Autotrasporto, cattivi pagatori: per risolvere il problema imitare il modello spagnolo

Autotrasporto, cattivi pagatori: per risolvere il problema imitare il modello spagnolo

di Cinzia Franchini, presidente di Ruote Libere

 

Per arginare gli atavici problemi che affliggono l’autotrasporto italiano sarebbe il momento che il nostro Paese mutuasse almeno quello che di buono si sta facendo altrove. Mi riferisco in particolare al tema dei cattivi pagatori. In Italia, come sappiamo, esiste una normativa in base alla quale “il termine di pagamento del corrispettivo relativo ai contratti di trasporto di merci su strada non può essere superiore a sessanta giorni, decorrente dalla data di emissione della fattura da parte del creditore”. Al fine di rendere effettive le tempistiche di pagamento indicate, la medesima norma prosegue precisando che “è esclusa qualsiasi diversa pattuizione tra le parti, scritta o verbale che non sia basata su accordi volontari di settore”.

 

Sempre la stessa legge prevede che “ove il pagamento del corrispettivo avvenga oltre il novantesimo giorno dalla data di emissione della fattura, oltre agli interessi moratori al committente debitore si applichi la sanzione amministrativa pecuniaria pari al 10 per cento dell’importo della fattura e comunque non inferiore a 1.000 euro”. Una norma che esiste da molti anni, ma che viene puntualmente disattesa come sanno bene in primis le piccole e medie aziende di autotrasporto costrette a far quadrare bilanci difficili con l’aggravio di queste vere e proprie ingiustizie che falsano il mercato.

 

Ebbene, il Governo spagnolo ha introdotto, già da due anni, una nuova legge in materia di ritardo nei pagamenti. Tale regolamentazione prevede oltre a pesanti sanzioni per le aziende che non effettuano i pagamenti entro il termine massimo di 60 giorni, anche la pubblicazione dell’elenco delle aziende che saldano in ritardo. Con l’applicazione di questa legge, perfettamente in linea con le direttive europee sul controllo dei pagamenti ritardati, la Spagna ha quindi cercato di porre fine a uno dei problemi più comuni del settore. In pratica il Governo rende pubblico a tutti l’elenco delle aziende che non rispettano la legge in materia di pagamenti: una lista aggiornata e facilmente scaricabile dal sito del ministero.

Risultato? Stando ai dati di un’autorevole associazione di autotrasporto spagnola, il pagamento medio nel mondo dell’autotrasporto è sceso da 81 giorni (valore medio per il 2021) a 69 giorni (valore medio per il 2023), ridotto a 66 giorni a dicembre. Lo stesso ministro spagnolo dei Trasporti ha spiegato che con la pubblicazione delle società che pagano in ritardo si aumenta la trasparenza e la responsabilità nel settore del trasporto su strada, promuovendo pratiche commerciali eque e incoraggiando la puntualità dei pagamenti.

Come sappiamo, anche in Italia spesso i committenti sono cattivi pagatori, anche quando sono altri autotrasportatori, ovvero aziende di autotrasporto di grandi dimensioni che possono godere di un potere contrattuale superiore. In assenza di un disincentivo reale al ritardo nei pagamenti, è quindi evidente che i grossi gruppi possono mettere in ginocchio le realtà più piccole favorendo ulteriormente i processi aggregativi forzati e il monopolio di fatto del settore.

La norma spagnola in base alla quale l’Amministrazione Pubblica competente per l’irrogazione delle sanzioni pubblica periodicamente le delibere sanzionatorie, ha dimostrato come invertire la rotta sia possibile. Ora in Spagna il tempo di pagamento medio è vicino a quello regolamentare e si è ridotta anche la percentuale di spedizionieri e intermediari che pagano oltre i 120 giorni: oggi sono solo l’11% contro l’oltre il 20% di due anni fa. Un modello simile applicato all’Italia renderebbe il nostro un Paese più civile e contribuirebbe a restituire un minimo di dignità al settore dell’autotrasporto.

