Cina amica, anzi no: quelle strategie contraddittorie dei big UE dell’auto

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Cinesi sì, anzi no. Diamogli addosso, però non possiamo farceli nemici. Eppure… Tra i top manager dei gruppi europei dell’auto dominano nervosismo e confusione. Da una parte, i capi azienda di Renault e Stellantis, viste le recenti dichiarazioni di Luca De Meo, a capo dell’ex Régie e anche di ACEA, ma anche di Carlos Tavares (Stellantis), si sottolinea l’importanza di stringere accordi con i big cinesi per poter affrontare nel modo migliore una transizione verso l’elettrico sempre più onerosa nonché oggetto di critiche, perplessità e retromarce. Stellantis progetta pure di portare in Italia, a Mirafiori (e sarebbe un vero toccasana per lo stabilimento), la produzione di vetture elettriche del partner cinese LeapMotor.

 

Dall’altra parte, però, come riportato dall’agenzia “Bloomberg”, riferendosi ad alcune affermazioni di De Meo, pensano (insieme anche a Volkswagen) di arrivare a un maxi accordo, paragonato a quello che ha dato origine al colosso dei cieli Airbus, proprio per contrastare l’avanzata dei costruttori di Pechino. In pieno contrasto, dunque, con la strategia forzata del “volemose bene”. Delle due, l’una.

 

E loro? I cinesi? In questa situazione ci sguazzano e ne approfittano per assimilare sempre più know how dalle Case occidentali, soprattutto nel campo dei motori endotermici, così da chiudere il cerchio. Bravi e più che mai competitivi nell’elettrico, pronti a sferrare l’attacco anche in quella che è sempre stata il punto di forza europeo: la tecnologia legata ai motori tradizionali. E questo grazie a loro (i super manager) sempre più in difficoltà e restii ad ammettere di aver sottovalutato i risvolti negativi che certe decisioni affrettate avrebbero preso. 

 

Ed eccoci ora alla resa dei conti e al caos completo, viste anche le imminenti elezioni in Europa e negli Stati Uniti. In mezzo a tutto questo c’è un mercato sempre più indeciso e farbitro vero di tutta questa situazione, un parco circolante (quello italiano soprattutto) che si distingue per vetustà e tanti lavoratori che temono per il proprio posto.

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