Immatricolazioni: incentivi solo come freno alla crisi

di Salvatore Saladino, country manager di Dataforce Italia

Dopo undici risultati negativi a doppia cifra consecutivi, per il mese di maggio avevo sperato in un calo a una cifra delle immatricolazioni in Italia, di meglio non sarebbe stato possibile viste le immatricolazioni dell’ultimo giorno di maggio del 2021. Niente, sarà per il prossimo mese, ma lì la speranza dovrebbe essere divedere finalmente un segno più.

 

Di fatto, solo alla fine di giugno scopriremo se questa tornata di incentivi metterà solo un freno alla crisi (che è quello che penso) o sarà di un effettivo rilancio (poco plausibile). Come sempre, scelte di compromesso, frammentate, non equilibrate, in ritardo, senza visione e per nulla strutturali.

Ferrari, ti prego non mollare pure tu

di Cristiano Donelli, policy advisor – European Parliament

Di fronte al piano industriale verso il 2026 appena presentato si può dire che la Casa di Maranello risponde prontamente alle sfide che vengono imposte dall’alto, allo stesso tempo senza snaturarsi e abbandonare la propria tradizione. Ha destato scalpore al Parlamento Europeo, all’interno del malaugurato voto che prova a far terminare la lunga vita dei motori endotermici, il cosiddetto emendamento “salva Ferrari” quasi fosse un’onta difendere una delle più iconiche aziende italiane e per estensione europee.

Non tutti perché ce ne sono tanti nelle istituzioni europee che vogliono punire l’eccellenza e la bellezza, soprattutto se si parla di automotive e ancora di più se si parla di Italia, ma in maggioranza col voto hanno giustamente voluto dare la possibilità ad aziende come Ferrari che producono meno di 10mila auto l’anno di avere tempistiche più corrette per procedere a una transizione.
La fiducia dei parlamentari europei, insieme ai governi nazionali co-legislatori anche per le normative sulle emissioni delle automobili, è stata subito ripagata perché il piano prevede modelli elettrici a breve e una ottima percentuale sul totale ad arrivare al 2030. Allo stesso tempo, però, l’intelligenza flessibile e concreta tipica italiana, che non deve mai dimenticare il lascito morale del “Drake” Enzo Ferrari, prevede non si dica che dal 2035 o quando mai si abbandoneranno totalmente i motori termici.
I motori V12 dovranno continuare a mostrare maestria tecnica inarrivabile e far sentire il loro inconfondibile rombo, in tutto il mondo, come una firma indelebile del genio italiano. Di utilitarie che andranno a pile elettriche ce ne saranno tante, di Tesla squadrate e standardizzate magari qualcuna in più se ne venderà quando costeranno meno, ma il Cavallino rampante dovrà sempre distinguersi e tutti quelli che avranno agibilità decisionale dovranno ricordarselo nel momento che serve.

Si parla qui di magnifiche automobili, ma si potrebbe estendere il concetto a tanti oggetti che la nostra capacità ci ha regalato negli anni, vediamo di non farcele togliere sotto mano da chi vuole imporre il socialismo dei giorni nostri. Per ora con la Ferrari siamo salvi, se ci molla pure quella saremo finiti e non avremo nemmeno più la possibilità di sognare ad occhi aperti vedendola e sentendola passare.

E intanto che scrivevo questi pensieri mi chiedevo: Greta avrà preso la patente…? Con i soldi che ha fatto negli anni grazie ai suoi manager e genitori che l’hanno ben indirizzata potrebbe tranquillamente comprarsi una fiammante Purosangue, inquinando in maniera impercettibile e dimostrando finalmente a tutti i suoi fan quali sono i valori di una vita che merita di essere vissuta.

Tutto elettrico dal 2035: una sfida da vincere

di Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile

Il 10 dicembre del 2021 il Comitato interministeriale per la transizione ecologica aveva detto che come Italia si puntava al 2035 come data ragionevole. Se parliamo di automotive –  quindi anche di moto, auto, furgoni, Tir, autobus – stiamo spingendo per la sostituzione di mezzi inquinanti e qui l’Italia ha una grande possibilità di attirare aziende.

È una sfida molto complessa, ma dobbiamo dotare il nostro Paese della capacità di vincerla. La scelta che abbiamo davanti non è solo economica, ma anche sociale e ambientale.

In pista a Misano: sfida in Smart (e prova ricarica)

di Roberta Pasero

Erano 23 le Smarteqfortwo che si sono sfidate nelle prove by night e by day di Smarteqfortwo Cup.
Una due giorni sul circuito dell’autodromo di Misano per mettere alla prova anche la ricarica elettrica delle baby Smart, al termine dei giri con le vetture partite con carica piena eSolutions, satellite di Free2move, Gruppo Stellantis. Che ha tante interessanti novità anche per chi le elettriche non le guida in pista, ma sulle strade di sempre.

