L’auto in Europa (+17,9% da gennaio): elettriche ok con gli incentivi, privati in sofferenza

di Gian Primo Quagliano, presidente del Centro studi Promotor

Bene agosto per l’auto nell’Europa Occidentale (UE+EFTA+UK). Dai dati diffusi da ACEA emerge che nell’agosto scorso vi è stata una crescita su agosto 2022 del 20,7%. Nel periodo gennaio-agosto l’incremento è invece del 17,9% con un volume di immatricolazioni nei trentuno mercati dell’area di 8.516.943 unità, un livello che è però ancora molto lontano da quota 10.831.855 immatricolazioni raggiunta nel gennaio-agosto 2019. Rispetto a questo dato si registra infatti ancora un calo del 21,4%.

Il mercato dell’Europa Occidentale appare sostenuto essenzialmente dalla domanda delle flotte e dalla domanda di auto elettriche. Per queste ultime vetture in agosto le immatricolazioni nell’intera area hanno toccato quota 196.647 con una crescita di ben il 101,6% rispetto alle 97.556 immatricolazioni dell’agosto 2022. Considerando l’intero periodo gennaio-agosto il tasso di incremento delle auto elettriche si ridimensiona, ma rimane comunque molto significato in quanto è del 53,6% con 1.284.920 auto elettriche immatricolate contro le 836.802 dello stesso periodo del 2022.

Ovviamente la domanda di elettriche è fortemente sostenuta da incentivi generosi che in qualche caso scadevano in agosto, il che spiega la forte crescita in questo mese nell’area e in Germania in particolare. Nel periodo gennaio-agosto la quota sulle immatricolazioni delle auto elettriche è salita al 15,1% contro l’11,6% del gennaio-agosto 2022. L’incremento della quota interessa tutti i trentuno mercati dell’Europa Occidentale con la sola modesta eccezione di Malta in cui la quota delle elettriche scende dal 14,9% al 14,2%. Vi sono tuttavia sensibili differenze tra Paese e Paese. La quota più elevata è quella della Norvegia (83%), seguita dall’Islanda (39,9%) e dalla Svezia (37,8%), mentre la Germania registra una quota del 18,6%, il Regno Unito del 16,4% e la Francia del 15,4%.  Una delle quote più modeste è però quella dell’Italia che, pur crescendo di 0,3 punti rispetto al 2022, non va oltre il 3,9% con la conseguenza che peggio dell’Italia fanno solo Polonia (3,5%), Croazia (2,8%), Repubblica Ceca (2,7%) e Slovacchia (2,4%).

Come si accennava la crescita del mercato europeo è determinata soprattutto dalle immatricolazioni di auto acquistate dalle flotte e da quelle di auto elettriche. E’ invece ancora in sofferenza la domanda dei privati, che è fortemente ostacolata da due fattori. Il primo è costituito da incertezze sul tipo di alimentazione per la nuova auto da acquistare legate alla transizione energetica, mentre il secondo fattore di freno  è la forte crescita dei prezzi delle auto e l’aumento del costo del denaro che ha determinato significativi incrementi anche del costo del finanziamento per l’acquisto di auto.


Euro 7: testo da rivedere subito

di Roberto Vavassori, presidente di ANFIA

 

Ulteriore progresso del mercato auto europeo, che ad agosto registra un nuovo rialzo a doppia cifra (+20,7%), raggiungendo così il tredicesimo segno positivo consecutivo. Anche valutando la ridotta significatività del mese di agosto, per i tradizionalmente bassi volumi, la maggior parte dei mercati europei realizza nel mese incrementi a due
cifre
, compresi quattro dei cinque major market (incluso UK): +37,3% la Germania, +24,4% il Regno Unito, +24,3% la Francia e +11,9% l’Italia, mentre la Spagna contiene la crescita a +7,8%.

 

I major market detengono una quota pari al 67,3% del mercato totale nel mese e, nel complesso, registrano un aumento delle immatricolazioni del 26,1%. Il cumulato degli otto mesi chiude a poco più di 8,5 milioni di unità immatricolate (+17,9% su gennaio-agosto 2022), ancora distante (-21,4%) dai livelli pre-pandemia del 2019, che superavano i 10,8 milioni di unità.


