vale un po’ per tutto, purtroppo.

Ci occupiamo, in questo “Diario”, di automotive e rimaniamo entro tale perimetro. Succede, in proposito, che se scrivi e successivamente diffondi sui social network un commento, un articolo o un’intervista critica sulla questione di una transizione energetica che impone la sola auto elettrica per il futuro, passi per essere una persona “di parte”.

 

Da che pulpito! A questo punto, infatti, ritiene di aver ragione chi ha sposato la sola soluzione elettrica, quindi chiaramente e palesemente di parte, più per interessi (lavora in quell’ambito e, quindi, ci vive) che per per altro. 

 

Mi rifaccio a una serie di critiche nei miei confronti su alcuni social network. In pratica, hanno ragione solo gli altri o chi funge, sul web, da megafono di poteri e interessi forti. Di parte.

 

Ebbene, grazie per queste critiche, ne vado fiero, vuol dire che ho centrato – e non sono il solo – l’obiettivo. Tra l’altro, ho sempre ribadito di essere per la libertà di scelta: ti serve un veicolo elettrico? Bene, fanne buon uso. Hai altre esigenze? Esistono opzioni altrettanto “pulite”. Stare dalla parte del principio della neutralità tecnologica non significa parteggiare per un’unica soluzione, bensì far prevalere una visione democratica.

 

Del resto, lo scenario europeo procede proprio in tale direzione. E temere questa evoluzione, che ha colto di sorpresa chi dava per scontata la sola dittatura dell’elettrico, rappresenta un forte segnale di debolezza. Se ne stanno accorgendo anche i top manager alla guida delle Case automobilistiche, come anche i membri della stessa Commissione UE (il francese Thierry Breton, per esempio) le cui affermazioni si possono trovare sul web, tanto che lo stesso ministro italiano Adolfo Urso, nell’intervista che mi ha rilasciato di recente, parla di una opposizione, a Bruxelles, che è ormai sempre più una maggioranza alla luce delle recenti votazioni che hanno “visto alcuni dossier passare per un soffio”.

 

Ecco allora, per concludere, che voglio ribadire come il pensiero unico non sia paragonabile a quel “pensiero stupendo” (mi perdoni Patti Pravo se riprendo il titolo di un suo storico brano), vero sinonimo di libertà di opinione e di scelta che ciascuno di noi ha il diritto – da tutelare a tutti i costi – di esprimere.

 

Salone di Monaco: che errore l’apertura ai “gretini”, intanto i cinesi…

Se l’Unione europea ha pensato male di spalancare le porte alle auto cinesi, annessi e connessi, l’industria tedesca automotive ha fatto altrettanto, anche se in un’altra direzione. L’associazione che la rappresenta (VDA) ha infatti invitato gli attivisti del clima, quelli di “Ultima generazione”, meglio conosciuti come “gretini”, alla seconda edizione del Salone della mobilità in programma a Monaco di Baviera dal 5 al 10 settembre.

Addirittura, VDA ha chiesto ai “gretini” di partecipare con uno stand informativo, nel tentativo azzardato di aprire un confronto con chi veleggia unicamente sul pensiero unico e ce l’ha a morte con l’auto in tutte le sue declinazioni. Per tutta risposta (non si sa ancora se l’invito sarà accolto o meno) gli attivisti tedeschi hanno dichiarato di voler trasformare Monaco in una “roccaforte della protesta”.

Con una serie di azioni, nei giorni scorsi è stato già bloccato parzialmente il traffico nel centro della capitale bavarese. Attivisti si sono parzialmente “incollati” ad alcune strade, bloccando così il flusso dei veicoli. E’ stata una sorta di prova generale in vista della rassegna che sarà inaugurata il 5 settembre dallo stesso cancelliere Olaf Scholz, sempre se riuscirà a raggiungere la Fiera di Monaco.