Ambrosetti-Erion: forte criticità materie prime

L’Italia “rischia sull’approvvigionamento di materie prime critiche (CRM – Critical Raw Materials) essenziali per lo sviluppo di settori ritenuti strategici per l’economia del Paese» anche per la forte dipendenza dalla Russia sulle forniture per 107 miliardi di euro. È quanto emerge dallo studio di The European House – Ambrosetti, commissionato da Erion – il più importante Sistema multi-consortile italiano di Responsabilità Estesa del Produttore per la gestione dei rifiuti associati ai prodotti elettronici.

La produzione industriale italiana dipende, infatti, per 564 miliardi di euro (pari a circa un terzo del PIL al 2021) dall’importazione di materie prime critiche extra-UE. Da Mosca il nostro paese dipende per la fornitura di Palladio (35%), Rodio (33%), Platino (28%) e Alluminio primario (11%). Nello specifico, nel nostro Paese, ben 26 CRM su 30 sono indispensabili per l’industria aerospaziale (87% del totale), 24 per quella ad alta intensità̀ energetica (80%), 21 per l’elettronica e l’

automotive (70%) e 18 per le energie rinnovabili (60%).

Un settore, quest’ultimo che con la transizione ecologica ed energetica è destinato a forti potenziali di crescita della domanda di materie prime critiche, essenziali allo sviluppo dell’industria dell’eolico, del fotovoltaico e della mobilità elettrica.

Mobilità che cambia: una sfida vincere con la circolarità 

di Teodoro Lio, Consumer& Manufacturing Industries Lead di Accenture Italia, Europa Centrale e Grecia

Il mondo Automotive sta vivendo la più profonda trasformazione dalla sua nascita, con la combinazione di elettrificazione, trasformazione dell’esperienza di mobilità e transizione verso la sostenibilità. In questo contesto, tutti gli attori di questo mercato hanno la necessità di rivedere visione strategica, modelli di business e operating model. La circolarità è uno degli strumenti chiave per indirizzare queste sfide e, nello stesso tempo, a migliorare la resilienza della catena del valore.

 

L’economia circolare, infatti, può ridurre la dipendenza dai puri volumi di vendita delle automobili, spostando il focus sui servizi e sul miglioramento delle prestazioni del ciclo di vita del prodotto, portando a una crescita dei ricavi per veicolo.

 

La filiera automotive può sfruttare le sue forze nell’orchestrare ecosistemi complessi per guidare la transizione verso la circolarità, attraverso l’ottimizzazione della intera value chain e l’adozione di modelli as-a-service. Questo migliorerà l’impatto di sostenibilità e in parallelo aumenterà il value pool per veicolo.

AppassionAuto: in 10 anni raccolti 125mila euro per Casa Sebastiano

Con partenza da Pinzolo, nel cuore del Parco Naturale Adamello Brenta, si è rinnovato nelle scorse settimane l’appuntamento con AppassionAuto, raduno per auto d’epoca e supercar per scopo solidale e beneficenza. Giunta alla decima edizione, i numeri danno riscontro di quanto fin qui fatto: con l’edizione numero 10 sono stati finora raccolti fondi per bambini e ragazzi “amabili” un totale di 125mila euro.

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Rischio Cina: l’incoscienza dell’Europa 

di Andrea Taschini, general manager

In un recente e interessante articolo di Federico Rampini sul “Corriere della sera” viene descritto il paradosso in cui gli Stati Uniti e l’Unione Europea si sono messi a proposito di transizione energetica. Quasi tutti i materiali strategici necessari e cioè pannelli solari, pale eoliche e batterie per auto elettriche, sono di esclusiva produzione cinese; ma non solo, sono prodotti da intere popolazioni ridotte in semi schiavitù.

Mentre gli Usa stanno tirando il freno a mano consapevoli dei rischi insiti, nascono per gli europei due domande fondamentali.

1) Ci rendiamo conto che strategicamente stiamo finendo in una forte dipendenza energetica da un Paese illiberale, oggi nostro antagonista, ma destinato a diventare presto nostro nemico?