Per quanto riguarda le discussioni in corso circa l’approvazione dei nuovi standard Euro 7 proposti dalla Commissione, la riunione dei rappresentanti dei 27 Stati membri ha esaminato un’ulteriore proposta di modifica, avanzata dalla Presidenza spagnola, nell’intento di portare a positiva conclusione un iter certamente non semplice, ma fondamentale per il futuro della mobilità in Europa.


Ricordiamo che il Coreper ha discusso un’altra bozza di testo sui nuovi standard Euro 7 proposti dalla Commissione europea per i veicoli leggeri e pesanti, con un voto sul testo previsto al Consiglio europeo del 25 settembre. Secondo ANFIA la proposta Euro 7, così come formulata inizialmente dalla Commissione, rischia di essere estremamente gravosa per la filiera, sia per le tempistiche di applicazione, che per il cambio di metodologia di prova previsto per i veicoli pesanti e per i prospettati limiti emissivi di alcuni inquinanti.

 

Riteniamo quindi necessaria una profonda rivisitazione del testo, a partire dal mantenimento, per i veicoli leggeri, degli stessi standard previsti dal regolamento Euro 6 per non distogliere investimenti dall’elettrificazione.

Caso D(eutschland): il malato d’Europa

di Andrea Taschini, manager automotive (dal magazine “Parts”)

La Germania sembra diventato il malato d’Europa tanto che l’articolo si potrebbe intitolare “dalle stelle allo stallo”. Errori ideologico-ambientalisti di strategia energetica e una sottovalutazione del procedere incalzante della storia, hanno portato il Paese in una situazione molto complessa da cui sarà difficile uscirne e da cui noi tutti dovremmo trarne importanti insegnamenti. L’economia tedesca è per l’industria italiana un cliente essenziale e il fatto che si sia inceppata pone un grosso problema al nostro tessuto industriale le cui conseguenze potrebbero trascinarci in una spiacevole recessione. Gli sviluppi sono ancora tutti incerti e da seguire con molta attenzione.

Germania alla resa dei conti

L’energia è la prima fonte di benessere. Tutta la storia dell’umanità è stata un inseguire fonti energetiche sempre più efficienti, disponibili e possibilmente a basso prezzo. Ancor di più la storia economica recente ha l’energia come una guideline imprescindibile: ogni qualvolta storicamente il prezzo delle fonti energetiche è stato basso, la macchina produttiva occidentale ha generato ricchezza, al contrario, la sua scarsità scaturita da motivi esogeni al proprio volere, ha sempre provocato recessioni.

Il caso tedesco che vogliamo oggi analizzare appare invece come una vicenda di incredibile ideologismo misto a errori di visione strategica che definire grossolani apparirebbe un eufemismo. Da tempo e più volte anche su questa rivista, abbiamo sottolineato di come la politica energetica e industriale di Berlino stessero minando le proprie solide fondamenta economiche e sebbene il declino tedesco sia ormai chiarissimo, riesce a ribadire ancora una volta di come il Paese, una volta presa una deriva sbagliata, sia incapace di correggere la rotta schiantandosi quasi sempre contro il muro dell’autolesionismo. I due progetti, sia quello energetico, sia quello dell’auto elettrica, stanno portando la Germania a uno stallo recessivo molto complesso dove le vie d’uscita saranno estremamente difficoltose da trovare.

Uno sguardo sulla politica geostrategica del continente europeo

Tutti si sono concentrati a lungo e piuttosto inutilmente sugli effetti che la Brexit avrebbe causato al Regno Unito trascurando invece quali effetti avrebbe avuto sull’intero assetto politico del Vecchio continente. L’uscita del Regno Unito dalla UE ha provocato infatti una forte rottura di equilibrio di forze nel quale la Germania aveva avuto il benestare per una leadership continentale benché in una forma sostanzialmente controllata.

 

La Francia, che ha sempre subito la forza economica tedesca, aveva tutto sommato le spalle coperte dallo storico alleato anglosassone e congiuntamente a esso bilanciava lo straripante apparato industriale tedesco. Dopo la Brexit la Germania che non ha più avuto limiti alla sua egemonia e forte di un’economia robusta apparentemente inattaccabile, è diventata troppo ingombrante sia per gli Stati Uniti che il Regno Unito che storicamente non hanno mai permesso da Napoleone in poi che un singolo Stato europeo dominasse il Continente. Qui cominciano i guai: prima il Covid poi la guerra in Ucraina, unitariamente ad innegabili errori tedeschi, hanno piegato la Germania facendo saltare tutti i piani del governo di Berlino.

