Quanto preziosissimo e soprattutto vitale tempo per l’industria automotive europea è stato perso a Bruxelles nel tira e molla di potere relativo alla composizione della nuova Commissione UE. Ma quello che più mi ha sorpreso e amareggiato è che dal vertice della Commissione UE, che i giochi politici hanno riconfermato alla guida dell’Esecutivo, fregandosene della sonora bocciatura elettorale, non è arrivata una parola che è una sulla crisi del settore e i primi drammatici impatti: chiusure di fabbriche, licenziamenti, futuro tutto da capire.
Del resto, quello che sta accadendo deriva dalle scelte politiche sbagliate portate avanti con il paraocchi dalla precedente Commissione UE e condivise con colpevole leggerezza dai costruttori, gli stessi che ora sono in chiara difficoltà e faticano a riconoscere un passo falso che sa tanto di harakiri.
Il “green deal” automotive, come impostato, sta distruggendo il comparto intero e le priorità del dopo voto hanno riguardato, invece, la volontà di trovare la quadra nei rapporti di potere con il coinvolgimento forzato dei Verdi, anche se usciti ridimensionati dalle urne, come condizione di stabilità governativa da parte della presidente Ursula von der Leyen.
Se non arriveranno risposte concrete entro la metà di dicembre con inversioni ormai non più rinviabili sulla scadenza dei piani, le decisioni a senso unico prese e le sanzioni suicide in tema di emissioni, il mondo automotive nel suo complesso dovrebbe ribellarsi e mettere davanti alle proprie responsabilità chi ha causato il disastro, politici e non. Rivedere il tutto è un obbligo e chi non ci sta faccia le valigie.