Gli attivisti, già due anni or sono, in occasione della prima edizione del Salone della Mobilità, avevano creato non pochi problemi alla circolazione stradale. Ma quest’anno i toni sono decisamente più accesi. La richiesta al Governo di Berlino è di convocare un consiglio sociale, i cui membri dovranno essere estratti a sorte, per porre fine all’uso dei combustibili fossili in Germania entro il 2030.

 

Voler aprire le porte della rassegna a queste persone è da considerare un palese atto di debolezza dell’industria tedesca e un’ammissione di colpe, invece di puntare a esaltare le capacità concrete europee di affrontare le questioni climatiche con grande competenza. Ci ha provato ad avviare il dialogo con gli attivisti di “Ultima generazione” il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, che aveva voluto tendere loro la mano, ottenendo però come risposta che “l’iniziativa non era servita a un bel niente”.

 

Già ora, intanto, l’attenzione è incentrata sulle tante novità cinesi al Salone di Monaco e su cosa accadrà nei giorni della rassegna. E proprio la rassegna bavarese farà da sfondo alla celebrazione del primato conquistato nei giorni scorsi dalla Cina, traguardo tra l’altro anticipato da AlixPartners nell’ultimo “Global Automotive Outlook”: Pechino ha superato Tokio ed è il primo esportatore mondiale di automobili. Tra l’altro, sempre a Monaco di Baviera, l’industria cinese dell’auto si riunirà a congresso per la prima volta oltre i confini della Grande Muraglia.

 

Tra “gretini” arrabbiati e “occupazione” europea da parte cinese, non resta che ringraziare il fuggiasco Frans Timmermens e chi ha seguito senza battere ciglio la sua folle strategia “pseudo green” che, come risultato, ha dato la “scossa” che Pechino aspettava. Dimessosi dalla Commissione UE, il barbuto olandese punta ora a fare il premier nel suo Paese, lasciando Bruxelles – e non solo – con il cerino acceso.

 

“Sfogo” di De Meo, mea culpa ACEA e la nostra domanda senza risposta: perché solo ora?

Luca De Meo, numero uno di Renault e da inizio anno presidente dell’Associazione dei costruttori europei di auto (ACEA), si è tolto qualche macigno dalle scarpe. E visto il lungo periodo che si è tenuto questi macigni, essersene liberato ha rappresentato una sorta di liberazione. Già, ma la domanda scontata è perché non lo ha fatto prima? Perché?

Da De Meo sono infatti arrivate accuse precise all’indirizzo della Commissione UE (“a Bruxelles c’è un gruppo di estremisti dell’elettrico che non si rende conto – o non vuole farlo – di quanto il futuro sia complesso”), ma è anche pervenuta un’ammissione di colpa sull’operato proprio di ACEA («ha mancato di coraggio nel comunicare le alternative all’elettrico e nello spiegare come gli e-fuels, ad esempio, potrebbero da subito essere disponibili»).

Tutte parole che, ancora una volta, fanno capire come chi lo ha preceduto al vertice di ACEA non abbia avuto la forza, la volontà o il coraggio di prendere una posizione decisa nei confronti dell’iter ideologico avviato qualche anno fa da Bruxelles.

Come non dar ragione ad Andrea Taschini, manager automotive e opinionista, secondo il quale “l’establishment industriale ha per troppo tempo e inspiegabilmente taciuto di fronte a evidenti e insormontabili difficoltà nel competere con la Cina, partendo dalla disponibilità delle materie prime, fino ai costi energetici che compongono il quadro produttivo dell’auto a batteria”.

La riprova gli europei la toccheranno con mano a inizio settembre, in occasione del secondo Salone della Mobilità, a Monaco di Baviera, evento che ha preso il posto della grande rassegna espositiva di Francoforte che ha chiuso i battenti con l’edizione del 2019.

Rispetto all’IAA tenutosi a Monaco nel 2021, infatti, il numero di aziende cinesi partecipanti sarà quasi il doppio. Le Case automobilistiche di Pechino – tra cui BYD, MG Motor, Xpeng,  Leapmotor, Seres e Dongfeng – si uniranno alle tedesche Volkswagen, Mercedes-Benz e Bmw.