Il disegno tedesco è andato in fumo

Berlino aveva disegnato un percorso industriale dove l’energia sotto forma di gas sarebbe dovuta arrivare abbondante e a basso costo dalla Russia (80% del fabbisogno) insieme a parecchie materie prime chiave necessarie alla propria macchina industriale. Il Governo pensava così di mettere fuori gioco la concorrenza (anche dei propri partner comunitari) con costi molto competitivi che le avrebbero permesso di esportare il Made in Germany in tutto il globo, ma soprattutto nell’immenso mercato cinese, vero target e ossessione dei tedeschi.

ggiungendo qualche pala eolica, ritenevano inoltre di aver raggiunto un mix energetico a basse emissioni tanto che la spinta green tedesca al “Fit for 55” nell’Unione è stata decisiva per la sua approvazione.

 

Inoltre, con un atto di sconsiderata supponenza ideologica, sono riusciti pure a spegnere le tre centrali nucleari rimaste in funzione creando i presupposti per un buco energetico senza precedenti cosa che è inevitabilmente avvenuto. La già citata vicenda della guerra russo-ucraina come sappiamo, ha successivamente scombinato i piani tedeschi (che ho sempre definito spericolati) privandoli del gas: senza nucleare con molte pale eoliche inefficienti oggi sono costretti a scavare carbone esattamente come facevano nel XIX secolo, riuscendo nell’impresa di creare le condizioni per una pericolosa scarsità energetica.

La penuria energetica che sta oggi mettendo in croce l’industria tedesca, sta costringendo a fermare gli impianti produttivi tanto da ipotizzare una fuga delle aziende verso Paesi con più solide e competitive basi energetiche. Per darvi un’idea, a fine agosto, in assenza di sole (in Germania ce né notoriamente poco) e vento, il mix energetico tedesco era composto dal 50% carbone il 25% di gas liquefatto (che costa il 30% in più di quello normale), che è l’esatto contrario di quanto il governo di Berlino si era prefissato.

Oggi non solo la Germania è sotto uno scacco energetico senza precedenti, ma è di gran lunga il maggior emettitore di CO2 in Europa.

Non è importante che gli ambientalisti promuovano un’idea di una Germania con la media ponderata del 50% di rinnovabili se ci sono cadute produttive come quelle appena descritte: l’industria ha bisogno di forniture energetiche continuative e certe, soprattutto in un Paese ad alto consumo energetico come quello tedesco.

I guai dell’auto

Non si è capito bene se l’iniziale e immotivato entusiasmo tedesco per l’auto elettrica sia stato un errore, un abbaglio o frutto di un progetto di abbandono del settore in favore di Pechino (in cambio di cosa?). Certamente, le posizioni tedesche, sia del Governo ma anche dell’industria, hanno lasciato basito più di un osservatore. Che il maggior produttore mondiale di autovetture e sicuramente quello con il maggior valore aggiunto, abbia deciso improvvisamente di spalancare le porte d’Europa alla temibile concorrenza cinese, ha dell’incredibile. Abbiamo assistito a show di amministratori delegati germanici che, noncuranti delle conseguenze industriali, celebravano la venuta dell’auto elettrica.

 

L’entusiasmo (immotivato) è comunque durato poco e oggi pare riesca a trovare attorno ben pochi supporter: il vecchio amministratore del gruppo Volkswagen, principale sponsor dell’auto a batteria, non è più in azienda, il Ceo di Bmw molto saggiamente sta evidenziando come manchino le materie prime, tra l’altro sotto il controllo della Cina, per una transizione elettrica e il Governo probabilmente preoccupato dalla scarsità di energia elettrica, si è affrettato a togliere gli incentivi riposizionandoli saggiamente sulle auto a motore endotermico.