 

Verso le elezioni UE: occorre un approccio fondato sulla neutralità tecnologica

Verso le elezioni UE: occorre un approccio fondato sulla neutralità tecnologica

di Roberto Vavassori, presidente di ANFIA

A marzo 2024, il mercato europeo dell’auto registra la prima flessione da inizio  anno, seppure contenuta (-2,8%), complice la concomitanza con le Festività Pasquali che, in alcuni dei maggiori mercati, ha determinato un numero inferiore di giorni lavorativi nel mese, incidendo negativamente sulle vendite. Nel terzo mese dell’anno, tra i cinque i major market (incluso UK), solo il Regno Unito  mantiene una variazione positiva (+10,4%), mentre registrano una flessione la Germania  (-6,2%), la Spagna (-4,7%), l’Italia (-3,7%) e la Francia (-1,5%).

A marzo, la quota di penetrazione delle vetture elettriche pure (BEV), pari al 14,2%, supera nuovamente la quota delle vetture Diesel (10,1%), come nel mese precedente. In  Italia, invece, l’immatricolato Diesel pesa per il 15,1% delle vendite nel mese, contro l’appena 3,3% delle BEV (al 2,1% a gennaio 2024 e al 3,4% a febbraio). A questo  proposito, essendo stato finalmente pubblicato il decreto attuativo relativo al nuovo  piano di incentivi all’acquisto di auto green (ecobonus), speriamo che la misura possa diventare al più presto operativa così da indirizzare gradualmente i consumatori verso i  veicoli a basse emissioni locali.

Sul fronte della transizione ecologica a livello UE, resta importante sensibilizzare i  politici in corsa per le elezioni europee di giugno sulla necessità di un approccio fondato sulla neutralità tecnologica, che comprenda tutti i vettori energetici decarbonizzati, quali energia elettrica rinnovabile, e-fuels e biocarburanti”.

 

Idrogeno: l’Italia deve diventare un grande produttore

Idrogeno: l'Italia deve diventare un grande produttore

di Gilberto Pichetto Fratin , ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica
(dal forum “Sole 24 Ore” su idrogeno e nuove frontiere energia)

Nel Pnrr abbiamo investito 3,6 miliardi di euro sull’idrogeno, che vanno in parallelo con migliaia di interventi in vari ambiti. Direi di no ora all’ipotesi di allungare la scadenza del Pnrr, perché ogni volta che si ampliano i tempi poi ci si rilassa. I tempi ci sono e dobbiamo imparare come Paese a viaggiare in modo più veloce. Quanto al Tavolo per la definizione della strategia nazionale su idrogeno, deve dare il percorso della strategia sullo sviluppo nazionale e qui penso che avremo risultati entro l’estate. Infine è quasi pronto lo schema di decreto sugli incentivi economici per la produzione dell’idrogeno a basso costo. Sarei soddisfatto se l’Unione europea lo approvasse entro la fine dell’anno

 

La strategia nazionale dell’Italia riguarda lo sviluppo delle varie forme di produzione di idrogeno, dall’idrogeno blu all’idrogeno verde. Dobbiamo attrezzare il sistema delle imprese, soprattutto quello dei settori “hard to abate”. Dobbiamo creare le condizioni affinché nei prossimi 20 anni l’Italia diventi un grande produttore, che faccia stare in piedi le nostre imprese e ci veda come un ponte importante verso il resto dell’Europa. Entro l’estate avremo la strategia.

La questione idrogeno è una questione di integrazione prezzo, serve  il giusto equilibrio perché funzioni. Dobbiamo avere il coraggio di  adottare in progress, sullo schema siamo in dirittura di arrivo e  dobbiamo mandarlo alla UE.

