Dazi e piano d’azione UE: più dialogo e pragmatismo

Dazi e piano d'azione UE: più dialogo e pragmatismo

di Roberto Vavassori, presidente di ANFIA

 
Nel terzo mese dell’anno, il mercato europeo dell’auto risulta in recupero (+2,8%) in parte per via del confronto con un marzo 2024 i cui volumi, in calo del 2,8%, avevano risentito negativamente dell’impatto delle Festività pasquali.
Nel mese, tre dei cinque major market (incluso UK) riportano un segno positivo, a partire dalla Spagna, che chiude a +23,2%, seguita dal Regno Unito, a +12,4%, e dall’Italia (+6,3%). In flessione, invece, la Germania, a -3,9%, e la Francia, in contrazione a doppia cifra (-14,5%).

Se da un lato continuiamo a guardare con preoccupazione ai dazi imposti dal governo statunitense all’importazione di autoveicoli e componenti dall’UE, sperando che la via del dialogo possa scongiurare l’escalation di una guerra commerciale, destinata, tra l’altro, a far aumentare notevolmente i prezzi di vendita delle vetture, dall’altro attendiamo che l’UE riveda e integri il suo piano d’azione per l’automotive.

Non si tratta soltanto di accelerare il raggiungimento di un accordo tra Parlamento europeo e Consiglio sulla proposta di modifica al regolamento sulle emissioni di CO2 di auto e veicoli commerciali leggeri, per calcolare su tre anni (2025-2027), anziché uno, la conformità ai target di emissioni scattati nel 2025 sulle vendite dei nuovi veicoli.
 
Se questo è importante per garantire prevedibilità e certezza agli operatori dell’industria automotive, è parallelamente necessaria una revisione più profonda del piano, che ripristini il principio di neutralità tecnologica alla base di un rinnovato approccio alla decarbonizzazione della mobilità; che preveda di modificare il regolamento sulle emissioni di CO2 dei veicoli industriali, i cui produttori sono in egual modo passibili di multe di non-compliance; che ponga in essere misure concrete per la salvaguardia della
competitività delle imprese e un piano almeno decennale di rinnovo del parco
circolante auto, primo fattore su cui intervenire per l’abbattimento dell’attuale livello di emissioni.
Foto da ufficio stampa ANFIA

L’auto in Europa: bassi livelli e molti problemi

L'auto in Europa: bassi livelli e molti problemi
di Gian Primo Quagliano, presidente del Centro studi Promotor
 
In marzo sono state immatricolate in Europa Occidentale (UE+EFTA+UK) 1.422.628 autovetture con un incremento del 2,8% su marzo 2024, ma con un calo di ben il 19,7% rispetto alla situazione ante-crisi, cioè rispetto a marzo 2019. Nel primo trimestre dell’anno le immatricolazioni sono state 3.382.057 con un calo dello 0,4% rispetto allo stesso periodo del 2024 e con un calo del 18,4% sul dato ante-crisi (2019). La situazione del mercato automobilistico nell’area resta dunque molto preoccupante. Le vendite ristagnano sui livelli del 2024 e non vi sono certo le condizioni per un recupero dei livelli ante-crisi. Tra le molte conseguenze negative di questa situazione vi è il fatto che viene fortemente rallentata la sostituzione del parco auto con effetti molto negativi sia per la sicurezza della circolazione che per il livello delle emissioni.

La crisi interessa praticamente tutti i paesi dell’Europa Occidentale e non si vede come si possa uscire da questa situazione. Come è noto, le gravi difficoltà del mercato dell’auto dipendono da molti fattori tra cui, in particolare, la forte crescita dei prezzi che sta rendendo sempre più difficile l’acquisto della nuova auto o la sostituzione di quella posseduta.

Inutile dire, perché ormai è notorio, che tra i fattori che stanno fortemente ostacolando la domanda di automobili vi è anche la transizione energetica imposta dall’Unione Europea ed anche dal Regno Unito che dell’Unione Europea non fa più parte, ma che continua a seguirla in talune scelte tra cui, appunto, quella dell’imposizione dell’auto elettrica come unica soluzione per la mobilità in auto a partire dal 2035.