2) Siamo consapevoli che per abbassare le emissioni di CO2 praticamente già vicine allo zero netto, ci rendiamo complici di atti di grave sfruttamento umano in antitesi con quanto l’Europa va dichiarando ogni giorno? Rispondere a queste domande ci fa scendere con i piedi per terra, facendoci sentire un po’ meno modaioli da ZTL e un po’ più consapevoli del guaio in cui tanto incoscientemente ci stiamo andando a infilare

Piano Ue al 2035: ci mettiamo ancora nelle mani di altri

di Carlo Bonomi, presidente di Confindustria

Dispiace dire “avevamo detto”, perchè non serve a nulla. Da anni Confindustria avverte che le transizioni hanno un costo, vanno accompagnate con politiche industriali e investimenti su queste politiche industriali. Questa accelerazione sul phase out spiazza circa 500 imprese con circa 70mila lavoratori. Se non accompagniamo con delle politiche industriali che portino il Paese su nuove tecnologie, di problemi ne abbiamo.

E mi sembra che ci sia un approccio molto ideologico: andiamo verso tecnologie di cui non siamo proprietari, ci mettiamo nelle mani di altri Paesi, altre economie, portando in casa quei problemi che vogliamo eliminare, come lo smaltimento – su cui il Paese non è ancora pronto – delle batterie che contengono prodotti altamente inquinanti.

Serve allora una grande politica industriale. O il Paese entra nella dimensione che l’industria è un pezzo di strategia e sicurezza del Paese, o saremo sempre in difficoltà. Altri Paesi difendono la loro manifattura, anche noi dovremmo farlo.

Piano UE al 2035: da noi pressioni sulla neutralità tecnologica

di Roberto Cingolani, ministro delle Transizione ecologica

Abbiamo 12 milioni di veicoli non-Euro 6, da Euro 0 a Euro 4, su un parco di circa 40 milioni, questo solo in Italia. È evidente che incentivare il passaggio di questi autoveicoli a Euro 6 o ibrido in questo momento ha un ottimo effetto dal punto di vista della decarbonizzazione, ancor più che cambiare, casomai, l’Euro 6 in elettrico, per chi se lo può permettere, tenuto conto anche dei costi.

Insisteremo e faremo valere le nostre idee con i numeri e facendo vedere che la transizione giusta non è solo basata sui grammi di CO2 per chilometro, ma anche su quanta manodopera e quanto modello riusciamo a riconvertire, abbassando la CO2. Nessuno sta discutendo il target del 55% al 2030 o altro, stiamo discutendo su come arrivarci con la neutralità tecnologica. Credo, quindi, che questi saranno gli argomenti che dovrebbero consentirci di dire la nostra a Bruxelles.

Capite bene che 27 Stati membri, tra cui tre-quattro sono grandi produttori, inclusa l’Italia,  altri sono compratori, hanno anche istanze diverse. Noi abbiamo dovuto trovare un compromesso a livello internazionale, perché Francia, Germania e Italia, che hanno una grande filiera, hanno parlato di 2035 per le auto e 2040 per i furgoni.

Quelli che non costruiscono e comprano, volevano in alcuni casi il passaggio all’elettrico nel 2027-2028, perché è chiaro che per loro è quasi controproducente prolungare. Si tratta, insomma, di una situazione complessa nella quale bisognerà trovare dei compromessi. È in corso un dialogo continuo con la Commissione e con la presidenza francese, volto a meglio chiarire come le posizioni italiane non riducano l’ambizione della proposta, ma siano tese a inserire opportune flessibilità che possano accompagnare gli Stati membri nel percorso di decarbonizzazione, consentendo di raggiungere gli obiettivi delineati dal provvedimento senza però creare grave stress al sistema produttivo, in particolare al comparto automotive. A fine mese abbiamo la ministeriale Ambiente, la discussione è in corso.

Inoltre, anche se ci regalassero un’auto elettrica, in questo momento non potremmo ricaricare le batterie a elettricità rinnovabile.Tecnicamente è necessario far crescere l’offerta di energia rinnovabile verde contestualmente alla domanda di sistemi che utilizzano tale energia. L’elettricità verde sta crescendo molto rapidamente e comunque è questione di qualche anno. Ricordiamoci che c’è un passaggio intermedio, di ibride e ibride plug-in, che nell’automobilismo rappresenta un po’ l’anello di congiunzione darwiniano fra l’uomo e la scimmia e che in questo momento dovrebbe essere valorizzato per abbassare la CO2 prodotta per chilometro.

Infine, vorrei far notare che il principio di neutralità tecnologica, e noi su questo stiamo spingendo moltissimo, ci suggerisce due cose. In primo luogo, attenzione a non cadere in mano a un mercato che non è nostro, quindi attenzione a che il parco non sia tutto quanto basato su di esso, in modo da non essere schiavi di altri mercati. Stiamo combattendo per i carburanti sintetici, perché è un modo per ricondizionare un comparto del petrolchimico, che deve trovare strade verdi. Con i biocarburanti si decarbonizza tra il 60 e il 90%, a parità di motore.