AlixPartners: Cina ed Europa guidano la crescita dell’elettrico

Foto: Dario Duse, Managing Director di AlixPartners e co-leader europeo del team Automotive and Industrial di AlixPartners

Anche nel 2021 l’elettrificazione del mercato automobilistico globale è cresciuta nonostante le continue difficoltà dovute al Covid-19 e alla carenza di chip, segnando il suo massimo storico con 1.940 milioni di chilometri rispetto ai 985 milioni di chilometri del 2020 (circa +100%). Motori di questa crescita a livello globale sono la Cina e l’Europa. Lo dimostrano i risultati dell’ultimo AlixPartners Automotive Electrification Index 2021 che, ogni trimestre dal 2017, determina l’autonomia elettrica, cioè la somma dell’autonomia di tutte le e-car vendute per paese e produttore.

 

“In Europa, i veicoli elettrificati rappresentano ora una grande quota delle nuove immatricolazioni. In questo contesto, la domanda di auto a batteria (BEV) sembra finalmente superare quella di auto ibride plug-in (PHEV), che hanno avuto a lungo successo in Europa. Una ragione di questo cambiamento di rotta è la continua crescita della gamma di modelli elettrificati proposti, soprattutto dai produttori europei. Volkswagen e Stellantis offrono ora quasi 40 veicoli elettrificati ciascuno”, ha affermato Dario Duse, Managing Director di AlixPartners e co-leader europeo del team Automotive and Industrial di AlixPartners.

 

Nel complesso, il mercato BEV europeo mostra un tasso di crescita elevato con un CAGR (tasso di crescita) del 71% dal 2017 e un +64% dal 2020. Anche in Italia si sta affermando questa tendenza: nel 2021 la quota BEV è aumentata di 36 punti percentuali, passando dal 33% del 2020 al 69%. In Europa è il Gruppo Volkswagen a detenere la quota più elevata (25% nel 2021, rimasta però invariata rispetto all’anno precedente), mentre al secondo posto si colloca Stellantis con un market share del 15%, cresciuto di 14 punti percentuali dal 2019.

 

Nonostante la forte crescita del mercato europeo, la Cina è di gran lunga il mercato BEV più competitivo a livello globale, con il maggior numero di veicoli venduti (2,6 milioni) e con il maggior numero di produttori. A livello globale, quasi un veicolo a batteria su due è stato realizzato da un produttore cinese, e acquistato a livello nazionale, infatti i costruttori cinesi sono difficilmente presenti sul mercato europeo. Nel 2021, quindi, solo il 7% (circa 205.000) dei veicoli BEV prodotti da brand cinesi sono stati esportati in Europa.

 

“In generale, chi acquista veicoli elettrici sembra preferire i produttori locali. In Nord America il mercato è dominato da Case statunitensi, come Tesla e Ford, con oltre l’82 per cento dei veicoli elettrici di nuova immatricolazione; in Europa, circa il 69 per cento sono di produttori europei; e in Cina, l’80 per cento del totale dei BEV venduti nel 2021 è stato prodotto da costruttori nazionali“, osserva Dario Duse. “Una delle sfide in tutti i mercati è che i clienti preferiscono ancora in gran parte i brand nazionali. Finora, solo Tesla è riuscita a ottenere una significativa quota di mercato, se non addirittura la più grande, in tutte le regioni”.

 

Per l’ulteriore sviluppo dell’elettrificazione giocano un ruolo ancora più decisivo di prima i prezzi delle materie prime, che risentono della guerra fra Russia e Ucraina, così come la supply chain e l’accesso a una quantità sufficiente di materie prime.

Questo include tutti i veicoli elettrici a batteria (BEV), i veicoli ibridi plug-in (PHEV) e i veicoli elettrici a celle a combustibile (FCEV).

