Auto storiche e auto vecchie: l’ACI fa chiarezza

di Angelo Sticchi Damiani, presidente di ACI
(la lettera al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri)

In 118 anni di vita l’ACI è sempre stato il principale punto di riferimento degli automobilisti italiani, per la mobilità, la sicurezza stradale, lo sport dei motori e la difesa delle auto storiche. Ed è sempre per tale missione che, anche nella vicenda in oggetto, l’ACI ritiene che il vero valore da salvaguardare sia la qualita, laddove altre associazioni e club puntano invece sulla quantità.

Valori opposti, dunque, traducibili in una semplice regola di azione: distinguere tra auto storiche e auto vecchie. Ecco perché noi non riteniamo importante ’la percentuale delle auto dotate di Certificato di Rilevanza Storica e Collezionistica rispetto al parco circolante di Roma, ma che ad accedere nel centro di Roma siano quei modelli che rappresentano un’indiscutibile testimonianza dell’industria dell’automobile nel tempo.

Se esiste una distinzione tra auto storiche e auto vecchie diventa, ipso facto, impossibile affermare che tutte le auto, compiuti i vent’anni, possano diventare di interesse storico e collezionistico, se ben conservate. Da una puntuale verifica dei dati in nostro possesso si è potuto constatare che per gli anni 2019/2020/2021 solo il 20 per cento circa delle auto che hanno ottenuto il cosiddetto CRS sono inserite nella Lista di Salvaguardia e ciò significa che il restante 80 per cento sono da considerarsi auto semplicemente vecchie, magari da rottamare per contribuire al ringiovanimento del parco circolante italiano, notoriamente il più vecchio d’Europa, con i conseguenti e ben noti problemi di inquinamento e sicurezza stradale.

Per questi e altri motivi – conclude il presidente dell’ACI – riteniamo che non sia oggi corretto rischiare di penalizzare le vere auto storiche adottando dei provvedimenti che prescindano da questa importante differenza. Al contrario, auspichiamo che tutti i provvedimenti destinati a incidere in questo settore, siano sempre riconducibili ad una ratio ben chiara: quella di tutelare e preservare il valore del vero patrimonio storico motoristico italiano.

Transizione green: riflessioni e… vie di fuga

di Corrado Storchi, analista del mercato automotive

 

Qualcuno l’ha chiamata “la strage di S.Valentino”. Ma a differenza di quella avvenuta a Chicago, nel 1929, le istituzioni europee nel mettere al bando la vendita di auto termiche dal 2035 – si sono date due possibili… vie di fuga. Perché, diciamolo,  sembrano esserci ancora tante domande in attesa di risposta.

La politica

La prima: il 29 giugno del 2022 gli Stati membri hanno determinato, dopo una riunione dai toni piuttosto accesi, che nel 2026 dovrà esserci un momento di verifica rispetto al pacchetto “Fit for 55” (l’architrave anti-CO2 sulla quale poggiano le applicazioni specifiche per ogni settore): verranno valutati i progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni del 100% e la necessità di rivedere tali obiettivi tenendo conto degli sviluppi tecnologici nel percorso di transizione sostenibile e socialmente equa, verso l’azzeramento delle emissioni.

La seconda: a pochi giorni dalla ratifica in Consiglio d’Europa della decisione presa dal Parlamento Europeo, Germania, Italia, Polonia e Bulgaria, seppure con toni diversi, hanno ‘suggerito’ di rimandare tale ratifica a data da destinarsi. E sembra che lo spirito di questa riflessione aggiuntiva sia legato proprio al modo di intendere  una “transizione sostenibile e socialmente equa”. Perché non basta limitarsi alla sola vendita di auto alla spina. Occorre invece costruire in tempi ragionevoli quell’ecosistema necessario allo sviluppo di una mobilità elettrica che non sia di élite. Con un buon senso che abbracci il mercato, l’infrastruttura di rifornimento, l’energia.