E a proposito di transizione energetica va detto che la quota dell’auto elettrica nell’area nel 2025 è in ripresa dopo la contrazione subita nel 2024 per il venire meno di incentivi all’acquisto in diversi Paesi. Nel primo trimestre di quest’anno la quota delle auto elettriche è salita infatti al 17% contro il 13,2% dello stesso trimestre del 2024 con punte particolarmente rilevanti in alcuni paesi come, ad esempio, il Regno Unito in cui la quota è passata dal 15,5% del primo trimestre 2024 al 20,7% dello stesso periodo del 2025, ma non sfugge a nessuno che gli obiettivi posti dalla UE sono ancora molto lontani.

I dati diffusi dall’ACEA confermano che la situazione del mercato automobilistico dell’Europa Occidentale si mantiene molto difficile. La politica per la transizione energetica ha infatti determinato un forte rallentamento nella situazione del parco circolante, ha aperto il mercato europeo a produttori esterni particolarmente agguerriti e competitivi sia in termini di prezzi che di qualità del prodotto ea ciò si aggiungono i nuovi problemi che stanno derivando dalla politica del presidente Trump. E tutto questo è tanto vero che oggi la questione che si pone con sempre maggior urgenza e con sempre maggior forza non è più tanto quella del trionfo dell’auto elettrica, ma di quella di come salvare l’auto europea dalla catastrofe.

Foto da ufficio stampa Centro Studi Promotor

“Siate consulenti integrali”: il messaggio del Papa all’incontro del 2022 con Deloitte

"Siate consulenti integrali"
di Fabio Pompei, amministratore delegato di Deloitte
 
La notizia della morte di Papa Francesco ci addolora enormemente. Ci lascia un uomo straordinario. Ricordiamo le parole del Santo Padre quando nel settembre del 2022 ha ricevuto una delegazione di Deloitte Global. Parole con le quali ci esortava ad essere “consulenti integrali: per cooperare a ri-orientare il modo di stare su questo nostro Pianeta che abbiamo fatto ammalare, nel clima e nelle disuguaglianze“.
di Papa Francesco
Care amiche, cari amici, benvenuti! Ringrazio il Signor Renjen per le parole con cui ha presentato il vostro lavoro: assistere il mondo imprenditoriale nel fare le scelte opportune nelle diverse situazioni. Ho saputo che in ogni momento della giornata ci sono 350.000 persone che lavorano per la vostra Società impegnate a fornire consulenza e assistenza ad altre organizzazioni. Una grande responsabilità!


Oggi il mondo sta soffrendo a causa del peggioramento delle condizioni ambientali; molte popolazioni o gruppi sociali vivono in maniera non dignitosa sul piano dell’alimentazione, della salute, dell’istruzione e di altri diritti fondamentali. L’umanità è globalizzata e interconnessa, ma permangono povertà, ingiustizia e diseguaglianze.

Quali sono dunque le condizioni perché un consulente, un coordinatore di consulenti, un professionista esperto possa contribuire a invertire o almeno a correggere la rotta? Come impostare il proprio lavoro in modo da poter camminare verso un mondo più abitabile, più giusto e più fraterno? Provo a suggerirne tre.

Il primo suggerimento è di tenere viva la consapevolezza che voi potete lasciare un segno. Si tratta di fare in modo che sia un segno buono, che vada nella direzione di uno sviluppo umano integrale. Le vostre conoscenze, le vostre esperienze, le vostre competenze e la vastità della rete delle vostre relazioni costituiscono un immenso patrimonio immateriale che aiuta imprenditori, banchieri, manager, amministratori pubblici a capire il contesto, a immaginare il futuro ea prendere decisioni. Dunque, aiutare a conoscere per aiutare a decidere.

 

Questo attribuisce alla vostra organizzazione ciascuna e ciascuno di voi la capacità di orientare le scelte, di influenzarne i criteri, di valutare le priorità per le aziende, le università, gli organismi sovranazionali, i governi nazionali e locali, e per coloro che prendono decisioni a livello politico. Voi siete ben consapevoli di questo vostro “potere”. Pertanto dovrebbe affiancarsi costantemente la volontà di indirizzare la vostra analisi e le vostre proposte verso scelte coerenti con il paradigma dell’ecologia integrale. Una buona domanda da porsi per valutare ciò che funziona e ciò che non funziona sarebbe: quale mondo vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti?

Il secondo suggerimento che vi darei è di assumere ed esercitare la vostra responsabilità culturale, che vi deriva anch’essa dal patrimonio di intelligenze e di connessioni di cui disponete. Per responsabilità culturale intendo due cose: assicurare un’adeguata qualità professionale, e inoltre una qualità antropologica ed etica che vi permette di suggerire risposte coerenti con la visione evangelica dell’economia e della società, in altre parole, con la dottrina sociale cattolica.