 

Riva Aquarama (7 milioni): con due… Miura

di Roberta Pasero

Il rombo di due motori Miura per solcare le acque e passare dall’asfalto a mari e laghi. Non poteva che essere di Ferruccio Lamborghini questo Riva Aquarama datato 1968, un gioiello héritage, scafo di legno com’era tradizione Riva, con dettagli azzurro Tiffany, tutto splendidamente restaurato, e che oggi ha una quotazione di mercato di 7 milioni di euro.

Pochi giorni fa il rimessaggio in acqua, sul lago di Iseo, di questo Lamborghini oggi proprietà dei Cantieri Bellini dove tornano a splendere gli storici motoscafi Riva. E poi in acqua per un test drive, con i motori Miura a vista che suonano una partitura emozionante. 

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Autotrasporto: occorrono misure strutturali più incisive

di Luca Sra, delegato Anfia per il trasporto merci

I periodi di tempeste da navigare sono periodi di grandi  cambiamenti in cui il cambiamento dovrebbe essere sospinto. Da questo punto di vista possiamo isolare due aspetti fondamentali: in primis la vetustà del circolante italiano, dove, sì, una crescita di mercato del 25% è qualcosa, ma non è sufficiente – e probabilmente non è sufficiente una crescita naturale, non supportata dalle istituzioni e sostenuta attraverso una transizione verso soluzioni di trasporto non inquinanti, non tradizionali – e poi tutta una serie di misure, di investimenti e atti necessari a sostenere questo cammino.

 

È stato fatto qualcosa: la proroga del credito d’imposta del 20% sui veicoli a #metano liquido a tutto il 2022; c’è stata la revisione del 13% al ribasso delle tariffe autostradali senza discriminazione tra Euro VI e non Diesel, quindi veicoli a gas naturale LNG. Questo non è sufficiente. Dal nostro punto di vista sono necessarie misure strutturali più importanti e più incisive a sostegno della transizione e del rinnovo del circolante.

Un’idea è, al pari di quanto è capitato già in altri Paesi europei, agire sui pedaggi autostradali, e quindi differenziare in funzione del livello di emissioni e, dopodiché, accompagnare la transizione progressiva dal Diesel, attraverso il gas naturale e il gas liquefatto, verso l’elettrico e l’idrogeno. A questo proposito, ci sono 3 attori fondamentali: il legislatore che fa una legge per ridurre del 15% le emissioni di qui al 2025; chi fa il mestiere di costruttore di veicoli industriali e deve investire miliardi di euro in sviluppo del prodotto; il cliente, che deve potersi appoggiare su un’infrastruttura, su sostegni all’acquisto, su tutta una serie di percorsi di progressiva transizione dalDdiesel tradizionale verso quella che è la trazione alternativa.

Transizione ecologica: tanti timori, poca chiarezza

di Rocco Palombella, segretario generale Uilm

Continuiamo a registrare aziende che chiudono o delocalizzano la produzione, ma il governo continua dire di non preoccuparsi perché ci sono le risorse del Pnrr, che ovviamente consideriamo importanti, ma non sufficienti a governare una transizione che in un settore specifico, come quello dell’automotive, rischia di provocare tanti danni: parliamo di centinaia di migliaia di posti di lavoro che rischiano di andare in frantumi.

 

Quella dei metalmeccanici è una categoria a favore dell’ambiente, della transizione ecologica e dell’innovazione tecnologica e proprio per questo abbiamo voluto porre all’attenzione della politica che, se non gestita correttamente, nei tempi e nelle modalità stabilite, rischia di bruciare tutto il tessuto industriale, sacrificando centinaia di migliaia di posti di lavoro.

 

Stiamo sollecitando le aziende come Bosch e Magneti Marelli di avviare immediatamente il processo di cambiamento e di innovazione. Abbiamo già ricevuto una dichiarazione di Carlos Tavares, l’amministratore delegato di Stellantis, che ha detto candidamente che rispetteranno quello che è imposto dall’Unione Europea. Può sembrare una rassicurazione, ma non ci ha detto con quali persone, con quali modalità, con quali ricadute, con quale componentistica e con quali stabilimenti.