Gli osservatori del settore hanno affermato che la forte presenza della Cina all’IAA evidenzia la crescente minaccia per le affermate Case europee da parte dei rivali cinesi in patria. Un rischio particolare riguarda il segmento dei veicoli elettrici entry-level, attualmente “molto scoperto”  come offerta da parte dei marchi del Vecchio continente.

De Meo, intanto, punterebbe sullo spostamento dal 2035 al 2040 dell’addio ai motori termici: “Questo – puntualizza – consentirebbe di far crescere ancora il mercato dell’elettrico. E se poi ci sarà un riconoscimento della neutralità tecnologica, ancora meglio”.

Nel 2024 è in agenda il rinnovo dell’Europarlamento e i giochi potrebbero riaprirsi. Vero, come precisa De Meo, che “la strada elettrica ormai è segnata”. Ma un “piano B allargato” – ci permettiamo di suggerire – vista la situazione di incertezza, sarebbe consigliabile averlo.

Addio Colaninno, grande capo di Piaggio: ricordi, interviste (poche) e quella gaffe…

Roberto Colaninno, 80 anni compiuti lo scorso 16 agosto, dal 2003 proprietario e numero uno del Gruppo Piaggio, ci ha lasciati. È stato uno degli imprenditori protagonisti dell’industria italiana. Colaninno aveva conseguito il diploma di ragioniere e da mezzo secolo era al centro della scena imprenditoriale italiana. Originario di Acquaviva delle Fonti (Bari), da tempo viveva a Mantova. La sua avventura in Piaggio inizia nel 2003. E l’azienda, con i suoi prestigiosi marchi (Vespa, Gilera, Scarabeo, Aprilia, Moto Guzzi, Derbi, Ape, Piaggio Veicoli Commerciali) viene via via rilanciata, ampliando sempre più il raggio d’azione.

Piuttosto schivo, avvicinarlo per scambiare due parole o chiedere un’intervista, è sempre stata un’impresa, sia durante le presentazioni dei modelli sia in occasione di EICMA, il Salone mondiale della moto in Fiera a Milano. Pazienza e insistenza, però, almeno nel mio caso, sono state in qualche occasione premiate. Importante era partire con il piede giusto e conquistare la sua fiducia. ma se non voleva parlare con noi giornalisti, ogni tentativo – anche attraverso il team comunicazione di Piaggio – risultava inutile.

Da ricordare è il suo primo incontro ufficiale da presidente di Piaggio con noi giornalisti. Vado a memoria: evento programmato in un hotel a Montecarlo con tutto lo stato maggiore del gruppo. E qui l’indimenticabile, ma simpatica gaffe, forse l’unica, nel momento in cui Colaninno parlava del suo rapporto, sin da ragazzo, con il mondo delle due ruote e… “quell’odore (o profumo, non ricordo) di Diesel…”. L’avesse pronunciata, quella frase, di questi tempi, ci sarebbe stato il finimondo.

Dicevamo, l’ultima volta che gli ho fatto un’intervista, è stata il 14 marzo 2021 a Mandello del Lario in occasione dei 100 anni di Moto Guzzi e la contestuale presentazione del progetto del nuovo stabilimento, nell’area storica sul lago di Lecco, insieme all’anteprima della nuova V100 Mandello.

Cento anni per Moto Guzzi e 75 anni per l’iconica Vespa. Per il Gruppo Piaggio, dunque, il 2021, anno ancora fortemente condizionato dalla pandemia, si era aperto con queste due importanti ricorrenze.

Moto Guzzi è un’eccellenza tutta italiana che ha fatto la storia del nostro Paese, senza mai invecchiare e che continua a muovere la passione più autentica di migliaia di guzzisti in tutto il mondo”, le sue parole. Ad ascoltare, il figlio Michele, amministratore delegato e direttore generale della holding industriale Immsi, responsabile delle strategie di innovazione prodotto e marketing del Gruppo Piaggio, e presidente di ACEM, l’Associazione europea dell’industria motociclistica con sede a Bruxelles.