Incentivi: è urgente la pubblicazione del DPCM

Incentivi: è urgente la pubblicazione del DPCM

di Andrea Cardinali, direttore generale di UNRAE

Considerata la paralisi che si è generata sul mercato delle auto BEV e PHEV, L’UNRAE ribadisce l’urgenza della pubblicazione del DPCM in “Gazzetta Ufficiale”, che a causa di ulteriori passaggi “burocratici” potrebbe slittare a maggio. In tema di incentivi riteniamo indispensabile per lo sviluppo della  mobilità a zero emissioni che il tetto di prezzo per le auto 0-20 g/km venga eliminato o  quantomeno equiparato a quello della fascia 21-60 g/km. Attualmente, infatti, sono esclusi  gran parte dei modelli disponibili sul mercato, tra i quali la maggioranza di quelli che possono usufruire di ricarica super-veloce, e sono penalizzate le aziende, che tendono ad acquistare  vetture di segmento superiore.
Inoltre, per favorire la transizione, ribadiamo la necessità di  intervenire sul regime fiscale delle auto aziendali in uso promiscuo, che penalizza tutte le  imprese Italiane nel confronto con gli altri Major Markets europei. Auspichiamo che tale  revisione venga realizzata attraverso i decreti attuativi della Delega Fiscale, al fine di rilanciare la competitività delle nostre imprese e valorizzare il contributo che le stesse, con il veloce ricambio dei veicoli aziendali, possono fornire per accelerare il rinnovo del parco circolante.

In ambito europeo, lo scorso 12 aprile il Consiglio Europeo ha adottato il Regolamento Euro  7 che stabilisce limiti per le emissioni dei veicoli stradali. L’UNRAE, prendendo atto dell’adozione di tali norme, concorda con la decisione di prolungare i tempi di  introduzione dei nuovi limiti, una scelta pragmatica che rende la norma più compatibile anche  con gli investimenti e le tempistiche di introduzione del Fit for 55.

Noleggio veicoli: immatricolazioni in “crescita frenata”

Noleggio veicoli: immatricolazioni in “crescita frenata”

Foto: Alberto Viano, presidente di ANIASA

Il settore del noleggio veicoli ha aperto il 2024 in leggera crescita sull’anno scorso: +5,46% nel primo trimestre. Un incremento trainato dall’importante recupero del noleggio a breve termine (+71,13%) e dal buon andamento del settore dei veicoli commerciali nel lungo termine (+33,83%). Fiacco, invece, il long term delle auto, in contrazione del 13,55%. Sono questi i principali dati e spunti che emergono dall’analisi trimestrale sul settore del noleggio veicoli promossa da ANIASA e da Dataforce.

Si tratta del primo di una serie di appuntamenti trimestrali, in occasioni dei quali l’Associazione che in Confindustria rappresenta il settore della mobilità pay-per-use e la società di analisi di mercato metteranno a disposizione di media, istituzioni, stakeholder e opinione pubblica un monitoraggio puntuale sull’andamento delle immatricolazioni del noleggio veicoli. L’obiettivo è evidenziare i principali trend in atto per i settori del lungo e del breve termine, analizzando (dati alla mano) le tematiche di più stretta attualità, come la diffusione delle alimentazioni a basse o zero emissioni, la suddivisione per utilizzatore e molto altro ancora. In chiusura il consueto focus, curato da Dataforce, sugli operatori del comparto.

Il noleggio veicoli quest’anno vale il 31% dell’intero mercato italiano. Una quota che, nonostante la flessione di auto registrata dal noleggio a lungo termine (NLT), ben 4,6 punti in meno dell’anno scorso che aveva però beneficiato di un ampio portafoglio ordini legato anche alle ritardate consegne del 2021 e 2022, è rimasta sostanzialmente inalterata rispetto al primo trimestre 2023.

Un risultato determinato dalla forte crescita delle immatricolazioni NLT dei veicoli commerciali (oggi la soluzione d’acquisizione più diffusa per i veicoli da lavoro, persino più degli acquisti aziendali in proprietà diretta), nonché dall’impennata dell’inserimento di veicoli in flotta del rent-a-car, salito quest’anno oltre l’8,5% di quota di mercato (+3,2 punti), che riequilibra così la flessione del lungo termine.

Era da prima del COVID che non si registrava un aumento così forte nel breve termine, trainato principalmente dalle autovetture di piccola e media fascia/cilindrata, in vista della prossima stagione turistica. Sembra alle spalle il triennio 2021-2023 in cui si registravano non poche difficoltà nell’approvvigionamento di veicoli da parte di questo canale.