L’energia

Per quanto riguarda quest’ultima, chiunque comprende che occorre aumentarne la produzione, oltretutto in modo green – con le rinnovabili -, sia per dare da “mangiare” alle BEV sia, appunto, per attribuire un senso compiuto a tutto l’ecosistema. Per capirci, produrre il surplus necessario di energia elettrica con il carbone, nello scenario peggiore, sposterebbe a monte il problema.

Nel 2022, la principale fonte di produzione di energia elettrica è stata proprio il carbone in Germania, Polonia, Repubblica Ceca e altri Paesi dell’Europa Orientale. Olanda, Regno Unito, Italia e altri utilizzano principalmente il gas. Solo in Spagna, Portogallo, Austria e Paesi Scandinavi la leadership è di idroelettrico o eolico. Oggi, nell’Europa allargata a UK e Turchia, l’energia elettrica viene generata al 25% dalle centrali nucleari, al 20% dal gas, al 14% dal carbone. Idroelettrico, eolico e solare non superano il 32%.

Il mercato

Per quanto riguarda il mercato, molti incauti opinionisti hanno citato percentuali da capogiro – per quanto riguarda le immatricolazioni di auto ricaricabili – in tutto il resto d’Europa, Italia esclusa. Qualche paletto oggettivo aiuterà il prosieguo della discussione. Se consideriamo le immatricolazioni 2022 di auto elettriche e plug-in nei Paesi della comunità europea,  aggiungendo Islanda, Norvegia, Svizzera e UK, scopriamo che solo in Norvegia tale percentuale arriva a un eclatante 88%. In Svezia e Islanda essa valica il muro del 50%, mentre in altri 12 Paesi si sta nella fascia 20%-40%. Da lì c’è un salto all’indietro, a chi ha immatricolato meno del 10% di auto alla spina. Si tratta di 15 Paesi, con l’Italia terza, in questa classifica parziale, con il suo 9% scarso. Certamente in ritardo, rispetto ad altri mercati più significativi: Germania (31%), UK (23%), Francia (21%) e rispetto alla media di tutti i Paesi in esame (23%).

Attenzione: in Europa, tra le auto ricaricabili, le plug-in hanno rappresentato, nel 2022, il 39% delle immatricolazioni “alla spina”. Ma anche le plug-in dovranno (dovrebbero) uscire dal mercato “consentito” nel 2035. C’è poi la decisione del Consiglio d’Europa di porre fine al meccanismo normativo di incentivazione per i veicoli a zero e basse emissioni (ZLEV) a partire dal 2030. Ci sarà mercato, senza incentivi?

Se sì, lo intercetteranno le auto cinesi a minor costo d’acquisto? Il 2023 non è certo iniziato con il vento in poppa. A gennaio sono state vendute solo 672.000 unità, quasi la metà delle vendite di dicembre 2022. Molti crediti d’imposta e i sussidi governativi, in diversi Paesi, sono stati ridotti o rimossi, eccezion fatta per il mercato statunitense e agli aiuti previsti nell’Inflation Reduction Act. Invece in Cina, il più grande mercato di veicoli elettrici, si è registrata una riduzione di quasi il 50% delle vendite rispetto al mese precedente. In Europa, vista l’annunciata fine di molti incentivi, molti automobilisti hanno anticipato gli acquisti dal primo trimestre del 2023 al dicembre 2022.

Le emissioni

Se, il linea generale, il pacchetto “Fit for 55” mira a ridurre le emissioni nette di gas serra in Europa – di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 – e a conseguire la neutralità climatica entro il 2050, tale applicazione al settore automotive ha assunto toni drastici e fors’anche impositivi. A quanto ammontano le emissioni di CO2 in Europa? Quale è la quota riconducibile al traffico di autovetture? La decisione di impedire la vendita di auto Diesel e benzina dal 2035, di quanto ridurrà tale impatto?