Prima ancora, a Milano, il 23 marzo 2017, al Teatro Vetra, eccomi a tu per tu con Roberto Colaninno, in occasione dei 130 anni di storia dell’iconica azienda e la presentazione del libro “FuturPaggio – 6 lezioni italiane sulla mobilità e sulla vita moderna”, edito da Rizzoli. Quella sera avevamo visto all’opera anche Gita e Kilo, veicoli autonomi intelligenti nati grazie a Piaggio Fast Forward, società del gruppo con sede a Boston. “Vede – mi disse nell’occasione il presidente Colaninno, commentando il libro – nei suoi 130 anni di storia, Piaggio ha fatto cose straordinarie. E’ un’impresa che ha dimostrato capacità di innovare i prodotti in modo impensabile in Italia. Abbiamo inventato l’elicottero, e il brevetto fu poi ceduto, la littorina, abbiamo disegnato aerei e naturalmente la Vespa. Noi abbiamo raccolto il testimone di questa storia e ora dobbiamo portarlo avanti”.

Quella sera, al teatro Vetra, c’era anche “Elio delle Storie Tese“. Sua la battuta-frecciatina (riferita al periodo della presidenza di Alitalia) rivolta a Colaninno: “Visto che la Vespa è un animale volante, non è pensabile una Vespa che vola?”. La replica immediata di Colaninno: “Lasciamo stare, abbiamo avuto cattive esperienze”.

Quindi il lancio, a EICMA di quell’anno, della Vespa Elettrica, sul mercato dal 2018. “Vi trovate tutto il genio italiano”, le parole, nell’occasione, di Colaninno.

Chiudo qui, rivolgendo le condoglianze alla famiglia Colaninno, con l’auspicio che la magnifica favola del Gruppo Piaggio continui ancora per anni e anni nel segno dell’eccellenza italiana e del “genio italiano”, come amava ribadire il presidente.

Addio Alberoni: quel nostro incontro a difesa dell’auto

Dunque, ci ha lasciati il sociologo Francesco Alberoni, 93 anni, che avevo conosciuto anni fa all’epoca della sua collaborazione con “il Giornale” con il puntuale appuntamento nella pagina di copertina. E proprio grazie a questo, mi ero pregiato di averlo in qualità di ospite a uno dei primissimi appuntamenti pubblici che hanno poi dato vita all’attuale #FORUMAutoMotive”.

 

Era il 2012 e cominciava a crescere l’astio rispetto all’automobile, ritenuta responsabile della maggior parte dei mali ambientali. Da qui la nascita, tra gli altri, del Movimento Arancione e dei sindaci “contro” l’auto, a partire dal milanese Giuliano Pisapia fino ad arrivare, restano sotto la Madonnina, all’attuale amministrazione guidata da Beppe Sala. Un assist perfetto al nostro “contro movimento”, che continua tuttora, a difesa del mondo automotive e all’insegna di un pragmatismo lontano anni luce dall’ideologia.

 

Ebbene, nell’occasione, alla quale era intervenuto anche l’allora ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, il sociologo Alberoni aveva animato un interessantissimo dibattito, rispondendo alla mie domande insieme a quelle del pubblico. Molti dei problemi sollevati a quel tempo sono ancora all’ordine del giorno, come quello dei listini troppo cari. E guardando ai giovani, Alberoni aveva spiegato quanto, riferendosi a quel periodo, si stavano “disamorando dell’auto perché troppo cara da acquistare e mantenere, sostituita da altre priorità”, per poi criticare apertamente gli odiatori del mezzo su quattro ruote.

 

È stato un onore conoscere Francesco Alberoni e dialogare in pubblico con lui. Ne abbiamo apprezzato la lucidità e la franchezza con cui ha affrontato uno dei temi più scottanti, in quegli anni come ora. Grazie professore, ci mancherà.