 

Si tratta di valutare gli effetti diretti e indiretti delle decisioni, l’impatto sull’attività ma, ancora prima, sulle comunità, sulle persone, sull’ambiente. “Le varie culture, che hanno prodotto la loro ricchezza nel corso dei secoli, devono essere preservate perché il mondo non si impoverisca. E questo senza trascurare di stimolarle a lasciar emergere da sé stessi qualcosa di nuovo nell’incontro con altre realtà” (Enc. Fratelli tutti, 134).

Terzo suggerimento: valorizzare le diversità. Tutti gli organismi creati dall’uomo – le istituzioni, le imprese, le banche, le associazioni, i movimenti – hanno il diritto, se onestamente e correttamente gestiti, di poter salvaguardare e sviluppare la propria identità. Qualcuno parla di “biodiversità imprenditoriale” – è bello il termine -: come garanzia di libertà di impresa e libertà di scelta dei clienti, dei consumatori, dei risparmiatori e degli investitori; e anche come condizione indispensabile di stabilità, di equilibrio, di ricchezza umana. È quanto avviene nella natura e può avvenire anche negli “ecosistemi” economici.

Negli ultimi quindici anni il mondo è passato attraverso crisi gravi e continua. Non abbiamo potuto terminare di affrontare la crisi finanziaria del 2007 che abbiamo dovuto affrontare quella del debito sovrano e delle economie reali, poi la pandemia, quindi la guerra in Ucraina con conseguenze e minacce globali.

Intanto, però, il Pianeta ha continuato a soffrire per gli effetti del cambiamento climatico; intanto guerre crudeli e nascoste si continuavano a combattere in diverse regioni; intanto decine di milioni di persone continuavano ad essere forzate a migrare dalle proprie terre. Mentre una parte di uomini e donne miglioravano il proprio vivere quotidiano, un’altra parte risentiva di scelte senza scrupoli diventando le principali vittime di una sorta di contro-sviluppo. San Paolo VI ha chiarito efficacemente che il nuovo nome della pace è lo sviluppo nella giustizia sociale (cfr Enc. Populorum progressio, 76-80).

Cosa può fare il consulente di decisioni in questo contesto difficile e incerto? Può fare molto. Può impostare le sue analisi e le sue proposte secondo uno sguardo e una visione integrale: infatti, lavoro dignitoso delle persone, cura della casa comune, valore economico e sociale, impatto positivo sulle comunità sono realtà tra loro connesse.

Il consulente di oggi, consapevole del proprio ruolo, è chiamato a proporre e discutere indirizzi nuovi per nuove sfide. Gli schemi vecchi hanno funzionato solo in parte, in contesti diversi. Chiamerei questa nuova generazione di consulenti “consulenti integrali”. Si tratta di esperti e professionisti che tengono conto delle connessioni tra i problemi e le loro rispettive soluzioni e che accolgono il concetto dell’antropologia relazionale: quello che “aiuta l’uomo anche a riconoscere la validità di strategie economiche che mirino anzitutto alla qualità globale della vita raggiunta, prima ancora che all’accrescimento indiscriminato dei profitti, ad un benessere che se vuol essere tale è sempre integrale, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini.

 
Nessun profitto è infatti legittimo quando vengono meno l’orizzonte della promozione integrale della persona umana, della destinazione universale dei beni e dell’opzione preferenziale per i poveri”, e aggiungiamo: la cura della nostra casa comune. Il mio auspicio è che voi possiate aiutare le organizzazioni a rispondere a questa chiamata. Avete le giuste competenze per collaborare a costruire quel ponte necessario tra il presente paradigma economico, basato su consumi eccessivi e che sta vivendo la sua ultima fase, con il paradigma emergente, un paradigma strutturato sull’inclusione, la sobrietà, la cura e il benessere. Vi incoraggiamo a diventare “consulenti integrali”: per cooperare a ri-orientare il modo di stare su questo nostro Pianeta che abbiamo fatto ammalare, nel clima e nelle disuguaglianze.