Nell’acceso dibattito di questi giorni, ovviamente in molti hanno citato fonti ed elaborato calcoli. Sembra essere vicino alla realtà l’affermare che i trasporti su strada contribuiscano tra il 10% e il 20% delle emissioni di anidride carbonica in Europa. In un suo recente video-intervento, Nicola Armaroli dirigente del CNR, e direttore della rivista “Sapere” – lo determina nel 16%. Va tenuto presente che dal 2015, anno del Dieselgate, in Europa la quota di mercato diesel (non ibridizzate) è scesa dal 51% al 16%. Un capitombolo non così evidente per le auto alimentate solo a benzina: dal 43% al 36%. Mentre le ibride, mild o full che siano, sono vertiginosamente cresciute, dal 2% al 24%.

Il lavoro

Si è molto dibattuto, in questi giorni, sulla possibile perdita di migliaia di posti di lavoro in Europa. Tutti i 13 milioni di lavoratori automotive (il 7% sul totale degli occupati europei) avranno la possibilità di ricollocarsi? Tutte le aziende che li occupano potranno riconvertirsi? Quale sarà il saldo tra posti di lavoro “termici” persi e quelli nuovi creati dalla mobilità elettrica?

L’infrastruttura

Dubbi anche per l’infrastruttura di ricarica. Ci sono attualmente 400mila charging stations in Europa. Per realizzare il piano che sta perseguendo, l’EU-27 ha bisogno di altri 3 milioni di stazioni, entro il 2030. Costo stimato: 240 miliardi. Sono i numeri forniti dalla nota società di consulenza McKinsey, nel rapporto “L’opportunità europea per i veicoli elettrici e l’infrastruttura di ricarica necessaria per soddisfarla”, pubblicato a novembre 2022. E ancora: chi non ha un box?

L’automobilista

Ultimo della lista, come al solito, viene il povero e criminalizzato automobilista. Che oggi, in Italia, se non ha un abbonamento flat alle colonnine di questo o quel fornitore, trova nel vecchio e bistrattato (ma scelto da molti) GPL l’unica vera, attuale opportunità di risparmio. Voce non di secondo piano, visto che il reddito pro-capite nazionale non è quello del… Qatar. Poi c’è il tema della libertà di movimento individuale, che non pochi mettono in discussione, sull’altare della lotta al cambiamento climatico. 

Una mela acerba

L’auto elettrica affollerà certamente le strade europee, ma sembra che i tempi dettati dall’UE (2035) siano incompatibili con quelli dell’industria, della riconversione, dell’occupazione e dell’infrastruttura. Bio-carburanti, carburanti sintetici, idrogeno: saranno queste soluzioni ad aggiungersi alla prospettiva tecnologica, come ulteriori alternative, quando i decisori politici faranno il punto, nel 2026? Difficile pronosticarlo ma, di certo, una sola ricetta risulta indigesta.

Stop al “tutto elettrico”: e ora risposte rapide e chiare

di Roberto Benaglia, segretario generale FIM

Il rinvio deciso dall’Ue potrà essere un’opportunità, solo se il tempo servirà ad assumere migliori decisioni sulle tecnologie sulle quali investire e sulle politiche di accompagnamento e sostegno al settore. Quello che assolutamente non serve ora, è alimentare un clima di ulteriore incertezza che rischia di frenare le scelte negli investimenti e sulle tecnologie, mettendo ancor di più a rischio l’occupazione.

Lo stallo nelle scelte rischia solo di essere un ulteriore elemento di confusione in un settore che ormai ha già investito decine di miliardi di euro verso la transizione ecologica e motori elettrici. La politica non deve fare a braccio di ferro, ma servono subito risposte chiare, che diano la direzione al settore e permettano di confermare e realizzare gli investimenti e l’occupazione necessari.

Fim Cisl da molti anni chiede una politica industriale europea e decisioni di sostenibilità ambientale, ma che siano socialmente possibili. Invece, fino a oggi abbiamo avuto un’Unione Europea capace di definire obiettivi ambiziosi ma incapace di mettere in campo politiche di sostegno adeguate, per questo ribadiamo la necessità di avere un Fondo Sociale europeo per la transizione del settore dell’automotive che permetta di reindustrializzare il settore e soprattutto tutelare i lavoratori.