Sezione rimorchi Anfia: l’appello al Governo

Foto: L’intervento di Gianmarco Giorda, direttore di Anfia

Si è svolta a Fiera Milano–Rho, nell’ambito di Transpotec-Logitec 2022, manifestazione patrocinata da Anfia, la conferenza stampa  della Sezione Rimorchi dell’Associazione, organizzata per denunciare le serie difficoltà  di approvvigionamento e gli enormi rincari di materie prime come ghisa, alluminio,  cromo, nichel e argilla, che il protrarsi della crisi energetica e gli impatti devastanti del  conflitto in Ucraina stanno creando alle imprese della filiera italiana dei produttori di  rimorchi e semirimorchi e degli allestitori di veicoli industriali, per l’80% formata da PMI  artigiane familiari.

 

Alla relazione introduttiva di Gianmarco Giorda, Direttore di Anfia, sulle attuali  tendenze del settore manifatturiero del trasporto merci in Italia, ha fatto seguito un  momento di confronto tra alcuni imprenditori della filiera: Andrea Zambon Bertoja, presidente della Sezione Rimorchi Anfia e ad di Rimorchi Bertoja; Massimo Menci, direttore generale Menci & C.; e Matteo Pezzaioli, amministratore di Carrozzeria Pezzaioli.

 

“La situazione è fuori controllo – afferma Andrea Zambon Bertoja -. I continui aumenti dei prezzi, dell’ordine del 15- 20%, e le difficoltà di reperimento delle materie prime, che si sommano all’impatto  della crisi energetica sui costi delle bollette degli stabilimenti produttivi, aumentati  di oltre 7 volte, obbligano i produttori di rimorchi e semirimorchi a produrre in  perdita, senza poter riversare i maggiori costi di produzione sui clienti, imprese di  autotrasporto a loro volta alle prese con prezzi dei carburanti e del metano saliti alle  stelle”.

 

“Se fino a un mese e mezzo fa – aggiunge Zambon Bertoja – la domanda interna risultava piuttosto stabile e il  mercato in ripresa, con il paradosso dei produttori impossibilitati ad evadere gli ordini per via dei costi di produzione insostenibili, ora assistiamo anche ad un  assottigliamento del portafoglio ordini. E’ forte e tangibile il rischio di una perdita di  competitività rispetto ai produttori esteri, per i quali l’impatto della crisi energetica  sulle bollette è molto inferiore rispetto a quello delle imprese italiane – circa la metà  in Francia e tra il 15 e il 20% in meno in Germania – e le misure messe in campo nei  rispettivi Paesi per sostenere imprenditori e imprese in questa crisi globale, sono più consistenti e incisive – circa 100 miliardi di ruro di aiuti stanziati in Francia e in  Germania – di quelle del nostro Governo, assolutamente insufficienti”.

 

“Rallentare o addirittura bloccare la produzione – prosegue Bertoja – significa penalizzare i dipendenti delle nostre imprese e le loro famiglie, già duramente colpiti,  come cittadini, dal rincaro dei costi dell’energia e dei beni di consumo”.

 

In riferimento alla forza lavoro, Matteo Pezzaioli sottolinea che “I dipendenti stanno chiedendo aumenti degli stipendi per  poter far fronte ai rincari che li toccano come cittadini e che derivano dalla crescita  dell’inflazione. Ulteriori problemi sono rappresentati da un calo della propensione alla  manualità e alle esperienze di alternanza scuola-lavoro nelle nuove generazioni e da un  incremento delle dimissioni volontarie, già a partire dallo scorso anno: nel secondo  trimestre 2021 sono aumentate del 37% rispetto al trimestre precedente e addirittura dell’85% rispetto allo stesso periodo del 2020. Questo ha a che fare con un calo della  motivazione professionale e con una ricerca, da parte della forza lavoro, di condizioni e  prospettive migliori, difficilmente realizzabili in questa fase di forte crisi. Chiediamo al  governo di intervenire in questo senso incentivando iniziative e programmi scuola-lavoro”.