Ricaricare un’auto con elettricità prodotta con il carbone è infatti un gigantesco paradosso non più sostenibile e francamente anche un po’ ridicolo. Aggiungo pure che con modalità boomerang, gli incentivi così generosamente elargiti in passato per acquistare un’auto elettrica, sono finiti nelle casse delle aziende cinesi più che in quelle tedesche, visto che batterie e motori provengono al 77% dal Paese asiatico. Rispetto ad un anno fa sembra il mondo capovolto: intanto, si è perso tempo e denaro, ma soprattutto si sono aperti varchi non più richiudibili per le vetture cinesi che invaderanno il Continente distruggendo valore per il popolo tedesco e più in generale europeo.

Una lezione per l’Italia

Sono sempre stato convinto che nelle imprese si impari più osservando gli errori degli altri piuttosto che dai loro virtuosismi. Il nostro Paese si è dimostrato una volta tanto lungimirante sia in materia energetica sia in quello della mobilità (le vendite di auto elettriche in Italia sono il 3,8% del totale); tuttavia la lezione tedesca rappresenta un forte monito che mette chiunque in guardia da estremismi modaioli e insensati eccessi ambientalisti.

 

I contraccolpi della recessione tedesca si faranno sentire soprattutto nel nord del nostro Paese dove le esportazioni verso il mercato germanico sono preponderanti e questo è un monito ancora più importante che dovrebbe suggerirci di non concentrare mai troppo le esportazioni verso un’unica area economica. Se la globalizzazione ha portato dei vantaggi positivi tra i tanti negativi, è proprio la possibilità di avere il mondo intero come mercato da esplorare.

 

Bisogna sempre riflettere sul contesto in cui il nostro business è posizionato, perché se è vero che il capitano della nave può governare le vele, umilmente deve prendere atto dell’impossibilità di gestire il vento.

Angolo cieco: Area C libera a Milano per chi installa il sistema di sicurezza

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di Geronimo La Russa, presidente di ACI Milano

Un segnale, una prima e importante azione per cercare di contrastare il triste e inarrestabile fenomeno degli incidenti stradali causati dall’angolo cieco sarebbe quello di obbligare i titolari di mezzi di trasporto a dotarsi di strumentazione per evitare questo rischio entro le scadenze della fine del 2024 e addirittura del 2025. In proposito, il Comune di Milano offra una quota di accessi gratuiti nell’Area C a chi si mette in regola entro la fine di quest’anno.

Una proposta che vuole essere anche un modo concreto per far comprendere a tutti che il tema va affrontato subito, con politiche che non sono solo improntate al divieto, ma anche alla ricerca di soluzioni comuni.

Il tutto avviando, in parallelo, campagne per una maggiore consapevolezza: la strada è di tutti e tutti devono essere, sempre, maggiormente responsabili.

Produzione di auto in Italia: nel 2023 ancora sotto 1 milione

Gianmarco Giorda

di Gianmarco Giorda, direttore generale di ANFIA

A luglio, l’indice della produzione automotive italiana registra un ulteriore rialzo (+11%). Nel dettaglio, l’indice della fabbricazione di autoveicoli si mantiene in crescita a  doppia cifra nel mese (+18,4%), soprattutto grazie al significativo aumento, del 92,1%, registrato a giugno, secondo i dati preliminari di ANFIA, dalla produzione di  autovetture, che chiude i primi sette mesi a +22,1% superando le 347.000 unità. L’indice della produzione di parti e accessori per autoveicoli e loro motori, invece,  prosegue il trend positivo di giugno (+3,3%) pur chiudendo il cumulato gennaio-luglio  2023 ancora in lieve ribasso (-0,3%).

Secondo le stime di ANFIA, i volumi della produzione domestica di autoveicoli per l’intero 2023 potrebbero avvicinarsi alle 900.000 unità (+13% circa rispetto al 2022), restando così ancora al di sotto dei livelli pre-pandemia e del valore-soglia di 1 milione di unità prodotte, l’ideale per sostenere gli investimenti della filiera della  componentistica e assicurarne, così, la competitività. 

ACEA si chiede: può l’Europa eguagliare il drago cinese?

di Sigrid de Vries, direttore generale di ACEA

Bruxelles torna operativa dopo la pausa estiva. Mentre i decisori europei disfano le valigie e sostituiscono i lettini con le sedie da scrivania, non si può fare a meno di notare che un elefante (o un drago) nella stanza è diventato ancora più grande: la Cina.