Stop al “tutto elettrico”: l’Europa si ferma e gli altri avanzano

francesco naso

di Francesco Naso, segretario generale di Motus-E

Il dibattito pubblico sul futuro dell’auto si sta concentrando in modo miope solo sul 2035, ma la vera partita per il rilancio dell’industria italiana è un’altra. Indipendentemente da questa data, oggetto ormai di uno scontro più che altro ideologico e mediatico, il settore ha già iniziato da tempo a muoversi a grandi passi verso l’elettrico, con investimenti senza precedenti che porteranno molti costruttori a diventare full electric ben prima del 2035.

Il vero tema su cui dobbiamo concentrarci è la reattività del nostro sistema Paese di fronte a un megatrend inarrestabile, perché ogni giorno perso a litigare sul 2035 o su altri aspetti marginali di una transizione tracciata è un giorno di vantaggio che regaliamo ad altri Stati, per cogliere le opportunità industriali che noi stiamo già mappando con l’Osservatorio sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive.

Emblematico è quanto sta accadendo negli Usa, dove la straordinaria iniezione di risorse dell’Inflation Reduction Act ha calamitato solo nei primi mesi dall’annuncio decine di miliardi di investimenti, creando nuove attività e posti di lavoro proprio grazie alla mobilità elettrica. ‘Un simile impegno dell’Europa aiuterebbe, ad esempio, l’Italia a creare una solida industria nazionale delle batterie e a sviluppare tutte le opportunità del riciclo, oggetto di un nostro recente studio messo a punto con Strategy& e Politecnico di Milano.

A prescindere dalle scelte europee sarà poi essenziale la visione di politica industriale, che non può prescindere anche da un riscontro concreto per diffondere la e-mobility al pari degli altri big europei. Motus-E su questo condivide la necessità evocata dal Governo di rivedere gli attuali incentivi all’acquisto per le auto elettriche.

A febbraio abbiamo osservato un buon recupero delle immatricolazioni full electric, ma è evidente che servano dei correttivi, le risorse ci sono, sono state già stanziate, ma vanno impiegate bene, e questo vale per l’ecobonus, ma anche per i fondi PNRR per le colonnine a uso pubblico: in ballo ci sono 700 milioni per oltre 21.000 infrastrutture di ricarica da non sprecare. A costo zero sarebbe invece un risoluto intervento politico per sbloccare l’infrastrutturazione di molte tratte autostradali.

Ciò che davvero può mettere a rischio imprese e lavoratori italiani è l’incertezza che si sta facendo serpeggiare nel Paese, anche con la propagazione più o meno consapevole di informazioni distorte. Il vero pericolo è quello di avvitarsi in un dibattito ormai fuori dal tempo, mentre il resto del mondo va avanti’. Queste infine le quattro priorità indicate dall’associazione: superare le sterili conflittualità ideologiche sull’auto, premere sull’Europa per un piano di supporto alla conversione della filiera, rivedere gli incentivi per facilitare il passaggio all’elettrico ed eliminare laddove ancora esistono i colli di bottiglia per la diffusione delle infrastrutture di ricarica.

Buon lavoro alla nuova Giunta lombarda: focus sulla mobilità

di Geronimo La Russa, presidente di ACI Milano

Buon lavoro al presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e alla sua nuova Giunta. Oltre che complimentarmi con Fontana, mi sono già accordato con l’assessore ai Trasporti e Mobilità, Franco Lucente, per condividere con lui azioni e strategie in un settore che ci vede direttamente coinvolti. Obiettivo favorire politiche che vadano nella direzione di una mobilità sostenibile anche attraverso un corretto uso dell’auto.

