di Andrea Taschini, manager automotive (dal magazine “Parts”)
La Germania sembra diventato il malato d’Europa tanto che l’articolo si potrebbe intitolare “dalle stelle allo stallo”. Errori ideologico-ambientalisti di strategia energetica e una sottovalutazione del procedere incalzante della storia, hanno portato il Paese in una situazione molto complessa da cui sarà difficile uscirne e da cui noi tutti dovremmo trarne importanti insegnamenti. L’economia tedesca è per l’industria italiana un cliente essenziale e il fatto che si sia inceppata pone un grosso problema al nostro tessuto industriale le cui conseguenze potrebbero trascinarci in una spiacevole recessione. Gli sviluppi sono ancora tutti incerti e da seguire con molta attenzione.
Germania alla resa dei conti
L’energia è la prima fonte di benessere. Tutta la storia dell’umanità è stata un inseguire fonti energetiche sempre più efficienti, disponibili e possibilmente a basso prezzo. Ancor di più la storia economica recente ha l’energia come una guideline imprescindibile: ogni qualvolta storicamente il prezzo delle fonti energetiche è stato basso, la macchina produttiva occidentale ha generato ricchezza, al contrario, la sua scarsità scaturita da motivi esogeni al proprio volere, ha sempre provocato recessioni.
Il caso tedesco che vogliamo oggi analizzare appare invece come una vicenda di incredibile ideologismo misto a errori di visione strategica che definire grossolani apparirebbe un eufemismo. Da tempo e più volte anche su questa rivista, abbiamo sottolineato di come la politica energetica e industriale di Berlino stessero minando le proprie solide fondamenta economiche e sebbene il declino tedesco sia ormai chiarissimo, riesce a ribadire ancora una volta di come il Paese, una volta presa una deriva sbagliata, sia incapace di correggere la rotta schiantandosi quasi sempre contro il muro dell’autolesionismo. I due progetti, sia quello energetico, sia quello dell’auto elettrica, stanno portando la Germania a uno stallo recessivo molto complesso dove le vie d’uscita saranno estremamente difficoltose da trovare.
Uno sguardo sulla politica geostrategica del continente europeo
Tutti si sono concentrati a lungo e piuttosto inutilmente sugli effetti che la Brexit avrebbe causato al Regno Unito trascurando invece quali effetti avrebbe avuto sull’intero assetto politico del Vecchio continente. L’uscita del Regno Unito dalla UE ha provocato infatti una forte rottura di equilibrio di forze nel quale la Germania aveva avuto il benestare per una leadership continentale benché in una forma sostanzialmente controllata.
La Francia, che ha sempre subito la forza economica tedesca, aveva tutto sommato le spalle coperte dallo storico alleato anglosassone e congiuntamente a esso bilanciava lo straripante apparato industriale tedesco. Dopo la Brexit la Germania che non ha più avuto limiti alla sua egemonia e forte di un’economia robusta apparentemente inattaccabile, è diventata troppo ingombrante sia per gli Stati Uniti che il Regno Unito che storicamente non hanno mai permesso da Napoleone in poi che un singolo Stato europeo dominasse il Continente. Qui cominciano i guai: prima il Covid poi la guerra in Ucraina, unitariamente ad innegabili errori tedeschi, hanno piegato la Germania facendo saltare tutti i piani del governo di Berlino.
Il disegno tedesco è andato in fumo
Berlino aveva disegnato un percorso industriale dove l’energia sotto forma di gas sarebbe dovuta arrivare abbondante e a basso costo dalla Russia (80% del fabbisogno) insieme a parecchie materie prime chiave necessarie alla propria macchina industriale. Il Governo pensava così di mettere fuori gioco la concorrenza (anche dei propri partner comunitari) con costi molto competitivi che le avrebbero permesso di esportare il Made in Germany in tutto il globo, ma soprattutto nell’immenso mercato cinese, vero target e ossessione dei tedeschi.
ggiungendo qualche pala eolica, ritenevano inoltre di aver raggiunto un mix energetico a basse emissioni tanto che la spinta green tedesca al “Fit for 55” nell’Unione è stata decisiva per la sua approvazione.