“I dati relativi all’andamento delle immatricolazioni a noleggio del primo trimestre evidenziano una crescita rallentata del settore. A frenare le immatricolazioni sta contribuendo decisamente l’effetto annuncio incentivi del Governo che sta provocando nelle aziende clienti un rinvio del rinnovo delle flotte, in attesa che i nuovi incentivi (finalmente al 100% anche per il noleggio) entrino in vigore. Un ulteriore periodo di attesa rischia di azzerare le nuove immatricolazioni di veicoli a basse e zero emissioni anche nel  mese di aprile. Occorre accelerare per evitare di interrompere la ripresa del mercato, come già il mese di marzo dimostra, e innescare un paradossale effetto di innalzamento dell’età media delle vetture in flotta”, osserva Alberto Viano, presidente di ANIASA.

Auto elettriche e ripensamenti: intanto i cinesi…

Auto elettriche e ripensamenti: intanto i cinesi...

di Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova (think tank specializzato in lavoro e sviluppo sostenibile)

Sono stati i grandi gruppi europei dell’auto – Stellantis e Volkswagen in particolare – a spingere le scelte politiche in direzione dell’elettrico Questo perché il mercato da troppi anni è fermo e si è pensato che, stimolando un rinnovo del parco circolante e inducendo quindi i consumatori a comprare l’auto elettrica, si potesse determinare un impatto positivo sulla produzione.

 

Ora naturalmente è chiaro a tutti che l’attuale quadro favorisce l’industria cinese, più avanti della nostra nella produzione di auto elettriche. Questo accade in primis perché la Cina investe sul motore elettrico dagli anni ’90, secondo perché il Dragone controlla il mercato delle materie prime decisivo per la Transizione energetica.

 

Da qui i ripensamenti dell’industria europea dell’auto, resi ancora più evidenti dalla lettera di Luca de Meo, ad di Renault e presidente dell’associazione dei costruttori europei, quegli stessi costruttori ché oggi chiedono a Bruxelles di rivedere il quadro normativo, rivalutando anche altre tecnologie a basse emissioni su cui l’Europa non è così indietro rispetto alla Cina. In questo, Tavares ha ragione: bisognerà attendere la nuova Commissione, quella di Von der Leyen non può sconfessare le sue scelte di questo mandato.

Noi: come una goccia in un immenso mare

Noi: come una goccia in un immenso mare

di Andrea Taschini, Manager Automotive (dal magazine “Parts”)

 

Prologo

“Il pensiero tragico è il contraltare critico del trionfo di un’idea di ragione ottusamente anti-umanistica e oggi pervasiva”. Così l’immenso Giulio Sapelli definisce nel suo recente libro, “Verso la fine del mondo”, l’attuale fase storica che sembra trascinare in un precipizio l’intero assetto globale delle relazioni internazionali. Con un tre colpi ben assestati, pandemia, guerra in Ucraina e caos in Medioriente, siamo precipitati senza accorgerci in un caos geopolitico grave, forse il più grave dalla fine della Seconda guerra mondiale.

La mancanza di leadership e preparazione delle classi dirigenti da me più volte qui sottolineate, hanno portato la situazione a uno stato degenerativo con l’aggravante di dare la nettissima sensazione di non avere la più pallida idea di come uscirne indenni. Quell’atteggiamento delle giovani generazioni politiche e manageriali di potere avere accesso a ogni cosa senza fare mai i conti con la realtà vera, è stata la causa principale del dissesto delle relazioni internazionali e dei problemi anche di carattere industriale che oggi stiamo affrontando.

Il motto “Yes we can”, usato da Barak Obama nella sua campagna presidenziale del 2010, è il simbolo più tangibile della mentalità sorta nell’establishment americano di quegli anni che poi come sempre, si è riversata per osmosi nell’Europa progressista senza che il Vecchio continente si rendesse conto dei rischi sistemici a cui sarebbe andata incontro. Se gli Stati Uniti come ben scriveva Churchill, hanno sempre la possibilità di sbagliare perché non hanno alcuna minaccia ai propri confini, l’Europa con la sua stratificazione storica plurimillenaria si trova al centro di faglie geopolitiche delicatissime dove ad est affronta la potenza nucleare russa, a sud l’Islam, avendo al suo interno divisioni storiche che per centinaia d’anni hanno provocato guerre e massacri d’ogni genere e sorta.