Autotrasporto al collasso: giusto l’allarme di Federlogistica

Autotrasporto al collasso

di Cinzia Franchini, presidente di Ruote Libere

 

Non possono lasciare indifferenti le parole di Davide Falteri, presidente di Federlogistica. Falteri dall’osservatorio esterno, e quindi più libero, denuncia una situazione ben nota a chi è del settore e troppo spesso sottaciuta.  Federlogistica mette in risalto come, a dispetto delle tanto sbandierate dichiarazioni sulla cosiddetta cura del ferro, le merci nel nostro Paese si spostino sempre più su gomma, anche per lunghe o lunghissime tratte, a causa di un trasporto ferroviario incapace, per mancanza di investimenti e strategie serie, di garantire flessibilità, tempi celeri e costi contenuti. Giustamente Falteri evidenzia come, parallelamente, il mondo dell’autotrasporto offra servizi a livelli tariffari bassissimi, incompatibili sia con la sopravvivenza delle imprese, sia con la sicurezza stradale.

 

A questa constatazione Ruote Libere ha da sempre aggiunto il tema calpestato della legalità. È evidente infatti che aziende che operano senza margini di guadagno e in una babele di burocrazia che, in assenza di seri controlli, si traduce in una deregolamentazione di fatto, sono costantemente aggredibili dal mondo della criminalità organizzata. Mafie che, per loro natura, operano con logiche fuori dal mercato. Sottoscriviamo dunque l’appello che Federlogistica rivolge al Governo, consapevoli che davvero il sistema dell’autotrasporto è al collasso davanti a una violazione strutturale delle norme ed è, oserei dire, offeso dalla retorica che esalta il totem della intermodalità, ma che in realtà constata un semplice e diffuso uso del camion.

 

Se il modello dei trasporti brevi (da hub ferroviari verso le imprese) sarebbe vantaggioso per tutti gli attori della filiera, oggi è banalmente più utile usare solo la gomma perché il settore dell’autotrasporto è stato, negli anni, colpevolmente privato di potere contrattuale, quindi oggi molto “conveniente” dal punto di vista economico. Solo su un tema divergiamo dall’opinione di Falteri: tra i tanti problemi del nostro mondo non vi è quello del “nanismo imprenditoriale. Non è vero che solo grande è bello: l’ossatura dell’autotrasporto italiano è ancora fatta di tante piccole e medie imprese che grazie proprio alla loro flessibilità hanno sempre garantito e continuano a farlo efficienza all’intero sistema Paese.

 

Foto Cinzia Franchini da redazione Ruote Libere

 

 

Addio Papa Francesco: un privilegio averlo incontrato

Addio Papa Francesco: un privilegio averlo incontrato

di John Elkann, presidente di Stellantis e Ferrari

Ringrazio di aver avuto il privilegio di poter conoscere e incontrare Papa Francesco in molteplici occasioni, l’ultima lo scorso 24 dicembre per la cerimonia di apertura della Porta Santa in San Pietro.

La sua scomparsa avvenuta in questi giorni pasquali e, soprattutto nell’anno giubilare della speranza, stimolano la preghiera e l’augurio nel ricordare e vivere con efficacia le sue eredità spirituali

 

Foto da ufficio stampa Stellantis

 

 

Autotrasporto? Tutto va bene madama la marchesa

Autotrasporto al collasso
di Cinzia Franchini, presidente di Ruote Libere
 
Alla fine è andato tutto come previsto: il Governo ha messo in campo le risorse aggiuntive per l’autotrasporto, tradotto le risorse che le associazioni gestiscono e delle quali indirettamente vivono, e magicamente le stesse associazioni hanno cambiato volto e sono passate dalle ventilate dichiarazioni di fermo di qualche giorno fa alla solita accondiscendenza piena di “soddisfazione” nei confronti dell’esecutivo. L’incontro, a cui non ha preso parte né il ministro Salvini e nemmeno il vice ministro Rixi,  si è concluso con un’ intesa sul riparto delle risorse per il settore: ai 228 milioni di euro per tre anni (i famosi 12 in meno di quelli dello scorso anno, motivo per il quale alcune organizzazioni si erano dimostrate sul piede di guerra) si è aggiunta una cifra pari a 590 milioni di euro finalizzata al rinnovo del parco veicolare.
Quindi per spese non documentate, sconti sui pedaggi, formazione andrà lo stesso importo degli anni scorsi, mentre agli investimenti per il rinnovo del parco verrà dedicato un fondo ad hoc. E’ bastato confermare i privilegi di cui indirettamente anche le associazioni beneficiano per mutare completamente il giudizio di quasi tutte le associazioni che siedono all’Albo, fatto salvo Trasportounito, sull’operato del Governo nei confronti del settore. Si è passati da annunci di mobilitazioni a un accordo in un battito di ciglia. Miracolosamente i temi che da sempre piegano il settore, dalla deprofessionalizzazione, alla concorrenza selvaggia, ai problemi della rete infrastrutturale, al radicamento mafioso, sono spariti dall’ agenda della discussione.
Anche per quanto riguarda l’aggiornamento delle normative che regolamentano i “tempi di carico e scarico” e i “tempi di pagamento” siamo certi che sempre i soliti “gattopardi” riusciranno ancora una volta a fare danno mutando in peggio l’attuale situazione e creando false aspettative. 
Le associazioni che dovrebbero rappresentare gli autotrasportatori hanno ottenuto quello che volevano, in particolare sul tema del rimborso pedaggi, e subito si sono dette soddisfatte. Questo epilogo dimostra ancora una volta la necessità di scardinare l’assurdo sistema che ancora oggi porta lo Stato a pagare, con risorse pubbliche, gli sconti autostradali dovuti agli autotrasportatori attraverso i Consorzi di servizi, che si trattengono percentuali importanti, molti dei quali sono di emanazione o fanno diretto riferimento alle stesse associazioni. Sanare questa stortura significherebbe mettere in campo una rivoluzione copernicana che consentirebbe di liberare risorse per i problemi veri del settore e non a quelli legati alla sopravvivenza delle associazioni.
Foto Cinzia Franchini da redazione Ruote Libere
 