 

De Meo, l’elettrico, l’UE e il “mea culpa” ACEA: l’“auto” processo è iniziato

“Ma se l’auto elettrica è una rivoluzione per i ricchi”, come ammette a giusta ragione, ma a scoppio ritardato, anche Luca De Meo, presidente di ACEA, perché si esce solo adesso allo scoperto? E anche se, come sostiene il top manager a capo di Renault – a regime (tra quanti anni?), i costi di gestione saranno ridotti a circa un terzo,” il problema rimane e l’industria europea ne uscirà con le ossa rotta.

 

De Meo ricorda anche – come se fosse una novità – che “la Cina fa la parte del leone sul mercato mondiale perché terre rare, cobalto e altri elementi necessari per la costruzione delle batterie sono nelle mani di Pechino”. Quindi? La frittata è ormai fatta.

 

E poi c’è il “mea culpa”, ovviamente in senso lato, considerando tutta l’Associazione europea dei costruttori: “Si è mancato di coraggio nel comunicare le alternative all’elettrico e nello spiegare come gli e-fuels, ad esempio, potrebbero da subito essere disponibili. Relegare gli e-fuels al solo trasporto aereo, come vuole l’Europa, di fatto ne impedisce l’utilizzo su ampia scala e l’abbattimento dei costi”.

 

Affermazioni pesanti e significative, quelle del top manager italiano, che se la prende anche con “il gruppo di estremisti dell’elettrico di Bruxelles”, ma sempre colpevolmente (per tutto il settore che lui rappresenta) tardive.

 

Condivido, a questo proposito, il ragionamento dell’eurodeputato Carlo Fidanza, quando, commentando proprio le precisazioni di De Meo, dice che “tra le grandi Case costruttrici di auto è prevalsa la scelta di assecondare il mainstream, per compiacenza o per esigenza di alcuni (Volkswagen, per intendersi – ndr) di ripulirsi da vecchi scandali”.

 

E così, a pagare, saranno i cittadini e l’ambiente. In tanti si terranno la vecchia auto o ne acquisteranno una economica con un marchio cinese. Di fatto, il settore – tutto – ha cominciato ad “auto” processarsi. Sarà un finale d’anno e un inizio di quello nuovo, fino all’appuntamento con le elezioni europee, ricco di sorprese e colpi di scena.

 

È mai possibile che certe considerazioni, noi, comuni mortali, le stiamo facendo da tempo (è doveroso ribadirlo fino alla noia), mentre chi opera in questo settore le tira fuori solo adesso con apparente convinzione? Vale per De Meo, ma anche per Carlos Tavares e altri. E se a Bruxelles facevano orecchie da mercante, come denunciato proprio da Tavares riferendosi alla sua precedente presidenza di ACEA, a quel punto occorreva alzare la voce, farsi sentire, sensibilizzare i lavoratori e le forze sindacali, chiamare in causa con forza le associazioni di categoria e i politici pragmatici dei singoli Paesi. E non arrivare al punto in cui ci troviamo. 

Timmermans come “Ponzio Pilato”: tira brutta aria, via anzitempo dall’UE

E così Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione UE, l’ideatore del bluff “Fir for 55”, il piano che prevedeva (la situazione è in piena evoluzione) produzione e vendite di sole auto elettriche dal 2035, ha deciso di togliere il disturbo anzitempo.

 

La motivazione ufficiale della scelta di candidarsi alle elezioni olandesi, dopo la caduta del Governo guidato da Mark Rutte (“è giunto il momento per noi olandesi di avvicinarci invece che separarci, dobbiamo garantire che i Paesi Bassi riacquistano fiducia in se stessi“, ha spiegato il vicepresidente UE), potrebbe stare in piedi, ma  si presta anche ad altre interpretazioni.

 

Per esempio, di evitare lo smacco di vedersi miseramente trombato alle elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento del 2024, ma anche per lasciare in mano ad altri la patata bollente di un piano il “Fit for 55” che già sta facendo danni all’economia e all’industria automotive europea. E, in proposito, ahinoi, è solo l’inizio. Quindi, una mossa alla “Ponzio Pilato”. 

