di Andrea Taschini, manager automotive
(dal magazine “Parts”)
Frammento 1. Il ventre dell’Europa scende in rivolta
Quando gli agricoltori scendono in piazza è sempre un brutto segno perché sono i produttori del nostro fabbisogno primario, il cibo. Se poi oltre a ciò, non sono solo gli agricoltori francesi noti per avere la protesta facile ma sono quelli dell’intero continente, c’è seriamente da preoccuparsi. In migliaia sono scesi per le strade di tutta Europa contro le direttive del Green deal facendo per la prima volta arretrare la Commissione europea che ha ritirato in fretta e furia tutti i decreti contestati.
Persino il commissario all’Agricoltura, il polacco Wojciechowski, si è esibito in un voltafaccia davvero sorprendente dando ragione ai manifestanti, come se lui fosse estraneo alle decisioni prese dalla stessa Commissione a cui lui appartiene.
Evidentemente e per fortuna, quando i cittadini di questa Unione sanno fare sentire la loro voce, la politica è costretta ad ascoltare e i varchi aperti dagli agricoltori nei giorni scorsi sono un importantissimo precedente che potrà essere utile a tutti quei settori che sono stati ideologicamente colpiti da leggi assurde pseudo ambientaliste che minano la sopravvivenza stessa di tutto l’apparato produttivo europeo, automotive in testa.
Non c’è settore che non tema di essere messo fuori mercato (e con esso milioni di lavoratori) da direttive assurde le cui finalità non sono riconosciute come essenziali o perlomeno non più di quanto lo siano i posti di lavoro.
Ricorderemo con riconoscenza i trattori nelle strade europee dell’inizio di questo 2024 perché ci hanno ricordato che i costi della democrazia possono essere ampiamente ripagati se i cittadini sanno dare al loro malcontento una forma civile di protesta.
Frammento 2. De Meo, ovvero lo sguardo bifronte di Giano
Non deve essere affatto facile per un manager servire due padroni: da un lato De Meo lavora per una grande azienda in cui il principale azionista è il governo francese e dall’altro presiede ACEA
l’organizzazione che rappresenta i principali costruttori di auto europei che poi in sostanza sono per la stragrande maggioranza tedeschi (Stellantis non aderisce).
Si sa che tra francesi e germanici l’ascia di guerra non è mai stata seppellita nonostante i frequenti attestati di amicizia, tanto che i due Governi spesso e molto volentieri, giocano attraverso i burocrati di Bruxelles a farsi degli sgambetti su svariati temi che di volta in volta appartengono agli uni o agli altri.
Se per esempio i tedeschi propongono di mettere fuori legge l’energia nucleare, i francesi mirano a mettere in difficoltà l’industria automotive tedesca spingendo sull’auto elettrica diventata il tallone d’Achille della potenza industriale di Berlino.
Così mentre le Case auto e i politici tedeschi propongono una spettacolare giravolta per ritardare o addirittura di cancellare la direttiva che esclude i motori endotermici dal 2035, De Meo se ne esce dicendo che oramai è tardi e che non si può fare, sapendo lui stesso benissimo che se la direttiva fosse applicata gli unici a far festa sarebbero i cinesi. Come finirà?
Finirà che le decisioni saranno dettate dalla realtà: le ideologie sono seducenti e fanno sognare (soprattutto gli adolescenti), ma il mondo del possibile alla lunga vince sempre perché diventa difficile spiegare a un elettore le ragioni per le quali dovrebbe perdere il suo posto di lavoro a causa delle spropositate e crescenti emissioni di CO2 cinesi, mentre il Continente in cui vive è oramai già sostanzialmente pulito e decarbonizzato. Il Dio Giano.
Frammento 3. Competitività addio
Nell’insieme dei commenti che Mario Draghi ha rilasciato in forza del suo incarico per il rilancio della competitività europea, spiccava questa dichiarazione: “Il mercato elettrico è un altro settore cui dobbiamo guardare, perché chiaramente l’Europa non può essere competitiva, se paghiamo l’elettricità due volte tanto quanto costa negli Usa e il gas naturale cinque o sei volte tanto…” e mi permetto di aggiungere, che il costo dell’energia elettrica in Cina (il nostro principale competitor) arriva ad essere fino a sette volte meno cara rispetto quella di alcuni paesi dell’Unione.
Finalmente con un po’ di ritardo (tanto), siamo arrivati al dunque. Abbiamo caricato i costi energetici europei all’inverosimile facendoli lievitare su livelli non più accettabili: accise, IVA, tasse, balzelli di ogni genere quanto basta per fare costare la benzina più del doppio di quanto costa negli Stati Uniti (70 cent/litro). Inoltre, come se non bastasse, sono stati aggiunti gli aggravi per acquistare i certificati di emissione (ETS) che lanciati sul libero mercato, hanno raggiunto prezzi tanto eccessivi che hanno reso il continente definitivamente non più competitivo: 90 euro la tonnellata che si prevede raggiungeranno i 150/200 entro la fine del decennio.