Discorso analogo vale per l’assessore alla Cultura, Francesca Caruso, e per il sottosegretario allo Sport, Lara Magoni, con le quali avvieremo un dialogo sulla valorizzazione delle auto storiche e degli eventi del motorsport.

 

Stop al “tutto elettrico”: risultato fondamentale per l’Italia

bignami

di Galeazzo Bignami, viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti

Il rinvio in Europa dello stop alle auto a benzina e Diesel previsto per il 2035 è un risultato fondamentale per il tessuto produttivo nazionale e per tutti gli italiani. Una decisione che, grazie alla ferma posizione assunta dall’Italia, è ora slittata, subordinandola ad ulteriori approfondimenti con gli Stati Membri.

Come abbiamo sempre affermato, l’obiettivo centrale della sostenibilità ecologica deve essere accompagnato parimenti da una vera sostenibilità economica e sociale. La transizione ecologica e il miglioramento della qualità ambientale sono un traguardo fondamentale per questo Governo da raggiungere non mediante adesioni a sterili ideologismi, ma adottando tutte le soluzioni tecnologiche che garantiscono effettivi benefici ambientali.

Stop al “tutto elettrico”: sconfitta politica per l’UE

di Massimiliano Salini, europarlamentare

 

Il rinvio del Consiglio UE e le forti tensioni politiche sullo stop a Diesel e benzina dal 2035 segnalano che sta saltando il tentativo del vicepresidente Frans Timmermans, e della componente più ideologizzata della Commissione, di rovesciare l’assetto dell’industria e della mobilità Ue secondo lo schema intransigente del solo elettrico. Per loro è già una sconfitta politica ed è un severo monito alla cosiddetta “maggioranza Ursula” che regge la Commissione: sulla transizione ecologica l’esecutivo UE sta sbagliando, o corregge subito il tiro oppure saranno i cittadini a imporre il cambiamento, spazzandola via con il voto europeo del 2024.

 

La fermezza del Governo italiano sul principio di neutralità tecnologica, la preoccupazione diffusa tra i Paesi UE e nella filiera automotive europea, che verrebbe falcidiata da un’elettrificazione imposta e irresponsabile, e l’insistenza di parte del governo tedesco contro l’eliminazione completa del motore endotermico, mettono radicalmente in discussione l’approccio ultra-green di Bruxelles.

 

Restiamo fortemente contrari a un passaggio forzato all’auto elettrica, che non solo distruggerebbe migliaia di aziende e posti di lavoro nell’automotive, ma sarebbe una scelta dannosa anche sul piano ambientale, in quanto i futuri mezzi elettrici rischiano di essere alimentati da energia “non pulita”, spostando semplicemente le emissioni in altri settori dell’economia o in altri Paesi.

 

 

Lo stop al “tutto elettrico”: dobbiamo difendere il settore automotive

di Gilberto Pichetto, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica

Non dobbiamo difenderci dall’elettrico, ma accompagnare il cambiamento. C’è tutta la nostra convinzione di andare avanti nella decarbonizzazione, ma con l’accompagnamento di un percorso tecnologico compatibile. Per questo abbiamo chiesto all’Europa che ci sia una strategia di unione. L’UE è un consorzio, non è una cooperativa che ha fini mutualistici e sociali, non è uno Stato che ha un interesse collettivo da difendere, essendo un consorzio, ognuno porta a casa la sua quota negoziale massimizzando la propria quota di consorzio.

Dobbiamo difendere il nostro Paese. Il complesso dell’automotive conta 1 milione 250mila occupati, il più poderoso settore manifatturiero del Paese.

Full electric: parlarne è sinonimo di buon senso

Decarbonizzazione

di Massimo Artusi, vicepresidente di Federauto, con delega ai Trucks&Van 

 

Il rinvio del voto del Consiglio europeo sullo stop al 2035 per i motori endotermici (ICE) per auto e veicoli commerciali leggeri è il segno che il buon senso si va facendo strada anche tra le Istituzioni comunitarie, dove trova sempre più spazio la convinzione che legare l’obiettivo della decarbonizzazione alla sola trazione elettrica – dimenticando i carburanti rinnovabili – non è logico sul piano tecnico-ambientale e mette a rischio la sostenibilità sociale ed economica, senza togliere di fatto dalle strade i veicoli più inquinanti (e potenzialmente più pericolosi per l’assenza dei dispositivi di sicurezza già oggi di serie).

