Lo stop UE al 2035: auto elettriche appannaggio dei ricchi

Ecobonus 2024

di Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy
(dall’intervista a “Radio anchio” del 15 febbraio 2023) 

 

Dobbiamo confrontarci con l’Europa. I tempi e i modi che ci impone sullo stop della produzione delle autovetture endotermiche non coincidono con la realtà europea ma soprattutto con quella italiana. Con questi tempi e queste modalità c’è un rischio occupazione e un rischio lavoro. Non abbiamo il tempo per riconvertire il nostro sistema industriale, perché siamo partiti tardi e perché sono stati fatti diversi errori in passato.

 

La strategia è accelerare sugli investimenti, sulle nuove tecnologie, sugli stabilimenti, sulla filiera delle batterie elettriche, sulla realizzazione di colonnine elettriche. Ma siamo in estremo ritardo. In Italia ci sono 36mila punti di ricarica a fronte dei 90mila della piccola Olanda. Negli anni passati si è fatto poco. Quanto a futuri incentivi, le auto elettriche sono appannaggio dei ricchi e non possiamo fare strategie per i ricchi, ma per tutti.

Tutto elettrico dal 2035: un errore sottrarsi

Michele Crisci, foto Instagram

di Michele Crisci, presidente di UNRAE

Con l’approvazione definitiva da parte del Parlamento Europeo del divieto di vendita di auto nuove con motori endotermici dal 2035, i posti di lavoro coinvolti, qualche decina di migliaia, potranno non solo essere convertiti ma se ne potranno aggiungere anche altri.

Si tratta di un processo già in atto, che va governato e al quale è sbagliato sottrarsi. Dobbiamo accogliere queste tecnologie e l’innovazione, tranquillizzando i consumatori sui prezzi: le auto elettriche non saranno solo per i ricchi, perché l’aumento graduale dei volumi di produzione contribuirà ad abbattere i costi e i relativi prezzi, il ruolo degli incentivi è di abbreviare i tempi.

In questo percorso, le aziende, come acquirenti sensibili alla sostenibilità e che dovranno godere di una fiscalità agevolata come nel resto d’Europa e le infrastrutture, soprattutto nelle autostrade, avranno un ruolo fondamentale.

Per questo nei prossimi mesi e anni la transizione energetica dovrà essere accompagnata da un’agenda di Governo, economica e politica, in grado di supportare efficacemente lo sviluppo, anche da un punto di vista sociale e occupazionale.

L’auto in Europa: crollano le elettriche in Germania

i concessionari mostrano cautela

di Gian Primo Quagliano, presidente del Centro studi Promotor

Continua in gennaio la ripresa del mercato automobilistico dell’Europa Occidentale (UE+EFTA+UK). Le immatricolazioni hanno avuto un incremento del 10,7% rispetto allo stesso mese del 2022. Nei confronti di gennaio 2019, cioè dell’anno precedente la pandemia, si registra però un calo del 25,7%. Siamo quindi ancora molto lontani dal ritorno alla normalità, ma l’inversione di tendenza, delineatasinell’agosto scorso dopo tredici cali mensili consecutivi, sembra prendere corpo. La ragione di questa situazione è essenzialmente il miglioramento della disponibilità di auto nuove che era stata, e in parte lo è ancora, fortemente penalizzata dalla carenza di componenti e in particolare di microchip.

Pesa ancora però fortemente sul mercato dell’Europa Occidentale la debolezza della domanda legata alla pandemia e a tutti gli eventi negativi che l’hanno seguita: dalla guerra in Ucraina, alla crisi energetica, al ritorno dell’inflazione e alla crescita del costo del denaro, per citare soltanto i principali.

La migliorata situazione della disponibilità di prodotto sta influendo anche sul tipo di vetture che vengono immatricolate perché molte Case automobilistiche hanno privilegiato negli ultimi tempi auto elettriche e dintorni nell’attività produttiva a scapito delle auto ad alimentazione tradizionale che hanno, quindi, oggi maggiori difficoltà di fornitura rispetto alle elettriche. Questa situazione, tra l’altro, ha determinato a fine dicembre risultati molto positivi nelle immatricolazioni di auto elettriche in alcuni Paesi dell’area, ma in gennaio l’accelerazione dell’elettrico non trova riscontro in alcuni mercati.

In particolare, in Germania si nutrono preoccupazioni per le vendite di auto elettriche dovute anche al venir meno di sussidi statali. Anche in Italia la quota dell’elettrico in gennaio è in calo e tocca il 2,6% collocandosi al di sotto del livello dell’intero 2022 che era sceso al 3,7% dal 4,6% del 2021 e quindi su livelli decisamente bassi rispetto ad altri importanti mercati dell’Europa Occidentale in cui la quota dell’elettrico è ormai a due cifre.