La scarsità energetica indotta dall’Unione attraverso restrizioni ambientali di ogni genere (ancora il Green deal protagonista), ha acuito enormemente i termini del problema. Non ci voleva certo un ex presidente del Consiglio per produrre queste certezze, bastava leggere con attenzione i numeri per trarne le logiche e scontate conclusioni.
(Fonte: “Corriere della sera”)
Frammento 4. Bruxelles val bene una messa
Una volta, da giovane manager, fui spedito dal mio capo ad una riunione di una lobby di settore perché lui era impossibilitato a presenziarla per impegni all’estero. La discussione peraltro molto sonnolenta, verteva sull’opportunità di avere anche una sede a Roma così da essere “vicino agli uffici governativi”. Mi permisi di osservare, forse troppo spericolatamente, che le decisioni veramente importanti si sarebbero in futuro prese a Bruxelles e lì sarebbe stato opportuno avere un ufficio di rappresentanza.
Fui investito da una serie di rimproveri e nemmeno troppo garbati da un “barone” che dall’alto della sua autorità (ma non autorevolezza) non aveva gradito la messa in discussione del suo credo nel
segno di “Roma è la capitale, lì avremo i nostri uffici”. Mi ha quindi fatto molto piacere che Emanuele Orsini, uno dei candidati a guidare l’associazione degli industriali, abbia dichiarato che “Confindustria deve essere non a Roma e Bruxelles, ma prima a Bruxelles poi a Roma”.
Accolgo con entusiasmo lo statement di Orsini e con esso ho avuto anche la mia tardiva rivincita sull’arroganza e l’insipienza: è il segno che i tempi stanno cambiando anche in viale Dell’Astronomia; finalmente.
Frammento 5. Numeri, non suggestioni
Le polemiche sulla qualità dell’aria nella Pianura padana hanno raggiunto vette di irrazionalità assoluta, dettate da una politica che priva di argomenti di cui riesce ancora a parlare, oramai pone questioni ambientali ovunque e comunque senza neppure più preoccuparsi della fondatezza di ciò che dice.
Cominciamo a dire che l’area interessata alla discussione per conformità geografica è tra le più critiche in Europa; aggiungiamo pure che la densità abitativa è molto alta tanto che andando da Torino a Venezia si ha l’impressione di attraversare un’immensa metropoli lunga 400 chilometri. D’altro canto abbiamo un tenore di vita tra i più invidiabili del Continente e nonostante tutto, una longevità pari a quella della Sardegna notoriamente tra le più alte del mondo.
I parametri “rossi” o “verdi” che vediamo sulle mappe sono ovviamente dettati dalle istituzioni europee che di anno in anno li stringono progressivamente. Il risultato è che ciò che era lecito dieci anni fa in termini di polveri sottili, oggi non lo è più ma ciò non vuole affatto significare che l’aria sia in continuo peggioramento come si legge un po’ ovunque, anzi i miglioramenti in vent’anni sono stati strabilianti e ciò è dovuto all’avanzamento di tutte le tecnologie che hanno permesso un risparmio energetico strepitoso.
Purtroppo viviamo sorprendentemente in un’epoca dove si ragiona più con le suggestioni che con i numeri e ciò è singolare visto il crescente grado di istruzione di cui possono usufruire i cittadini.
Ci sarà mai a Milano l’aria che c’è a Saint Moritz? Evidentemente no, ma sarebbe illogico e anche un po’ stupido chiederlo.
Frammento 6. La desolazione europea
Cosa sta accadendo in Europa? Ho l’impressione che gli Stati stiano andando tutti in ordine sparso senza una comune strategia e visione del futuro. Forse perché tra poche settimane il Continente andrà alle urne e a Bruxelles c’è aria di fine partita o forse l’ideologia green che ha attraversato l’Europa si sta rivelando un disastro sia a livello industriale sia perché gran parte dei cittadini a ragione non la comprendono o forse perché la guerra in Ucraina sta prendendo una brutta e insperata piega o forse ancora perché negli Stati Uniti chiunque verrà eletto presidente, ci abbandonerà militarmente al nostro destino, cosa peraltro scontata dopo 80 anni.
Sta di fatto che l’Europa nell’ultimo lustro ha segato il ramo del benessere dove era seduta senza neppure preoccuparsi degli effetti che tale politica avrebbe potuto avere sui cittadini. “Senza competitività delle imprese – ha detto Draghi – il debito pubblico ed il welfare saranno insostenibili”: non avevamo dubbi.
Forse è venuto il momento in cui bisogna rimettere al centro della vita sociale l’impresa e il lavoro, finendola una volta per tutte con l’anti meritocrazia e con assurde politiche anti industriali: il nostro futuro passa solo e unicamente per questa strada maestra.