Handle with care verrebbe voglia di dire e invece le forze centrifughe continentali hanno portato l’Unione Europea in una confusione di ruoli che ricorda le drammatiche fasi storiche del finire degli anni ‘30 del secolo scorso dove pacifismo, cieco mercantilismo e inconsapevolezza della gravità della situazione, fecero precipitare l’Europa verso il disastro della Seconda guerra mondiale.

 

I sogni infranti di una visione miope europea

Il sogno europeo di poter mutuare prodotti dai Paesi low-cost (principalmente dalla Cina) si sta infrangendo sugli scogli più insidiosi della de-globalizzazione e della ragion di Stato che all’improvviso è riapparsa prepotentemente alla ribalta dopo che il mondo è andato improvvisamente in frantumi. Abbiamo così scoperto che le nostre dipendenze da produzioni strategiche come l’energia, la mobilità e le telecomunicazioni, teoricamente e legislativamente sotto transizione, sono attaccate alla flebile speranza che la Cina se ne stia quieta e non sia tentata di invadere Taiwan o di soccorrere attivamente la Russia o peggio l’Iran.

Se accadesse, (come si può facilmente intuire dal grafico 1) rimarremmo per esempio senza microchip, senza i quali non sarebbero nemmeno immaginabili le conseguenze industriali e sociali a cui si andrebbe incontro. Ma lo stesso potrebbe dirsi riguardo ad una possibile chiusura del Canale di Suez o di un conflitto che dal Mar Nero si estendesse nel mediterraneo vista l’assidua e crescente presenza di navi e sommergibili russi nel Mare Nostrum.

Ciò nonostante ci sono ancora forze di sistema che imperterrite insistono a correre contro l’evidenza dei pericoli (e contro il muro della ragionevolezza) perseverando nel promuovere prodotti che non solo non avrebbero alcun vantaggio pratico ma che acuirebbero ancor più la nostra dipendenza dai Paesi orientali. Non è quindi un caso che l’autorevolissimo “Der Spiegel” in copertina si chieda se l’auto elettrica rappresenti ancora un obiettivo utile ma soprattutto perseguibile nel Vecchio continente.

La Germania pur essendo stata il primo Paese a volere fortemente imporci la vettura a batteria, sta rendendosi conto del gigantesco boomerang che imprudentemente ha lanciato in aria e che rischia di azzerare l’asset più importante e strategico che essa possiede, cioè l’automotive, che occupa in territorio tedesco qualche milione di addetti.

I temi ambientali, causa e scusa primaria di una transizione in-sostenibile, avrebbero potuto essere affrontati più seriamente e senza una base ideologica il cui unico risultato è stato quello di distrarre l’opinione pubblica dalle più vere e fattive soluzioni che già erano quasi gratuitamente a portata di mano. Osservando l’età media del parco circolante europeo, si evince chiaramente che le auto dell’Unione sono generalmente vetuste soprattutto nei paesi più Popolosi e che una loro sostituzione con motori endotermici di ultima generazione potrebbe migliorare enormemente non solo il prospetto delle emissioni, ma anche la sicurezza stradale, dando contemporaneamente lavoro e creando PIL oggi indispensabile per pagare gli enormi debiti contratti indistintamente da tutti i governi durante la pandemia senza tuttavia creare dipendenze strategiche da Pechino. Voglio qui ricordare inoltre che il tanto disprezzato settore auto è di gran lunga il maggior contribuente alla ricerca e sviluppo europeo con quasi un terzo di tutti gli investimenti e che quindi senza alcun dubbio rappresenta l’asset più strategico ed economicamente più importante del Continente.