 

Comunque, al di là, delle elezioni in Olanda, il suo Paese, le coincidenze di una drastica revisione della sua fallimentare strategia “green”, purtroppo sposata senza battere ciglio dalla maggior parte degli addetti ai lavori, in direzione della neutralità tecnologica, fa chiaramente intendere il profilarsi di una pesante sconfitta per Timmermans & C.

 

A questo punto, signor Timmermans, grazie per essersi tolto di mezzo (formalmente, come previsto dal codice di condotta, resterebbe commissario, senza però essere disponibile temporaneamente per le attività UE), e si faccia un profondo esame di coscienza. Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi.

 

Caos automotive: “geni” di Bruxelles in disarmo. L’effetto voto si fa sentire

È chiaro che più si avvicinano le elezioni per il rinnovo (finalmente) dell’Europarlamento, più i “geni” dell’attuale Commissione UE, tentano disperatamente di riproporsi all’opinione pubblica con un’immagine meno dispotica.

 

Le scelte disastrose e in itinere cominciano a pesare e ci si comincia a rendere conto che le rivoluzioni non si fanno in quattro e quattr’otto e, soprattutto, senza tenere conto degli inevitabili ostacoli e degli imprevisti in corso d’opera.

 

Quanto sta accadendo in tema di mobilità del futuro, che secondo questi “geni” dovrà essere solo elettrica dal 2035 (con alcuni costruttori di auto inebriati dal fatto di partire addirittura 10 anni prima, ma con quali risultati?) è emblematico: l’impalcatura più dettata dal colore rosso che da quello verde, è sul punto di cedere.

 

E sono gli stessi “geni”, timorosi di perdere consensi (tanto che si evocano i nomi della capitana di sventura Carola Rackete e della marionetta dal dito medio alzato Greta, tra i candidati alle prossime elezioni), ad aprire ora a soluzioni alternative.

 

“Insieme al dossier Euro 7 liberato da target irrealistici, abbiamo ottenuto in Commissione Industria UE, l’approvazione della prima definizione europea di “Carburanti CO2 neutri” che include anche i bio-fuels chiesti dall’Italia accanto agli e-fuels della Germania”, il recente annuncio dell’eurodeputato Massimiiano Salini.

 

Vero è, comunque, che i “geni” di Bruxelles guidati dal vicepresidente Timmermans (a proposito, chissà se una volta tornato cittadinano normale aprirà un ristorante per dare da mangiare gratuitamente ai lavoratori europei che perderanno il posto, come da invito dell’ex presidente di ANFIA, Paolo Scudieri) hanno approfittato, per portare a compimento il piano-suicida dell’eccellenza motoristica UE e irresponsabilmente pro Cina, di due fattori chiave: il “Volkswagengate” e la pandemia.

 

Nel primo caso i costruttori (salvo pochissime eccezioni), Volkswagen in primis, hanno accettato tutte le imposizioni di Bruxelles senza battere ciglio e, soprattutto senza riflettere su rischi e impatti negativi che puntualmente si sono presentati; nel secondo, in virtù di una politica impegnata sul fronte sanitario e narcotizzata sul resto. Gioco facile, dunque, dettare regole puramente ideologiche.

 

L’effetto narcotico della politica è ora finito, grazie ai nuovi scenari, mentre tra i costruttori regna l’incertezza. E poco conta che nel mercato dell’auto europeo, sempre lontano anni luce dai riscontri di vendita pre-pandemia, qualcuno si esalti per l’elettrico che ha venduto più del Diesel, oggetto di una lunga campagna di incredibile sputtananento, per la prima volta.

 

I nodi verranno al pettine più ci si avvicinerà alle elezioni del prossimo anno. Sarà troppo tardi? I costruttori, fatto salvo che l’elettrico resterà una strada da percorrere e implementare, metteranno mano al piano B grazie ai carburanti “green”, il vero salvagente per una eccellenza automotive europea, forte e indipendente? Il responso è prossimo.