Inoltre, con un atto di sconsiderata supponenza ideologica, sono riusciti pure a spegnere le tre centrali nucleari rimaste in funzione creando i presupposti per un buco energetico senza precedenti cosa che è inevitabilmente avvenuto. La già citata vicenda della guerra russo-ucraina come sappiamo, ha successivamente scombinato i piani tedeschi (che ho sempre definito spericolati) privandoli del gas: senza nucleare con molte pale eoliche inefficienti oggi sono costretti a scavare carbone esattamente come facevano nel XIX secolo, riuscendo nell’impresa di creare le condizioni per una pericolosa scarsità energetica.
La penuria energetica che sta oggi mettendo in croce l’industria tedesca, sta costringendo a fermare gli impianti produttivi tanto da ipotizzare una fuga delle aziende verso Paesi con più solide e competitive basi energetiche. Per darvi un’idea, a fine agosto, in assenza di sole (in Germania ce né notoriamente poco) e vento, il mix energetico tedesco era composto dal 50% carbone il 25% di gas liquefatto (che costa il 30% in più di quello normale), che è l’esatto contrario di quanto il governo di Berlino si era prefissato.
Oggi non solo la Germania è sotto uno scacco energetico senza precedenti, ma è di gran lunga il maggior emettitore di CO2 in Europa.
Non è importante che gli ambientalisti promuovano un’idea di una Germania con la media ponderata del 50% di rinnovabili se ci sono cadute produttive come quelle appena descritte: l’industria ha bisogno di forniture energetiche continuative e certe, soprattutto in un Paese ad alto consumo energetico come quello tedesco.
I guai dell’auto
Non si è capito bene se l’iniziale e immotivato entusiasmo tedesco per l’auto elettrica sia stato un errore, un abbaglio o frutto di un progetto di abbandono del settore in favore di Pechino (in cambio di cosa?). Certamente, le posizioni tedesche, sia del Governo ma anche dell’industria, hanno lasciato basito più di un osservatore. Che il maggior produttore mondiale di autovetture e sicuramente quello con il maggior valore aggiunto, abbia deciso improvvisamente di spalancare le porte d’Europa alla temibile concorrenza cinese, ha dell’incredibile. Abbiamo assistito a show di amministratori delegati germanici che, noncuranti delle conseguenze industriali, celebravano la venuta dell’auto elettrica.
L’entusiasmo (immotivato) è comunque durato poco e oggi pare riesca a trovare attorno ben pochi supporter: il vecchio amministratore del gruppo Volkswagen, principale sponsor dell’auto a batteria, non è più in azienda, il Ceo di Bmw molto saggiamente sta evidenziando come manchino le materie prime, tra l’altro sotto il controllo della Cina, per una transizione elettrica e il Governo probabilmente preoccupato dalla scarsità di energia elettrica, si è affrettato a togliere gli incentivi riposizionandoli saggiamente sulle auto a motore endotermico.
Ricaricare un’auto con elettricità prodotta con il carbone è infatti un gigantesco paradosso non più sostenibile e francamente anche un po’ ridicolo. Aggiungo pure che con modalità boomerang, gli incentivi così generosamente elargiti in passato per acquistare un’auto elettrica, sono finiti nelle casse delle aziende cinesi più che in quelle tedesche, visto che batterie e motori provengono al 77% dal Paese asiatico. Rispetto ad un anno fa sembra il mondo capovolto: intanto, si è perso tempo e denaro, ma soprattutto si sono aperti varchi non più richiudibili per le vetture cinesi che invaderanno il Continente distruggendo valore per il popolo tedesco e più in generale europeo.
Una lezione per l’Italia
Sono sempre stato convinto che nelle imprese si impari più osservando gli errori degli altri piuttosto che dai loro virtuosismi. Il nostro Paese si è dimostrato una volta tanto lungimirante sia in materia energetica sia in quello della mobilità (le vendite di auto elettriche in Italia sono il 3,8% del totale); tuttavia la lezione tedesca rappresenta un forte monito che mette chiunque in guardia da estremismi modaioli e insensati eccessi ambientalisti.
I contraccolpi della recessione tedesca si faranno sentire soprattutto nel nord del nostro Paese dove le esportazioni verso il mercato germanico sono preponderanti e questo è un monito ancora più importante che dovrebbe suggerirci di non concentrare mai troppo le esportazioni verso un’unica area economica. Se la globalizzazione ha portato dei vantaggi positivi tra i tanti negativi, è proprio la possibilità di avere il mondo intero come mercato da esplorare.
Bisogna sempre riflettere sul contesto in cui il nostro business è posizionato, perché se è vero che il capitano della nave può governare le vele, umilmente deve prendere atto dell’impossibilità di gestire il vento.