All’Europa manca un approccio solido e coerente alla concorrenza sempre più dura proveniente dall’estero, sostenuto da Governi che uniscono le loro transizioni verde e digitale con la resilienza nazionale in modo combattivo e decisivo. In particolare, la Cina ha lo sguardo rivolto al mercato europeo, che ha il potenziale per cambiare radicalmente il volto delle industrie europee così come le conosciamo.

Lo scorso giugno, i dati ACEA hanno rivelato che le vendite nell’UE di auto elettriche a batteria hanno superato per la prima volta quelle Diesel. Questi dati positivi nella lotta contro il cambiamento climatico mettono in luce anche un’altra tendenza: i marchi cinesi e i veicoli di fabbricazione cinese si stanno facendo rapidamente strada nel mercato europeo dei veicoli elettrici (EV).

Sostenuta dal denaro pubblico e dalle intenzioni del Governo, non è un segreto che l’industria automobilistica cinese ora lancia una sfida all’industria automobilistica in Europa e oltre – e sembra che la decisione strategica della Cina di investire tempestivamente e lungo l’intera catena del valore stia dando i suoi frutti.

A differenza dell’Europa, la Cina ha adottato un approccio olistico alla politica industriale, esaminando l’intera catena del valore per quelle che considera industrie strategiche. Applicato all’industria automobilistica, un settore con un ampio impatto economico interno, ciò significa una strategia che va dall’estrazione mineraria, alla raffinazione e alla produzione fino alle reti di ricarica, all’energia a basso costo, agli incentivi all’acquisto e al riciclaggio lungo l’intero ciclo di vita: uno sforzo coordinato fin dall’inizio. combinato con agilità in ogni passo successivo del percorso. Oggi la Cina rappresenta il 75% della capacità produttiva globale di batterie e ha quasi il monopolio sulle forniture di materie prime fondamentali. Nel 2022, in un solo anno, il Paese ha installato 800.000 punti di ricarica per veicoli elettrici, quasi quanto il totale installato altrove, a livello globale, da quando sono iniziati gli investimenti nelle infrastrutture di ricarica.

Contrariamente ai loro omologhi in Cina e negli Stati Uniti, che hanno recentemente lanciato il rivoluzionario Inflation Reduction Act (IRA), i legislatori dell’UE hanno optato per un approccio più frammentario, spesso fissando prima gli obiettivi e trattando le condizioni quadro essenziali per l’attuazione in un secondo momento o in modo insufficiente. Questo è il caso del regolamento sulle infrastrutture per i combustibili alternativi (AFIR), che è arrivato in ritardo e non ha soddisfatto i bisogni minimi. Anche il regolamento UE sulle batterie recentemente adottato lascia ancora i dettagli poco chiari, aggiungendo costi e complessità alla catena di fornitura delle batterie in Europa. La mancanza di sincronizzazione limita la fioritura del mercato dei veicoli elettrici in un momento in cui il suo ampliamento è fondamentale per raggiungere gli obiettivi legali. I decisori politici dovrebbero inoltre garantire un accesso sicuro all’energia a prezzi accessibili.

A causa della pressione esterna, l’UE sta ora intensificando la propria azione attraverso diverse fasi della catena del valore, che vanno dal Critical Raw Materials Act al Net-Zero Industry Act. Tuttavia, sebbene queste iniziative abbiano certamente dei meriti, rimangono frammentarie e in gran parte espressione di aspirazioni. Una politica veramente strategica deve affrontare le sfide in modo più coerente per eguagliare gli sforzi considerevoli compiuti in altre regioni.

L’Europa deve accelerare lo sviluppo di capacità locali e garantire i legami esistenti e i nuovi partenariati con i Paesi terzi. Le recenti restrizioni cinesi all’esportazione di germanio e gallio, due materiali vitali per i microchip, forniscono un assaggio di ciò che potrebbe accadere se l’UE non trovasse un modo per diventare meno dipendente dagli altri e mantenere le relazioni commerciali quanto più aperte, giuste e solidali possibile, comprese quelle con la Cina

Trovare un approccio equilibrato è importante poiché l’apertura del mercato cinese – per quanto restrittiva sotto alcuni aspetti – ha raccolto vantaggi significativi per molti produttori europei ed è destinata a continuare a farlo nonostante la concorrenza più agguerrita dei marchi nazionali.