Allarme produzione in Italia: male per le auto e male per gli accessori

Allarme produzione in Italia: male per le auto e male per gli accessori

di Gianmarco Giorda, direttore generale di ANFIA

 
Non si arresta il trend negativo dell’indice della produzione automotive italiana, che registra un’ulteriore pesante flessione a doppia cifra a febbraio (-31,3%).
Come nel mese precedente, mantengono una variazione negativa sia l’indice della fabbricazione di autoveicoli (-33,5%) – complice il significativo calo, -49,7%, registrato, secondo i dati preliminari di ANFIA dalla produzione di autovetture, per un totale di circa 22mila unità prodotte – sia l’indice della produzione di parti e accessori per
autoveicoli e loro motori, in peggioramento (-25,6%).

I numeri parlano da sé e descrivono uno scenario preoccupante – anche alla luce dei recenti provvedimenti dell’Amministrazione Trump in tema di dazi – che necessita di interventi mirati ed immediati. In queste settimane abbiamo espresso le nostre perplessità sul “Piano d’azione per l’Automotive” presentato dalla Commissione europea, auspicando una revisione nei contenuti e nella forma, che metta alla base la piena
neutralità tecnologica
come principio fondamentale e implementi misure rivolte alla salvaguardia della competitività delle imprese – per esempio in riferimento alla mitigazione dei costi dell’energia e alla riduzione degli oneri burocratici – e un piano di rinnovo del parco circolante auto europeo.
 
Urgente anche l’adozione della proposta di emendamento al Regolamento CO2 degli autoveicoli leggeri che introduce una flessibilità su tre anni (2025-2027) nel calcolo delle sanzioni per i Costruttori derivanti dal mancato raggiungimento dei target.
Foto da ufficio stampa ANFIA

Milano, moto Euro 0-1-2 nel mirino: un referendum contro i divieti

Milano, moto Euro 0-1-2 nel mirino: un referendum contro i divieti

di Simonpaolo Buongiardino, presidente di Assomobilità (Confcommercio)

Siamo vicini ai motociclisti e molto attenti alle attività che si occupano di questo settore: guardiamo, perciò, con interesse all’iniziativa referendaria per la revoca e l’abrogazione delle norme stabilite dal Comune di Milano sui divieti per la circolazione dei motoveicoli e ciclomotori perché i divieti sono un provvedimento eccessivo verso una modalità di trasporto che fluidifica il traffico cittadino.

 
I motocicli sono, infatti, “responsabili” di una percentuale veramente ridotta, l’1,3%, delle emissioni (fonte Agenzia europea dell’ambiente)”. A ottobre di quest’anno, secondo le disposizioni del Comune, si bloccano a Milano le moto Euro 0, 1 e 2, ma quello che veramente ci preoccupa è l’estensione, prevista nel 2028, del divieto di circolazione anche ai motocicli a quattro tempi Euro 3: in questo modo verrebbe complessivamente colpito dallo stop quasi il 70% dei motoveicoli circolanti in città.