La decisione, tuttavia, è soltanto rinviata. Il che vuol dire che nulla è ancora definitivamente deciso e che il pragmatismo che è emerso negli ultimi giorni – per l’apprezzabile impegno del Governo italiano – non ha ancora finito di misurarsi con una posizione ideologica mono-tecnologica che finora sembrava procedere con il vento in poppa. Non è un caso che, proprio a seguito del rinvio deciso dal Consiglio, si è intensificata la comunicazione dei fautori del “full electric”, che – non potendo prendersela con chi deciderà sulla questione su basi più razionali – hanno addebitato la scelta europea al dibattito in corso sul tema, trattandolo alla stregua di un litigio miope e di “retroguardia” che avrebbe ingenerato confusione nei decisori italiani ed europei.

 

Colpisce in queste reazioni la sostanziale assenza, tra le motivazioni a sostegno del “solo elettrico2, di argomentazioni sull’effettiva efficacia degli obiettivi per la decarbonizzazione, l’uso di assiomi tutt’altro che dimostrati e il richiamo a paure e rischi al fine di evitare la discussione e non di approfondire la materia. Il focus viene posto solo su questioni di metodo, ossia che ormai l’industria ha fatto la propria parte, investendo su questa tecnologia e che quindi ora l’Unione Europea e gli Stati membri devono fare la loro, fissando scadenze più “sfidanti” possibili e definendo sostanziosi sostegni pubblici per gli investimenti in infrastrutture per le ricariche e in acquisto dei veicoli elettrici. Magari prevedendo un massiccio piano di investimenti come quello varato negli Usa da John Biden (peraltro tacciato di protezionismo dai produttori europei di automobili, ma anche di quelli giapponesi e sudcoreani).

 

Io e l’auto elettrica: mai e poi mai, un suicidio collettivo

di Pier Francesco Caliari, direttore della comunicazione e direttore marketing

Ho visto la Skywell ET5, una full electric cinese che viene offerta a circa 20mila euro, cioè circa il 50% in meno di una Fiat 500 elettrica e meno della metà di una Tesla. Quando l’amministratore delegato di Stellantis (la vecchia Fiat) ha recentemente dichiarato a “Quattroruote” che i politici a Bruxelles stanno distruggendo l’industria europea dell’automobile imponendo l’elettrico, si riferiva proprio a questo: l’arrivo di auto cinesi a prezzi non raggiungibili dall’industria europea.

Non solo: una auto elettrica non costa nulla. I motori elettrici non costano nulla, si eliminano i differenziali, si riducono gli impianti frenanti, le piattaforme sono tutte eguali. La parte più costosa sono le batterie, inquinanti da costruire e difficili da smaltire e, soprattutto, monopolio cinese. Quindi, licenziamenti in massa, riduzione degli investimenti e buona parte del valore che va in Cina.

Tutto questo per avere auto “ecologiche” che ecologiche non lo sono affatto, visto che l’energia elettrica ancora per moltissimi anni la si produrrà da combustibili fossili, anche questi importati a caro prezzo in Europa. Non solo. Hanno imposto i veicoli elettrici senza avere la più pallida idea di come ricaricarli, visto che non solo non esistono le centrali elettriche aggiuntive necessarie, ma neppure la rete di distribuzione (colonnine) né un progetto su come realizzarla (ad esempio, cosa ne faremo dei distributori di carburante, chi gestirà le colonnine, dove saranno posizionate… ecc…).

Insomma, follia pura. Da parte mia non comprerò mai una auto elettrica, non voglio essere parte di un suicidio collettivo.