La Cina è il più grande mercato automobilistico del mondo e un importante centro di produzione e innovazione per componenti e veicoli. La produzione automobilistica cinese ha raggiunto un livello di maturità formidabile e la tecnologia ora viaggia in entrambe le direzioni. Questa maturità, combinata con la spinta ad espandersi oltre un mercato interno sempre più affollato e a garantire un’ulteriore crescita, spiega la mossa per cercare quote di mercato in Europa, con il logico passo successivo che è quello di stabilire la produzione all’estero.

È vero che le esportazioni di veicoli elettrici nell’UE includono anche veicoli costruiti da marchi europei e altri marchi internazionali in Cina. Inoltre, le vendite di veicoli elettrici ammontano solo a circa il 13% del mercato dell’UE poiché l’elettrificazione è in forte espansione, ma è ancora agli inizi. Inoltre, i marchi europei hanno un rapporto di lunga data con i loro clienti in tutti gli angoli del globo e una solida eredità su cui costruire come principali innovatori e concorrenti a livello mondiale: la loro offerta di veicoli elettrici sempre più forte e ampia ne è una testimonianza.

Ma ciò che è in gioco è la competitività dell’Europa come sede naturale delle industrie manifatturiere. L’industria automobilistica europea sta assorbendo i costi di transizione legati all’eliminazione graduale dei motori a combustione, investendo risorse significative nello sviluppo di veicoli elettrici e soluzioni a idrogeno operando in un quadro di condizioni limite rigorose, inflazione elevata e un mercato saturo. Il vantaggio comparativo della Cina e le importazioni competitive in termini di costi potrebbero erodere la quota di mercato interno dei produttori automobilistici europei, con un impatto negativo sull’attività locale.

Un settore strategico può prosperare solo in un contesto competitivo. La competitività dell’Europa ha tradizionalmente sofferto a causa dei costi energetici più elevati, di un onere amministrativo più pesante e della frammentazione inerente a una struttura di Stati membri a 27. Ora è stato ulteriormente eroso dai massicci sforzi degli altri Continenti, mettendo a rischio la produzione e l’occupazione in Europa.

Pertanto, accogliamo con favore il fatto che i mormorii nei corridoi di Bruxelles stiano diventando più forti: l’UE ha bisogno di una strategia industriale solida che alzi la posta e diventi una base per le sue industrie critiche. Una strategia che si allontana dal protezionismo e dall’ingenuità, ampliando la prospettiva oltre il suo sguardo interno e creando le condizioni per un’attività economica sostenibile,  che renda l’Europa all’altezza della Cina e di altri “draghi”.

 

 

 

AUTO ELETTRICA/ “L’Ue scopre i sussidi cinesi? Se mette dazi, la risposta di Pechino sarà durissima”

Dall’intervista rilasciata a “Sussidiario.net”

Pubblicazione: 15.09.2023 – int. Pierluigi Bonora

Ursula von del Leyen lancia una indagine sui sussidi alle auto elettriche cinesi. Una mossa politica tardiva, proprio come le lamentele dei costruttori

 

Un’indagine sui sussidi statali cinesi per la produzione delle auto elettriche. Dopo anni in cui Pechino ha sviluppato la sua industria del settore proprio grazie a questo tipo di sostegno, finalmente anche l’Unione Europea si è posta il problema della concorrenza sleale, del dumping che danneggia le imprese del vecchio continente. Tanto che Ursula von der Leyen ha annunciato una serie di accertamenti da parte della Ue per verificare se le aziende cinesi di questo comparto usufruiscano effettivamente di questi aiuti.

 

Un’iniziativa tardiva, per molti, dopo che le stesse aziende cinesi hanno acquisito grosse fette di mercato, apprestandosi a inondare quello europeo e soprattutto dopo che la stessa Ue ha stabilito che dal 2035 verranno prodotte solo auto elettriche, con l’unica eccezione, per ora, di quelle a combustibile sintetico.