 

“Se non si risolleva la raccolta ordini, in calo a due cifre nel 1° quadrimestre 2022  rispetto allo stesso periodo del 2021, senza contare l’annullamento di ordini già  acquisiti da parte di clienti che non accettano di far fronte agli aumenti dei prezzi o  che non hanno più la capacità economica necessaria – le parole di Massimo Menci -.ù. le nostre aziende dovranno andare in cassa integrazione subito dopo la pausa estiva. Ci chiediamo anche se, nel 2023, stante  l’attuale situazione, i clienti avranno la capacità di far fronte alla consegna dei prodotti  ordinati”.

 

“Sul fronte della formazione, poche scuole indirizzano gli studenti verso le aziende  metalmeccaniche. C’è un divario tra domanda e offerta. Chiediamo, quindi, che  vengano attivate, dal Ministero dell’Istruzione e dal ministero del Lavoro, collaborazioni e percorsi formativi per far sì che gli studenti, nella fase di studio, possano conoscere e comprendere l’iter lavorativo all’interno di un’azienda  metalmeccanica”.

 

Rivolgiamo un appello al Governo e a tutte le istituzioni – conclude Andrea  Bertoja – affinché si impegnino ancora di più di quanto stanno già facendo come mediatori di pace, per una cessazione del conflitto Russia-Ucraina, e affinché facciano  uno sforzo maggiore rispetto a quello mostrato finora, intervenendo per far cessare le  speculazioni finanziarie sui mercati, e per introdurre urgentemente misure di sostegno, come la riduzione del cuneo fiscale, che sicuramente aiuterebbe imprese e lavoratori.  Ci rivolgiamo anche alla catena di fornitura per invitare tutti gli attori a evitare le  speculazioni, e ai nostri clienti, per invocarne la comprensione di fronte a possibili  aumenti del prezzo finale dei prodotti anche per le commesse in corso”.

Bain & Company: tempi duri per l’auto in Europa

Il mercato europeo dell’auto sta risentendo della crisi internazionale in corso, che si aggiunge agli shock dovuti alla pandemia e alla conseguente crisi dei semiconduttori. Ma per quale motivo ne risente, dal momento che Russia, Bielorussia e Ucraina non sono mercati di acquisto così significativi? Infatti, questi tre Paesi, complessivamente, attirano circa il 2% delle vendite globali di vetture. La ragione è che questi Paesi sono in realtà cruciali nel meccanismo di approvvigionamento del comparto, soprattutto per quanto riguarda una serie di materiali e commodities assolutamente centrali per la produzione di autoveicoli.

 

Lo sottolinea Bain Company in un rapporto sull’impatto della guerra in Ucraina sul settore dell’automotive. ”Basti pensare – spiega Gianluca Di Loreto, Partner
Bain Company – che il 100% del palladio, componente chiave per le marmitte catalitiche, scambiato a livello globale, e il 36% del nichel mondiale, elemento chiave per le batterie dei veicoli elettrici, provengono da queste aree”.

 

Questo contesto pone grandi sfide: negli ultimi due anni le interruzioni della catena di approvvigionamento sono state molto più frequenti, prima con il Covid-19, poi con la crisi globale di chip, seguita da altri shock, ad esempio i sistemi di cablaggio, ora mancanti. ”Eventuali trasferimenti di produzione – prosegue Di Loreto – potrebbero richiedere da 3 a 10 mesi, a causa dei tempi di attesa per i macchinari e la formazione del personale. Fino a 1 milione di veicoli sarà colpito dalla carenza di cablaggi e prevediamo che, nonostante la produzione di processori incrementerà in modo significativo nei prossimi 9-12 mesi, la crisi in Ucraina inciderà in modo significativo sulla filiera, in particolare per quanto riguarda la produzione di veicoli. Questo avrà un impatto sulle Case auto che dovranno impegnarsi in un ripensamento a tutto tondo delle forniture e dei paradigmi consolidati. Va anche considerato che il calo della domanda europea dovuto alla guerra potrebbe in qualche modo rappresentare, nel medio termine, una sorta di ”palliativo” alla carenza di componenti e allo scompenso domanda-offerta”.

