Transizione green: riflessioni e… vie di fuga

di Corrado Storchi, analista del mercato automotive

 

Qualcuno l’ha chiamata “la strage di S.Valentino”. Ma a differenza di quella avvenuta a Chicago, nel 1929, le istituzioni europee nel mettere al bando la vendita di auto termiche dal 2035 – si sono date due possibili… vie di fuga. Perché, diciamolo,  sembrano esserci ancora tante domande in attesa di risposta.

La politica

La prima: il 29 giugno del 2022 gli Stati membri hanno determinato, dopo una riunione dai toni piuttosto accesi, che nel 2026 dovrà esserci un momento di verifica rispetto al pacchetto “Fit for 55” (l’architrave anti-CO2 sulla quale poggiano le applicazioni specifiche per ogni settore): verranno valutati i progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni del 100% e la necessità di rivedere tali obiettivi tenendo conto degli sviluppi tecnologici nel percorso di transizione sostenibile e socialmente equa, verso l’azzeramento delle emissioni.

La seconda: a pochi giorni dalla ratifica in Consiglio d’Europa della decisione presa dal Parlamento Europeo, Germania, Italia, Polonia e Bulgaria, seppure con toni diversi, hanno ‘suggerito’ di rimandare tale ratifica a data da destinarsi. E sembra che lo spirito di questa riflessione aggiuntiva sia legato proprio al modo di intendere  una “transizione sostenibile e socialmente equa”. Perché non basta limitarsi alla sola vendita di auto alla spina. Occorre invece costruire in tempi ragionevoli quell’ecosistema necessario allo sviluppo di una mobilità elettrica che non sia di élite. Con un buon senso che abbracci il mercato, l’infrastruttura di rifornimento, l’energia.

L’energia

Per quanto riguarda quest’ultima, chiunque comprende che occorre aumentarne la produzione, oltretutto in modo green – con le rinnovabili -, sia per dare da “mangiare” alle BEV sia, appunto, per attribuire un senso compiuto a tutto l’ecosistema. Per capirci, produrre il surplus necessario di energia elettrica con il carbone, nello scenario peggiore, sposterebbe a monte il problema.

Nel 2022, la principale fonte di produzione di energia elettrica è stata proprio il carbone in Germania, Polonia, Repubblica Ceca e altri Paesi dell’Europa Orientale. Olanda, Regno Unito, Italia e altri utilizzano principalmente il gas. Solo in Spagna, Portogallo, Austria e Paesi Scandinavi la leadership è di idroelettrico o eolico. Oggi, nell’Europa allargata a UK e Turchia, l’energia elettrica viene generata al 25% dalle centrali nucleari, al 20% dal gas, al 14% dal carbone. Idroelettrico, eolico e solare non superano il 32%.

Il mercato

Per quanto riguarda il mercato, molti incauti opinionisti hanno citato percentuali da capogiro – per quanto riguarda le immatricolazioni di auto ricaricabili – in tutto il resto d’Europa, Italia esclusa. Qualche paletto oggettivo aiuterà il prosieguo della discussione. Se consideriamo le immatricolazioni 2022 di auto elettriche e plug-in nei Paesi della comunità europea,  aggiungendo Islanda, Norvegia, Svizzera e UK, scopriamo che solo in Norvegia tale percentuale arriva a un eclatante 88%. In Svezia e Islanda essa valica il muro del 50%, mentre in altri 12 Paesi si sta nella fascia 20%-40%. Da lì c’è un salto all’indietro, a chi ha immatricolato meno del 10% di auto alla spina. Si tratta di 15 Paesi, con l’Italia terza, in questa classifica parziale, con il suo 9% scarso. Certamente in ritardo, rispetto ad altri mercati più significativi: Germania (31%), UK (23%), Francia (21%) e rispetto alla media di tutti i Paesi in esame (23%).

Attenzione: in Europa, tra le auto ricaricabili, le plug-in hanno rappresentato, nel 2022, il 39% delle immatricolazioni “alla spina”. Ma anche le plug-in dovranno (dovrebbero) uscire dal mercato “consentito” nel 2035. C’è poi la decisione del Consiglio d’Europa di porre fine al meccanismo normativo di incentivazione per i veicoli a zero e basse emissioni (ZLEV) a partire dal 2030. Ci sarà mercato, senza incentivi?