 

Di fronte alla decisione europea, spiega Pierluigi Bonoragiornalista de Il Giornale, esperto del settore auto, i cinesi non staranno con le mani in mano. Una volta accertata l’esistenza dei sussidi potrebbero essere imposti dei dazi dalla Ue, ma ci si dovrà aspettare anche la reazione di Pechino. La Cina, ad esempio, è la principale produttrice delle batterie al litio che servono per le auto elettriche: l’arma per un’eventuale ritorsione commerciale potrebbe essere questa.

Anche la Ue ha scoperto che per produrre le auto elettriche servono sussidi. Una decisione un po’ tardiva, quella dell’indagine sui sussidi statali cinesi?

 

Si avvicinano le elezioni europee e a Bruxelles hanno intuito che tira una bruttissima aria per questa Commissione. Frans Timmermans, il vicepresidente, ha capito l’antifona e si è candidato in Olanda. Ora stanno cercando di recuperare. È una vergogna: questa indagine è arrivata con almeno due o tre anni di ritardo.

 

Il programma industriale cinese per le auto elettriche negli ultimi 15 anni ha comportato ampi interventi governativi. Come mai finora si è sottovalutato il problema da parte europea?

È cominciato 15 anni fa ma, complice la pandemia che ha distratto un po’ tutti, i cinesi hanno ampliato piano piano il loro raggio di azione grazie alla complicità dei tedeschi, al fatto che tutti i centri stile più importanti, anche italiani, hanno sedi a Shanghai e dintorni. Hanno approfittato dell’apertura nei loro confronti. I tedeschi hanno molti rapporti di collaborazione, hanno realizzato joint ventures, rendendosi molto dipendenti da loro. Non è possibile rendersi conto solo adesso del rischio cinese per ragioni politiche. Si sono svegliati tardi.

 

L’indagine Ue che conseguenze può avere in termini generali per il settore?

Molte di questa aziende cinesi hanno già annunciato investimenti in Europa per costruire nuove fabbriche, creando quindi posti di lavoro. Cosa faranno nel momento in cui dovessero partire dei dazi nei confronti delle loro auto? Potrebbero prendere una posizione dura. Teniamo conto che l’Europa, in quanto a materie prime, dipende quasi in tutto e per tutto da Pechino.

 

la Cina è il principale produttore di batterie al litio. Ai cinesi fa capo il 65% delle batterie prodotte. Potrebbero non darcele più?

Oppure farcele pagare cinque volte tanto. Sicuramente qualche cosa faranno. Quella della Ue è anche un’operazione codarda. Finora hanno lasciato tutto aperto, facendo sviluppare progetti ai cinesi, creando delle aspettative e poi improvvisamente chiudono la porta? Le auto cinesi sono meno care, anche se quelle super economiche devono ancora arrivare: se ne accorgono solo adesso?

 

L’industria automobilistica europea su che posizioni è?

Oliver Zipse, ceo di Bmw, Ola Kallenius, capo di Mercedes Benz e lo stesso Luca De Meo, quando parla come presidente Acea (Associazione europea costruttori automobili) manifestano molte perplessità, così come Tavares di Stellantis. Hanno più volte denunciato la situazione e l’immobilismo dell’Unione Europea. C’è da chiedersi poi come si fa a far viaggiare le auto elettriche: non c’è una rete di ricarica ad alta efficienza, che ricarichi in un quarto d’ora. Si è fatto un piano sull’elettrico senza pensare ad imprevisti come la guerra o una crisi energetica. La nostra rete elettrica poi salta quando rifornisce troppi condizionatori, figuriamoci se tutti dovessero caricare la macchina.

 

Alla fine questa indagine presumibilmente scoprirà quello che tutti sanno e cioè che i sussidi sono stati utilizzati. Vuol dire che metteremo dei dazi sui prodotti cinesi?

Certamente. Anche le nostre esportazioni pagano dazi in Cina. Poi c’è da considerare i bonus: dare incentivi alle auto elettriche significa privilegiare quelle che costano poco. I produttori occidentali hanno già manifestato l’intenzione di ridurre o forse anche di azzerare la produzione di macchine compatte, quelle meno care: anche gli incentivi, quindi, rischiano di finire in mani cinesi.

 

Ma non c’è il pericolo che anche il progetto Ue di produrre solo auto elettriche dal 2035 subisca un rallentamento?