 

Nel 2022 e nel 2023 l’impatto sarà principalmente legato alla perdita di vendite dirette in Russia, Bielorussia e Ucraina. Dopo il 2024, l’impatto sarà legato alle ripercussioni economiche generali della guerra. Tuttavia, l’impatto della guerra sarà differente per area: l’Europa sarà la zona maggiormente colpita, data la vicinanza geografica e le connessioni locali nella catena di approvvigionamento.

 

Canada, Messico e Stati Uniti avranno un impatto contenuto nell’immediato, con qualche rischio di rallentamento economico a medio termine. In Cina si potrebbe verificare a breve termine una riduzione moderata delle vendite, principalmente a causa del rinnovato blocco di Covid-19. ‘‘La crisi ucraina sottolinea l’urgenza per le aziende di rafforzare la propria resilienza operativa. Questo conflitto si inserisce in un più ampio contesto di trend importanti che stavano già avendo un impatto significativo sul settore automobilistico: primo fra tutti, l’elettrificazione”, continua Di Loreto. In questo scenario, la visione tradizionale delle catene di approvvigionamento deve cambiare e i player del settore – per avere successo – devono abbracciare una visione end-to-end che colleghi la strategia della supply chain agli obiettivi aziendali generali.

 

”La digitalizzazione dei processi diventerà imprescindibile per aumentare la flessibilità operativa, così come l’ottimizzazione delle scorte e un monitoraggio più puntuale di tutta la filiera a monte, con rotte di approvvigionamento più corte, saranno elementi sempre più irrinunciabili. Un esempio pratico: da un sistema con hub globali che riforniscono i diversi impianti dislocati nel mondo, alcune aziende stanno già valutando un approccio più regionale, dove ogni zona geografica abbia una sua indipendenza produttiva gestita da processi decisionali decentrati”, conclude Vittorio Melli, Senior Manager Bain Company.

Prezzi gas naturale autotrazione: ok all’Iva al 5%

Le Associazioni Assogasmetano, Assopetroli-Assoenergia e Federmetano hanno accolto con favore le misure approvate dal Consiglio dei ministri. Il provvedimento, oltre a prorogare il taglio delle accise sui carburanti fino all’8 luglio 2022, include anche un intervento sul metano auto: l’accisa sarà a zero euro per metro cubo ed è prevista una riduzione dell’Iva dal 22% al 5%.  



Quanto ottenuto è il risultato di una battaglia portata avanti dalle tre associazioni da oltre otto mesi e che certamente costituisce un tassello importante per la tutela del settore del metano per autotrazione, pesantemente colpito dal caro prezzi e che fino a oggi non aveva avuto alcun tipo di sostegno da parte del Governo. A tal proposito, Assogasmetano, Assopetroli-Assoenergia e Federmetano ringraziano i ministri della Transizione ecologica Roberto Cingolani, dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco e dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti per la sensibilità dimostrata nel salvaguardare al contempo una riduzione del prezzo al consumo e un’eccellenza italiana funzionale alla decarbonizzazione e che tanto ha dato e molto può dare al Paese in termini economici, ambientali e occupazionali.

 

La filiera del metano per autotrazione conta, infatti, nel nostro Paese conta circa 20.000 addetti, oltre 1.500 punti vendita, 1.100.000 famiglie a basso-medio reddito, autotrasportatori e aziende di trasporto pubblico locale che hanno scelto il metano per la loro mobilità – motivate dall’economicità e dai vantaggi ecologici del gas naturale – e ben un 30% di biometano già distribuito in rete per uso autotrazione.