Sempre con riferimento all’Italia, le previsioni per le auto elettriche restano improntate al pessimismo anche perché gli incentivi prenotabili dal 10 gennaio sulla piattaforma del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sono molto poco richiesti. E ciò emerge chiaramente dal fatto che alla data di ieri è ancora disponibile il 95,2% dello stanziamento per incentivi all’acquisto di auto con emissioni di CO2 da 0 a 20 grammi per chilometro e il 96,3% per quello di auto con emissioni di CO2 da 21 a 60 grammi per chilometro, mentre lo stanziamento per incentivi per auto con emissioni di CO2 da 61 a 135 grammi al chilometro si è esaurito il 7 febbraio.

Auto elettriche a parte, la situazione del mercato dell’auto nell’Europa Occidentale resta ancora decisamente difficile. La ripresina delle immatricolazioni in atto è indubbiamente positiva, ma il ritorno ai livelli ante-crisi non è certo a portata di mano nel 2023.

Stop UE al 2035: per Federauto decisione irrazionale

Effetto annunci: ci risiamo

Nell’ambito del pacchetto ‘Fitfor55’, è arrivata l’approvazione finale, da parte del Parlamento europeo, del divieto di vendita di autovetture e veicoli commerciali leggeri endotermici a partire dal 2035 all’interno dell’Unione Europea. Ora manca solo il passaggio formale in Consiglio europeo e la pubblicazione nella “Gazzetta Ufficiale” dell’Unione europea.

 

di Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto

Pur condividendo l’obiettivo di azzerare le emissioni dei veicoli restiamo convinti che l’arco temporale previsto e dunque un’interruzione così brusca della produzione e commercializzazione di veicoli a combustione interna metterà a rischio non solo la competitività delle imprese italiane ed europee in un settore strategico dell’economia ma soprattutto decine migliaia di posti di lavoro in tutta Europa, a vantaggio dei competitors internazionali, principalmente cinesi, i quali hanno anche la leadership tecnologica sulle batterie che alimentano i veicoli a zero emissioni”.

 

È evidente che l’abbandono del Diesel e della benzina in un così breve lasso di tempo non andrà a vantaggio né dell’industria, né delle imprese dell’indotto distributivo e di assistenza post-vendita dei veicoli, né dei consumatori italiani ed europei che già stanno sopportando un aumento dei prezzi consistente. Solo un approccio più graduale e pragmatico ma soprattutto meno ideologico, verso la “rivoluzione elettrica2, fondato su un mix di tecnologie neutrali consentirebbe di raggiungere l’obiettivo di decarbonizzazione dei trasporti su strada di merci e persone, in maniera sostenibile ed efficace.

 

L’auspicio è che l’individuazione nel 2025 della metodologia per valutare i dati sulle emissioni di CO2 lungo l’intero ciclo di vita di autovetture e commerciali leggeri e le successive valutazioni nel 2026 possano aprire gli occhi sull’assurdità di tale decisione, lasciando la porta aperta anche ai motori ibridi e ai biocarburanti.

 

 

Veicoli pesanti: obiettivi difficilmente praticabile

di Massimo Artusi, vicepresidente di Federauto con delega ai Trucks&Van

 

La netta presa di posizione della AECDR (Alleanza europea dei concessionari di veicoli), a cui Federauto appartiene, contribuendo ad elaborarne le posizioni, esprime tutta la preoccupazione della filiera distributiva per la proposta avanzata dalla Commissione europea di ridurre le emissioni dei veicoli pesanti del 90% entro il 2040. La posizione della Commissione continua, infatti, a puntare – anche per i veicoli pesanti – sull’alimentazione elettrica in nome di una lotta alle emissioni di climalteranti che la stessa Commissione vanifica, usando come criterio di valutazione le emissioni allo scarico (TTW) e non considerando in questo modo il danno ambientale procurato dalla produzione dell’energia elettrica impiegata dai veicoli, ignorando nel contempo il costo ambientale di produzione degli accumulatori.

 

Scaturisce da questo equivoco di partenza la sottovalutazione dei carburanti biologici ai quali la Commissione offre solo una timida apertura – mentre dovrebbe considerarli prioritari se l’obiettivo strategico è la decarbonizzazione – incentivandone l’impiego, sia con una adeguata politica di incentivazione, sia con un potenziamento massiccio e rapido della rete di distribuzione nel settore dei veicoli pesanti, per i quali l’alternativa elettrica è difficilmente praticabile. Va, infatti, considerata che una transizione troppo repentina è insostenibile sul piano socio-economico e che la soluzione dell’idrogeno “verde” è ancora lontana, sia sul piano tecnologico che dei costi.