 

Le materie prime

Le materie prime subiranno direttamente le sorti dell’evoluzione geopolitica e delle scelte industriali implementate dai Governi. Non ci rendiamo conto che col fare una guerra ideologica indiscriminata ai fossili, apriamo scenari sconosciuti dove altre materie prime, alcune delle quali più rare e meno diffuse di gas e petrolio, saranno strategiche ed in pugno a nostri antagonisti sistemici come la Cina. La frammentazione geopolitica e l’interruzione di vie marittime essenziali, ci porrà in una situazione di carenza strutturale di materiali il cui fabbisogno subirà un incremento esponenziale.

Abbiamo già più volte accennato in passato alle varie materie prime necessarie all’elettrificazione dell’economia, ma forse basterebbe focalizzarci su un metallo che da millenni accompagna le fortune umane: il rame. Una transizione energetica accelerata richiederebbe un fabbisogno di rame pari a tutto il metallo scavato dall’umanità dalla sua scoperta.

Il fatto che la politica ma anche l’industria non se ne rendano conto, è di una gravità inaudita e fa parte di quel discorso iniziale secondo il quale l’attuale establishment prende delle decisioni demagogiche e ideologiche senza curarsi delle loro conseguenze. Diverremo quindi una società destinata a scavare, senza tuttavia renderci conto che l’Europa non ha materie prime nel suo sottosuolo e che comunque sia non ci sarà alcuna comunità disposta ad aprire miniere sul proprio territorio.

 

La politica dell’altrove e dell’ipocrisia

Viviamo quindi di sogni e di ideologie fantasiose secondo le quali è bellissimo andare in bicicletta ma ci devono andare gli altri, è bellissima l’auto a batteria, pur che si scavino i metalli altrove e sono chicchissimi i pannelli solari pur che si fabbrichino in Paesi low-cost e autoritari dove a produrli sono i nuovi schiavi del XXI secolo mentre non rinunciamo alle nostre vacanze in paesi esotici con l’aereo.

Il consenso è il fondamento dei processi democratici moderni, ma presuppone una preparazione culturale tale da comprendere la complessità dei temi insiti nella contemporaneità.

Senza comprensione adeguata dei fenomeni e degli accadimenti avremo sempre più una politica “dello sbandamento” dove prevarranno decisioni irrazionali che finiranno per danneggiare gli stessi cittadini che l’hanno votata. Noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di informare e rendere i lettori consapevoli pur rendendoci conto di essere solo una goccia in un immenso mare.

 

Da Alfa Milano ad Alfa Junior: da Stellantis un segnale collaborativo

Da Alfa Milano ad Alfa Junior: da Stellantis un segnale collaborativo

di Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy

 

Il fatto che l’Alfa Romeo Milano abbia cambiato nome diventando “Junior” credo che sia un segnale di piena collaborazione tra l’azienda e l’Italia. La tutela del lavoro e della produzione non è un obiettivo del Governo, ma dell’Italia, del nostro Paese.

 

Noi siamo assolutamente convinti che si possano produrre auto belle e appetibili sul mercato globale come da tradizione italiana, così come 20 anni fa eravamo assolutamente convinti che l’Italia potesse produrre cibo, abbigliamento e arredamento e diventare luogo dell’eccellenza, quando gli altri ritenevano che queste cose andassero fatte tutte in altri Continenti dove si potevano fare meglio gli affari.

 

Siamo con convinzione impegnati a tutelare il lavoro, la produzione, il prodotto e l’impresa in Italia.

Auto in rosso: futuro incerto, via l’Iva dalle elettriche

Auto in rosso: futuro incerto, via l'Iva dalle elettriche

di Gian Primo Quagliano, presidente del Centro studi Promotor

 

In marzo sono state immatricolate in Italia 162.083 autovetture con un calo del 3,7% su marzo 2023. Questa contrazione interrompe una serie di incrementi mensili che durava dall’agosto 2022 ed è un bruttissimo segnale perché il mercato dell’auto italiano per ritornare ai livelli ante-crisi, cioè a quelli del 2019, deve colmare ancora un vuoto molto consistente. Nel primo trimestre dell’anno le immatricolazioni sono state infatti 451.261 con una crescita del 5,7% sul primo trimestre del 2023, ma con un calo del 16,1% sullo stesso periodo del 2019.

