Quella follia “green” che affossa l’Europa: era tutto previsto, arrivano i dietrofront

1Tavolo #FORUMAutoMotive: quella barra tenuta sempre dritta
(il mio commento ospitato sul “Libro Bianco: i dieci anni che hanno cambiato l’auto” di Pier Luigi del Viscovo, direttore del Centro studi Fleet&Mobility, che ringrazio, e presentato il 15 gennaio 2025 durante un evento alla sede centrale ACI di Roma)
Chi la dura, la vince. Il riferimento, non per un semplice vanto, è personale e riguarda pochissimi altri, tra cui l’autore di questo “Libro bianco”, l’amico Pier Luigi del Viscovo. Di questi tempi, infatti, assistiamo a una pletora di persone, tra cui non pochi giornalisti, accodarsi al mainstream che rinnega quel “tutto elettrico” fino a poco tempo fa idolatrato. È proprio così. Il classico salto della quaglia.
Comunque, tornando all’inizio, è da quando il tema della transizione ecologica della mobilità su gomma, inclusa nel “Green Deal” confezionato dalla Commissione UE, ha cominciato a imporsi – sfociando nell’assurdità di voler abolire le auto con motorizzazioni endotermiche, in barba ai progressi compiuti e alla progressiva riduzione delle emissioni, a favore della sola alimentazione elettrica – che il sottoscritto si è sempre dichiarato contrario.
E come risposta, è stato sbeffeggiato, criticato, insultato e accusato di essere fuori dal tempo e nemico dell’ambiente. Resistere, resistere, resistere – però – è stata la parola d’ordine.
Ed eccoci qui, adesso, a vedere transitare i primi “cadaveri”, chi tra aziende, politici e altri che hanno creduto in una rivoluzione interessata in nome della salvezza del Pianeta – come se le sole auto fossero le uniche responsabili dei cosiddetti cambiamenti climatici – prevista (ancora) nel 2035 e per la quale i costruttori si sono immediatamente piegati.
A farne le spese, però, non sono questi “pecoroni” dal portafoglio sempre più gonfio, ma chi dal lavoro lungo le catena di montaggio e nelle imprese dell’indotto, trae i mezzi per poter vivere, mantenere la famiglia e, in senso lato, sostenere l’industria europea dell’auto allo scopo di scongiurarne il fallimento.
Riconoscere gli errori fatti non è però semplice: non si è badato al fatto che per le materie prime, il “cuore” delle batterie dei veicoli elettrici, la Cina è il Paese che primeggia; quindi, sono stati ignorati i costi elevati e la necessità costante che i Governi tappino la falla con sostanziosi incentivi; e poi il mercato, quei consumatori che non sono solo quelli dei Paesi scandinavi, presi spesso come esempio virtuoso, maldestramente ignorati. E che ora, dati alla mano, stanno dimostrando di non gradire l’imposizione dell’auto elettrica e di guardare alla concretezza: no allo stress da ricarica, no ai timori per l’autonomia, no ai rischi di incendio, per non parlare del tabù (a proposito di ambiente) relativo allo smaltimento futuro (quando e dove?) delle batterie. Ma soprattutto, la voglia continua di poter essere liberi nella scelta di una macchina che risponda alle proprie necessità e che, ovviamente, sia dotata di sistemi per il contenimento o l’annullamento delle emissioni, dalla produzione del mezzo fino alla sua messa sulla strada.
E i cinesi, presi di mira dai costruttori europei con l’intenzione di mostrare loro quanto si è più bravi? C’è stato il classico effetto boomerang: temendo l’assalto delle auto elettriche prodotte a Pechino, i furbi costruttori europei hanno abbassato la guardia sul loro fiore occhiello – la produzione di motori endotermici – consentendo ai concorrenti di sbarcare nel Vecchio continente – viste le tendenze – anche e soprattutto con interessanti vetture a benzina, Diesel, ibride senza e con la spina, e anche a Gpl. Con il valore aggiunto dei prezzi concorrenziali e in barba ai dazi, pensati a scoppio ritardato da Bruxelles, contro le sole vetture elettriche importate dalla Cina.
Insomma, quanti errori su errori sono stati commessi e che ora, se non saranno presi provvedimenti rapidi ed efficaci, debellando le resistenze che ancora si incontrano nelle stanze dei bottoni, finiranno per impattare seriamente su tutti noi.
L’avevo detto, l’avevamo – noi pochi “ribelli” – detto. E fa sorridere leggere quasi ogni giorno dei dietrofront e delle perplessità che vari top manager del settore evidenziano, senza chiedere minimamente scusa per le pesanti conseguente che sono già tangibili, e domandarsi: ma dove eravamo solo pochi anni fa quando tutto è cominciato?
 
Perché ci siamo “appecoronati” così facilmente al voler degli eco-talebani, arrivando a stanziare montagne di miliardi per un progetto che fa acqua da tutte le parti e mette a rischio economia e occupazione del Vecchio continente?  Per quale ragione non ci sono state prese posizioni esemplari e marce di protesta, per esempio, su Bruxelles? Prima o poi le verità verranno a galla. E il sottoscritto, insieme a pochi altri? Soddisfatti della lungimiranza. Ma non molliamo, statene certi.

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