 

Ignorare una realtà come questa – che è sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere – equivale al ricorso del placebo, ossia a usare una medicina aliena alla malattia in corso. Se, in fase di discussione, la proposta non sarà resa più realistica: in termini di responsabilità ambientale, il rischio è quello del totale fallimento della cura; in termini di sostenibilità sociale, è quello di certe operazioni chirurgiche in cui l’intervento è tecnicamente riuscito, ma il paziente è morto; in termini di responsabilità economica, è quello in cui la cura esiste ma nessuno possa permettersela.

 

Infine, l’accanimento della politica europea sul tema dei trasporti è del tutto inspiegabile alla luce degli stessi dati usati dalla Commissione, dalla cui lettura emerge che i veicoli commerciali HDV contribuiscono solo per il 12% alla produzione di GHG dell’intero settore trasporti, nonostante utilizzi un terzo delle risorse energetiche, e al 6% nel totale delle emissioni su scala europea.

 

Lo stop UE al 2035: da vivere anche come opportunità

Auto elettriche: togliere il tetto al prezzo per avere gli incentivi

di Michele Crisci, presidente di UNRAE

 

L’effetto Cuba e la minaccia che tutto questo possa portare, come la disoccupazione e la chiusura di aziende, sono tutti effetti che possono diventare probabili se in questi 12 anni che ci separano dal 2035 non ci sarà un’agenda economica, politica e istituzionale che possa affrontare una riconversione dell’industria dell’automotive e della componentistica italiana.

 

Il 60% del fatturato della componentistica italiana è fatto verso le aziende europee, che hanno deciso di andare verso una transizione ambientale ben prima del 2030: allora bisogna chiedersi cosa farà questo 60% di fatturato, quando questi contratti saranno persi. Queste aziende vanno riconvertite. Perché questo avvenga con successo, bisogna che il mercato italiano si adegui a quelli che sono gli andamenti del mercato europeo, altrimenti tutta l’Europa si sposta verso le nuove tecnologie e l’Italia resta non solo fanalino di coda, ma addirittura retrocede.

 

Se non verrà messa in piedi un’agenda per gestire la transizione, penso che i posti di lavoro a rischio nel settore automotive sarebbero nell’ordine di qualche decina di migliaia. Dovranno essere convertiti in posti di lavoro diversi, creando posti di lavoro aggiuntivi. Si può fare: va gestito, va governato e deve essere vissuto come un’opportunità senza la quale sicuramente perderemo posti di lavoro, perché la decisione è già presa ed è già in atto. Rischiamo di diventare un Paese di serie B dal punto di vista dello sviluppo delle nuove tecnologie. Ci sono troppe limitazioni anche dal punto di vista del mercato, bisogna aprire alle nuove tecnologie.

Lo stop UE al 2035: controproposta del Governo italiano

Antonio Tajani, foto Instagram

di Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri
(dal TG1 del 15 febbraio 2023)

Io sono un grande sostenitore dell’auto elettrica, ma gli obiettivi ambiziosi vanno raggiunti sul serio, non solo sulla carta: ecco perché sullo stop a benzina e Diesel nel 2035, approvato dal Parlamento europeo, l’Italia avanzerà una sua controproposta: limitare la riduzione al 90%, dando la possibilità alle industrie di adeguarsi.

E’ un errore grave la decisione dell’Europa di mettere fine alla costruzione di motori non elettrici a partire dal 2035. La lotta al cambiamento climatico va fatta, ma richiede obiettivi raggiungibili.

Stop UE al 2035: cancellati secoli di eccellenza industriale

di Mario Verna, direttore generale di Queen Car

 

Tanta fretta perché la maggioranza con quel mix di ideologia e follia si assottiglia, così come le sinistre pseudo-ecologiste perdono consenso dovunque.
L’ultima votazione sull’auto con la spina sembra essere il canto del cigno di quella mentalità fintamente europeista e profondamente anti-europea. Perché la decisione presa non ha alcun fondamento scientifico e non porterà alcun beneficio realistico alla CO2 del pianeta ma, al contrario, cancellerà secoli di eccellenza industriale, innovazione, cultura e passione, oltre che, molto più praticamente, posti di lavoro e sviluppo.