La von der Leyen ha detto che per l’indagine ci vorranno 13 mesi, arriviamo a novembre 2024; ci sarà la nuova Commissione europea, il nuovo parlamento. È il solito annuncio. I cinesi hanno più di un anno per allargare ancora la loro sfera di influenza nel settore. La colpa della situazione però non è solo dei politici, ma anche dei costruttori: hanno sposato tre anni fa un progetto senza pensare a possibili inconvenienti. Lo hanno preso a scatola chiusa e adesso ne pagheranno le conseguenze. Le loro rimostranze attuali sono un po’ tardive.

 

Bisognava pensarci prima?

Adesso scopriamo che c’è il biocarburante prodotto dal gruppo Eni, i carburanti sintetici. Ci sono tante soluzioni. Non sono contro l’elettrico, ma la strada deve essere quella della neutralità tecnologica.

“Tutto elettrico” dal 2035: le scelte devono essere guidate dal buon senso

di Galeazzo Bignami, viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti
(dal Meeting di Rimini 2023)

 

L’adesione fideistica, ambientalista, radical chic, ecologista non può guidare le scelte in campo industriale che devono essere orientate al buon senso. Non possiamo pensare di imporre a tutto il popolo italiano, a tutto il popolo europeo di convergere su auto elettriche, per scoprire, magari tra 5 anni, che l’Euro 7 avrebbe avuto lo stesso o un minore impatto e magari scoprire l’esistenza di rapporti non chiari con mercati esteri. Beh, vi assicuro che il Governo italiano non li seguirà su questa strada. Non si può imporre l’acquisto di auto elettriche spaccando la popolazione tra chi può permettersela e chi no. E non si può non sostenere una filiera che crea valore aggiunto e che crea occupazione.

Quando abbiamo iniziato è stato subito chiaro che il Governo non fosse in linea con quello fatto dai precedenti Governi. Pochi mesi dopo una direttiva di un funzionario del MIT, indirizzata all’Unione Europea, diceva “bene l’auto elettrica”. Ecco il primo tema è far capire a una tecnostruttura che è stata educata da 12 anni di Governo tecnico, e quindi a supplire alla politica, che non è suo compito fissare il percorso e pure gli obiettivi. La politica fissa gli obiettivi e il tecnico aiuta a trovare il percorso.

È il Governo che gli italiani hanno votato che decide dove la nazione va, e che si assume fino in fondo la responsabilità delle scelte che opera. Scelte operate in coerenza con il nostro mandato e che ci fanno dire che non siamo disponibili a cedere a pressioni tecnocratiche che magari in filiera con Bruxelles vorrebbero imporci delle scelte.

Corte dei conti UE: quell’allarme ignorato

di Andrea Taschini, manager automotive

È molto sorprendente leggere il report della Corte dei conti europea che con grande lungimiranza, senza per altro essere ascoltata, aveva messo in guardia la Commissione sulla sistemica carenza di metalli necessari per la transizione energetica e della mobilità che avrebbe messo in grosse difficoltà il tessuto industriale e infrastrutturale del Vecchio continente.


Ora un po’ tutti si svegliano davanti la realtà dei fatti, l’ultimo per ordine il Ceo di Bmw, ma i dati erano noti da tempo e bisognava solo avere l’accuratezza di consultarli.


O purtroppo, invece, ha fatto più comodo all’establishment ignorarli per accodarsi alla moda dettata dal gregge pseudo ambientalista?

Eco-transizione: urgenti il rinnovo del parco auto e l’aumento degli incentivi

di Toni Purcaro, Executive vice president DEKRA Group e presidente DEKRA Italia

Condividiamo la necessità di rinnovare il parco auto italiano espressa dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, nel corso delle interrogazioni alla Camera dei Deputati. Occorre una decisione che supporti gli incentivi al rinnovo delle motorizzazioni più obsolete nonché una decisione allo stop dei veicoli più inquinanti.

Servono, al riguardo, investimenti in prodotti e veicoli adeguati alle esigenze di mobilità anche in centri piccoli con spostamenti limitati con misure a sostegno della ricerca e dello sviluppo per tutta la filiera, mantenendo il principio della neutralità tecnologica.

In tal senso, riteniamo che soltanto attraverso una regolamentazione flessibile e politiche industriali di medio e lungo periodo sarà possibile coniugare il processo verso la transizione ecologica con il rilancio del settore automotive.