Le attese del settore dell’auto non erano certo per una interruzione della ripresina in atto da agosto 2022, ma per una vigorosa intensificazione delle vendite. Il dato di marzo è invece una doccia fredda e a ciò si aggiunge che dall’indagine congiunturale mensile di marzo condotta dal Centro Studi Promotor emerge che il 62% dei concessionari intervistati segnala un basso livello di acquisizione di ordini, che per il 60% è stata bassa anche l’affluenza di visitatori nelle show room e, dulcis in fundo, che il 64% prevede per i prossimi mesi stabilità sui bassi livelli di marzo.

Per superare la temuta frenata di marzo si sperava in una tempestiva introduzione degli incentivi da troppo tempo annunciati dal Governo e a quanto risulta non ancora in rampa di lancio. Tra l’altro proprio l’attesa di incentivi ha contribuito al raffreddamento della domanda. Molti operatori hanno ora anche seri dubbi sulla possibilità che gli incentivi possano portare risultati significativi. Finora gli stanziamenti dedicati ad auto elettrica e dintorni sono stati sistematicamente snobbati dagli automobilisti, mentre quelli dedicati alle auto con alimentazioni tradizionali, ma con emissioni non superiori a 135 gr di CO2 al chilometro, sono sempre stati bruciati in pochi giorni.

 

E questo perché gli stanziamenti per questo tipo di auto erano in genere decisamente modesti, il che non era certo positivo considerando che il loro impatto sull’ambiente sarebbe stato importante contribuendo a far rottamare molte auto vecchie, inquinanti e poco sicure che restano invece in circolazione e vanno ad alimentare un mercato dell’usato ipertrofico e in crescita anche nel primo trimestre di questo 2024 del 9,4%.

Tra l’altro in alcuni Paesi all’avanguardia per la diffusione dell’auto elettrica si comincia a sostenere che per accelerare la transizione il ricorso agli incentivi sia uno strumento superato e che occorrerebbero ora misure strutturali come l’eliminazione dell’Iva sull’auto elettrica, e per l’Italia, anche l’allineamento della normativa fiscale sull’auto aziendale allo standard europeo che prevede Iva e costi di esercizio integralmente deducibili per le auto aziendali.

 

L’Italia è oggi il fanalino di coda per la diffusione dell’auto elettrica nell’Unione Europea. L’adozione di misure strutturali in materia di tassazione sulle auto, ed in particolare l’eliminazione dell’Iva sulle auto elettriche, potrebbe consentirci di recuperare il terreno perduto e di essere, una volta tanto, all’avanguardia nella transizione energetica.

Dataforce controcorrente: incentivi? Anche no!

Dataforce controcorrente: incentivi? Anche no!

di Salvatore Saladino, Country Manager di Dataforce Italia

Si parla solo di incentivi ultimamente, quando si sarebbe fatto meglio a non parlarne affatto. Il solo nominarli ha avuto come sempre l’effetto di mandare in stallo il mercato, e adesso ci attendiamo questo rilancio, una ripresa del comparto che, a parte il rimbalzo di chi ha atteso a comprare o a targare, siamo onesti, non cambierà nulla di una situazione fortemente compromessa.

Fossi stato io a decidere, avrei rottamato la proposta ancora prima che arrivasse sulla linea di partenza. Fossi stato obbligato non si sa dagli interessi di chi a gettare soldi pubblici nel grande cestino degli incentivi, li avrei dati solo sul mercato dell’usato, almeno sarebbero stati spesi in casa su un volume di sostituzioni probabilmente quadruplo rispetto a quanto verrà consuntivato con questa tornata. Poi non riesco a non pensare a uno dei denominatori per il quale questi incentivi sono stati approvati: accelerare la transizione ecologica.

Che, se non ce ne fossimo accorti, fino adesso ha avuto l’effetto di un impoverimento globale, ha causato la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro e ha messo all’angolo la supremazia tecnologica dell’industria automobilistica europea che ha prodotto tanta ricchezza per tutti. Incentivi? Anche no!