Se sì, lo intercetteranno le auto cinesi a minor costo d’acquisto? Il 2023 non è certo iniziato con il vento in poppa. A gennaio sono state vendute solo 672.000 unità, quasi la metà delle vendite di dicembre 2022. Molti crediti d’imposta e i sussidi governativi, in diversi Paesi, sono stati ridotti o rimossi, eccezion fatta per il mercato statunitense e agli aiuti previsti nell’Inflation Reduction Act. Invece in Cina, il più grande mercato di veicoli elettrici, si è registrata una riduzione di quasi il 50% delle vendite rispetto al mese precedente. In Europa, vista l’annunciata fine di molti incentivi, molti automobilisti hanno anticipato gli acquisti dal primo trimestre del 2023 al dicembre 2022.

Le emissioni

Se, il linea generale, il pacchetto “Fit for 55” mira a ridurre le emissioni nette di gas serra in Europa – di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 – e a conseguire la neutralità climatica entro il 2050, tale applicazione al settore automotive ha assunto toni drastici e fors’anche impositivi. A quanto ammontano le emissioni di CO2 in Europa? Quale è la quota riconducibile al traffico di autovetture? La decisione di impedire la vendita di auto Diesel e benzina dal 2035, di quanto ridurrà tale impatto?

Nell’acceso dibattito di questi giorni, ovviamente in molti hanno citato fonti ed elaborato calcoli. Sembra essere vicino alla realtà l’affermare che i trasporti su strada contribuiscano tra il 10% e il 20% delle emissioni di anidride carbonica in Europa. In un suo recente video-intervento, Nicola Armaroli dirigente del CNR, e direttore della rivista “Sapere” – lo determina nel 16%. Va tenuto presente che dal 2015, anno del Dieselgate, in Europa la quota di mercato diesel (non ibridizzate) è scesa dal 51% al 16%. Un capitombolo non così evidente per le auto alimentate solo a benzina: dal 43% al 36%. Mentre le ibride, mild o full che siano, sono vertiginosamente cresciute, dal 2% al 24%.

Il lavoro

Si è molto dibattuto, in questi giorni, sulla possibile perdita di migliaia di posti di lavoro in Europa. Tutti i 13 milioni di lavoratori automotive (il 7% sul totale degli occupati europei) avranno la possibilità di ricollocarsi? Tutte le aziende che li occupano potranno riconvertirsi? Quale sarà il saldo tra posti di lavoro “termici” persi e quelli nuovi creati dalla mobilità elettrica?

L’infrastruttura

Dubbi anche per l’infrastruttura di ricarica. Ci sono attualmente 400mila charging stations in Europa. Per realizzare il piano che sta perseguendo, l’EU-27 ha bisogno di altri 3 milioni di stazioni, entro il 2030. Costo stimato: 240 miliardi. Sono i numeri forniti dalla nota società di consulenza McKinsey, nel rapporto “L’opportunità europea per i veicoli elettrici e l’infrastruttura di ricarica necessaria per soddisfarla”, pubblicato a novembre 2022. E ancora: chi non ha un box?

L’automobilista

Ultimo della lista, come al solito, viene il povero e criminalizzato automobilista. Che oggi, in Italia, se non ha un abbonamento flat alle colonnine di questo o quel fornitore, trova nel vecchio e bistrattato (ma scelto da molti) GPL l’unica vera, attuale opportunità di risparmio. Voce non di secondo piano, visto che il reddito pro-capite nazionale non è quello del… Qatar. Poi c’è il tema della libertà di movimento individuale, che non pochi mettono in discussione, sull’altare della lotta al cambiamento climatico. 

Una mela acerba

L’auto elettrica affollerà certamente le strade europee, ma sembra che i tempi dettati dall’UE (2035) siano incompatibili con quelli dell’industria, della riconversione, dell’occupazione e dell’infrastruttura. Bio-carburanti, carburanti sintetici, idrogeno: saranno queste soluzioni ad aggiungersi alla prospettiva tecnologica, come ulteriori alternative, quando i decisori politici faranno il punto, nel 2026? Difficile pronosticarlo ma, di certo, una sola ricetta risulta indigesta.

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