Bus elettrici: incentivi dal Mise

Con un decreto del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, è stata istituita una nuova linea di intervento per la realizzazione di investimenti nella filiera degli autobus elettrici per la quale sono disponibili incentivi per un ammontare di 300 milioni di euro stanziati dal PNRR.

 

Potranno richiedere gli incentivi le imprese del settore, in particolare quelle della componentistica, che presentano piani di investimento sul territorio nazionale le cui spese ammissibili risultano comprese tra 1 milione e 20 milioni di euro. L’importo delle agevolazioni non può in ogni caso superare, nel suo complesso, il limite massimo del 75% delle spese ammissibili.

 

Le agevolazioni verranno concesse sotto forma di contributo a fondo perduto o finanziamento agevolato, anche in combinazione tra loro, come già previsto nell’ambito dello sportello online dedicato ai contratti di sviluppo che è stato aperto lo scorso 26 aprile. A completamento dell’investimento produttivo potranno essere presentati anche progetti per la ricerca e sperimentazione industriale nonché per la formazione del personale. Il provvedimento è stato inviato alla Corte dei Conti per la registrazione.

Autotrasporto: in 5 anni 9mila imprese in meno

Diminuiscono le piccole imprese e crescono in modo consistente quelle medie e grandi. Segno di un settore che sta cambiando pelle e che va nella direzione di una maggiore strutturazione e specializzazione. È l’istantanea scattata dal volume «100 numeri per capire l’autotrasporto. Storie in movimento», edito da Uomini e Trasporti –
Federservice
 e presentato a Milano nell’ambito del Transpotec Logitec 2022.

 

La pubblicazione, giunta alla terza edizione (la prima nel 2017, la seconda nel 2019), è una vera radiografia dell’autotrasporto in cui, attraverso lo studio di dati statistici, viene messo a fuoco un settore in profonda trasformazione.

Dai dati del volume emerge come il settore italiano dell’autotrasporto abbia visto diminuire negli ultimi anni il numero di imprese. A certificarlo sono i numeri: dal 2016 al 2021 sono sparite 8.944 aziende di autotrasporto. In cinque anni, cioè, si è passati da 95.801 a 86.857 imprese, pari a un calo del 9,3%.

 

Un trend di decrescita costante, considerato che nell’ultimo quinquennio si è assistito a un calo medio dell’1,9% annuo. In questo contesto, solo le società di capitali, vale a dire quelle medie e grandi, hanno fatto registrare un aumento in termini numerici. Questa forma di azienda è infatti schizzata da 20.195 a 24.781 unità, con un balzo in avanti del 22,7%. Al contrario, risultano nettamente in calo le ditte individuali e le società di persone – i cosiddetti «padroncini» – che perdono nel quinquennio rispettivamente il 20,8% e il 13,3%: percentuali che in cifre significano che sono sparite 11.385 imprese individuali e 2.048 società di persone. Anche nel loro caso il trend è costante e, dal momento che la distanza tra società di capitali e ditte individuali nel periodo considerato si è dimezzata (da 34.486 a 18.515 unità), se la tendenza rimanesse immutata nei prossimi anni, si potrebbe assistere a un clamoroso sorpasso entro la fine del decennio.

 

Dunque, un autotrasporto più imprenditoriale e meno familiare. I dati del volume non lasciano quindi spazio a incertezze: siamo di fronte a quello che potrebbe essere definito come il «tramonto dei padroncini». Del resto, il declino di questa categoria che per decenni ha rappresentato l’ossatura dell’autotrasporto italiano, era visibile da tempo.