Sarebbe una misura pesantissima di limitazione della libertà, ma anche un grave danno per il conseguente congestionamento del traffico, in quanto le due ruote motorizzate sono il modo più semplice per la circolazione milanese. Inoltre, si creerebbe un danno importante, in un momento storico delicato, a tutte le aziende che fanno della manutenzione e della rivendita di questi mezzi parte rilevante della loro attività.

Il referendum abrogativo è uno strumento, ma altrettanto importante è confrontarsi con l’Amministrazione comunale per far comprendere quanto queste misure siano eccessive.
Foto ufficio stampa Confcommercio Mobilità e Federmotorizzazione

Ci risiamo: le Lobbying della transizione all’elettrico tornano all’attacco

Milano, moto Euro 0-1-2 nel mirino: un referendum contro i divieti

di Simonpaolo Buongiardino, presidente di Federmotorizzazione e Confcommercio Mobilità

Il Green Deal, guidato dall’ormai ex vicepresidente e Commissario Europeo Frans Timmermans, che fortunatamente ha fatto perdere le sue tracce, ha procurato danni incalcolabili al sistema automobilistico europeo. La sua politica, di fatto, ha sacrificato sull’altare di una visione ideologica e dogmatica, un intero comparto che era, ma che forse ancora potrebbe essere, il vanto di una industria che ha prodotto ricchezza, benessere, Pil e posti di lavoro. E ora? Le lobbying green ci riprovano e, mentre molti governi europei stanno chiedendo a gran voce all’EU di tornare alla realtà ed al mercato, “promuove” una ricerca sul settore.

Naturalmente le conclusioni sono in linea con quanto si aspettavano i promotori. Pur rispettando i due autorevoli Istituti che lo hanno redatto, non si può non riconoscere che la chiave di lettura del rapporto finale non si discosta dagli interessi degli ideatori del Green Deal.

Riporta. Infatti, la fotografia di una realtà automobilistica italiana in grave difficoltà, ma non assegna alcuna responsabilità a chi ha rappresentato l’unico costruttore nazionale, che male ha interpretato i cambiamenti a partire dai primi anni 2000, facendo scadere la produzione italiana fino alla indifferenza, ma attribuisce le colpe al mercato italiano che non premia l’elettrico.

Lo studio, inoltre, non prende in alcuna considerazione gli sforzi autorevoli che molti Governi dell’Unione Europea, con quello italiano in prima fila, stanno facendo per correggere le modalità previste nel Green Deal, considerando in particolare i carburanti rinnovabili, che possono subito consentire di far ripartire la produzione ed il mercato di auto con motorizzazione endotermica.

Dopo aver indagato i rischi occupazionali e i costi per la nostra struttura economica, “certificando” i danni prodotti e che ancor più si produrranno sui livelli occupazionali, lo studio vede come unica possibilità di recupero una serie di iniziative collegate alle politiche produttive, di difficile realizzazione, mentre quando si tratta di stimoli alla domanda, ecco la proposta panacea di tutti i mali: incentivi all’acquisto.

In pratica una serie di suggerimenti di ulteriori incentivazioni all’acquisto di auto elettriche che, peraltro, premierebbero a premiare ancora l’importazione di vetture elettriche di basso prezzo, che la nostra industria ha di fatto abbandonato.

Tutti percorsi già intrapresi dal nostro e da altri Governi, ma che sono stati abbandonati per il costo eccessivo e l’impossibilità di raggiungere lo scopo: con questi metodi si può “drogare” per brevi tempi il mercato, ma non si ottengono risultati duraturi.

C’è un solo modo per far ripartire l’industria automobilistica europea, garantendo peraltro la libertà di movimento alle persone; perseguire gli obiettivi di progressivo abbandono dei carburanti fossili a favore di quelli rinnovabili (come i biocarburanti) e lasciare alla tecnologia, alla ricerca ed allo sviluppo di trovare la strada per raggiungerli nel tempo.

Foto da ufficio stampa Confcommercio Mobilità

Trump e i dazi: il modo per riportare equilibrio nella catena del valore globale

Trump e i dazi

di Domenico De Rosa, CEO del Gruppo SMET

Colpendo le importazioni dai Paesi a basso costo, si rende meno conveniente delocalizzare e si spingono le imprese a riportare produzione, know-how e occupazione nei Paesi consumatori.

Non è un protezionismo cieco, è una strategia per il reshoring, riportare a casa pezzi dell’economia svenduti all’estero. I dazi, in fondo, servono a questo: a rimettere ordine, non a costruire muri.

Domenico De Rosa – Foto da ufficio stampa SMET Group