Ma la cosa ancora più grave, quella davvero imperdonabile (per cui pagheranno un ulteriore pegno le forze politiche che l’hanno determinata) è la rottura del patto sociale legato all’accesso alla mobilità: l’auto, la libertà di muoversi, diventerà un lusso. Il popolo (i popoli), le persone, non sono protetti dalla furia iconoclasta dei grandi profeti della decrescita felice (per gli altri), dai grandi assi di interesse con porzioni di mondo a noi ostili, dalla logica perversa che costringerà l’Europa alla sudditanza.

Tanto è però, ne parleremo a lungo e chi ha sostenuto queste scelte se ne assumerà le responsabilità. I piani cambieranno, come le ultime elezioni dimostrano nei Governi nazionali e cambierà la direzione europea: più verso i popoli e meno verso la finanza. Accadrà presto, perché è già accaduto.

Lo stop UE al 2035: “effetto Cuba” in vista, auto elettriche per pochi

di Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria per filiere e medie imprese
(da “Zapping” di Radio Uno)

La decisione del Parlamento Europeo di vietare la vendita di nuove auto a motore endotermico dal 2035 «potrebbe avere in Italia un “effetto Cuba”. La gente non potrà comprare le auto elettriche perché troppo costose, e continuerà a girare con auto sempre più vecchie.

La decisione dell’Europarlamento è stata presa su impulso ideologico, senza calcolare gli impatti ecologici, economici e sociali. Non sono stati fissati solo gli obiettivi, ma anche il modo per arrivarci, cioè l’elettrico. Questo provocherà danni in Italia. I sindacati calcolano 70.000 posti di lavoro a rischio, che diventeranno il doppio sull’intera filiera. Solo parzialmente compensati dai nuovi addetti nell’elettrico, che impiega molte meno persone.

Sull’auto elettrica l’Italia è particolarmente indietro perché la sua industria è specializzata sui motori endotermici, il Paese è in ritardo sull’infrastruttura di ricarica, e sono poche le auto elettriche circolanti. Ma in questa vicenda, l’Italia paga le scelte fatte dai tedeschi dopo il Dieselgate, quando l’automotive germanico, sull’onda dello scandalo dei test truccati, decise in blocco di abbandonare l’endotermico e passare all’elettrico.

Ll’industria italiana non fa una battaglia di retroguardia, la transizione va fatta e può essere un buon affare. Si chiede all’Europa la neutralità tecnologica: va bene l’obiettivo, ma anche con altri mezzi, come i biocarburanti o l’idrogeno. E poi bisogna cominciare a incentivare pesantemente la transizione, che costerà molto.

Lo stop UE al 2035: non siamo sudditi, il premier difenda l’industria italiana

dì Marco Bonometti, presidente e amministratore delegato di OMR

Sullo stop al 2035 ai motori endotermici, deciso dall’UE, io pensavo che dopo la presa di posizione del Governo italiano si potesse arrivare a un compromesso, ma la votazione evidenzia la spaccatura del Parlamento europeo.

Quello che più mi rammarica è che una parte degli europarlamentari italiani abbiano votato a favore. PD e M5s hanno approvato questo ulteriore tassello contro l’industria europea dell’auto. La musica è cambiata: il presidente del Consiglio si è fatta sentire in Europa, dove noi non dobbiamo essere sudditi, ma difendere gli interessi nazionali, che sono anche interessi europei.

Contiamo molto su questo Governo. Se l’Italia, che è comunque il secondo Paese più industrializzato d’Europa, si fa vedere compatta, voglio vedere cosa fanno Germania e Francia… l’industria italiana è indispensabile per la crescita e lo sviluppo dell’Europa, quindi io penso che la clausola di riduzione al 2026 porti a ripensare le tempistiche e le modalità dello stop ai motori endotermici al 2035.

Il mio appello al Governo è essere cosciente della forza industriale della manifattura italiana. Meloni deve avere la forza dell’industria italiana che è leader mondiale. Se deve difendere un patrimonio, deve difendere quello dell’industria italiana.

UE e transizione automotive: no ai proibizionismi

di Giuseppe Ricci, presidente di Confindustria Energia

C’è stata la ratifica finale del bando al motore a combustione interna al 2035. Noi crediamo che la transizione energetica non si faccia con i bandi o con protezionismi, ma si faccia con dei chiari piani di decarbonizzazione, applicando il principio di neutralità tecnologica e chiamando a raccolta tutte le soluzioni tecnologiche che sono disponibili.

Non dobbiamo puntare solo su un’unica direzione, altrimenti facciamo la fine che abbiamo fatto con il gas dipendente dalla Russia.