 

Tra il 2010 e il 2016, la prima edizione di «100 numeri per capire l’autotrasporto» già registrava un calo del 26,6%, con la scomparsa di 19.543 imprese individuali. Riportando a oggi quelle cifre, siamo passati dalle 73.395 aziende del 2010 alle 43.296 di ora. La perdita secca è di 30.099 unità, quasi la metà dei padroncini allora in circolazione.

 

Si tratta dunque di un processo strutturato da tempo, sul quale neppure il Covid-19 ha inciso più di tanto, dal momento che la percentuale di decrescita è rimasta pressoché invariata sia tra il 2019 e il 2020 (-3,9%) che tra 2020 e 2021 (-4,6%).

Più che alla pandemia, dunque, il tramonto dei padroncini sembra maggiormente legato alla concorrenza – spietata e spesso illegale – dei vettori e degli autisti dei paesi dell’Est europeo, entrati a far parte dell’Unione tra il 2004 (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria) e il 2007 (Romania e Bulgaria). Di fronte a un’offerta di trasporto basata sul basso costo del lavoro e su una tassazione più morbida, molte ditte individuali italiane non hanno retto.

 

Ma c’è anche un altro fattore che costringe i padroncini ad allontanarsi dal camion o, quantomeno, a confluire in realtà più grandi e articolate: una vita disagiata non più adeguatamente remunerata e, per di più, complicata da una serie di disfunzioni prodotte dal deficit del nostro sistema logistico e infrastrutturale. Deficit che chi è da solo, e quindi più debole, non riesce a sopportare.

Prendiamo come riferimento, ad esempio, il tema delle attese al carico e scarico delle merci.
Anche in questo caso i numeri contenuti nel volume sono eloquenti: in un arco d’impegno medio di11,28 ore al giorno, è stato calcolato che chi guida un camion si trova costretto a trascorrere in media quasi la metà del tempo (4 ore e 35 minuti) nell’attesa che vengano espletate le operazioni Imprese di trasporto merci su strada (2016-2021).

Un’attesa interminabile e insopportabile, causata da una lunga serie di inefficienze lungo la catena logistica (errata pianificazione degli spazi di magazzino, tempi di accettazione delle merci troppo ridotti, lungaggini burocratiche, ecc.). Tutto ciò non solo causa un’importante perdita di produttività, ma ha anche delle ricadute sullo stress e sullo stato di salute psicofisico complessivo del trasportatore, derivante sia dai tempi morti che dall’ansia di dover recuperare e riallinearsi alla tabella di marcia.

 

Non sorprende, quindi, che questa situazione crei disaffezione nei confronti di chi deve svolgere in completa autonomia il servizio di trasporto merci, assumendosi il conseguente rischio di impresa e subendo il peso delle infinite variabili che rallentano la propria operatività giornaliera.

Un altro numero restituisce il senso di quanto affermato: ogni giorno in media in 11,28 ore chi guida un camion riesce a percorrere appena 383,61 chilometri. Ciò significa che la sua velocit commerciale, quella cioè che tiene conto dell’intero quantitativo di tempo in cui è impiegato per coprire una distanza, inclusivo anche di tempi accessori e di soste, è mediamente appena di 33,45 km/h, proprio a causa delle lungaggini al carico e allo scarico delle merci.

 

Se poi l’attesa si stratifica con i nodi e gli imbuti della rete, in quel caso il lungo tempo di impegno che brucia nell’attesa si somma con quello che il camion rimane in coda lungo le strade. Con il risultato che laddove una missione di trasporto contempli l’attraversamento di uno dei tratti della nostra rete tradizionalmente congestionati la velocità media dei circa 33 km/h tende ulteriormente a rimpicciolirsi segnando un ritmo più congeniale a una lumaca che a un mezzo pesante.

Prendendo, per esempio, il caso di un camion che parte dalla provincia di Grosseto per recarsi a Genova, la sua velocità commerciale a causa del tratto ligure sprofonda in uno striminzito 26,7 km/h.