Diktat elettrico e rischi correlati: in tanti se ne rendono conto solo ora. Perché?

È vero che non è mai troppo tardi, ma è pur vero che se costruttori, associazioni che li rappresentano, sindacati, politici con il buon senso e anche gli automobilisti si fossero dati una forte mossa prima, a quest’ora non si sarebbe qui a lanciare allarmi a tutto spiano sui rischi che il diktat UE sulla transizione verso una mobilità solo elettrica dal 2035, via via che i mesi passano sono sempre più evidenti. Occupazione, listini elevati e non sostenibilità sociale, soprattutto in un momento di grandi incertezze paure come quello che viviamo, sono i temi che a Bruxelles, da parte della Commissione UE, vengono continuamente ignorati.

Per poi arrivare a toccare veramente il fondo, quando uno degli eurocommissari, Thierry Breton, si rende conto del possibile approssimarsi del disastro e mette le mani avanti: “La svolta che porterà ai soli motori elettrici nel 2035, con il contestuale stop a quelli endotermici, potrebbe costare 600mila posti di lavoro“. A parte una quantificazione in eccessivo difetto, verrebbe voglia di chiamare Breton a rapporto e chiedergli dove si trovava quando i suoi colleghi varavano il piano verso il “tutto elettrico”.

L’industria automotive del Vecchio continente rappresenta 2,6 milioni di posti, oltre 13 milioni se si considera tutto quanto ruota attorno: il 6,6% dell’occupazione totale. E in Italia sono almeno 250mila i lavoratori interessati alla trasformazione imposta dall’Ue, di cui 168mila riguardano la componentistica. E solo nel nostro Paese, dai calcoli del sindacato Uilm, rischiano di saltare 120mila occupati, mentre a essere penalizzato di più sarebbe l’indotto, con il 50% degli addetti in bilico.

Ma non contento, il solito Breton si lascia andare anche a un’altra affermazione di “consapevolezza”, ahinoi, gravemente in ritardo: “Nonostante il divieto di vendita di veicoli a combustione interna entro il 2035, nel 2050 ci sarà ancora almeno il 20% di queste auto sulle strade, con il rischio che l’obiettivo del 2035 debba slittare“. Complimenti ancora, eurocommissario Breton, a cui suggeriamo di fornire anche agli altri membri della Commissione UE la ricetta della pozione che lo ha portato a una sorta di ravvedimento.

Almeno, illustre Breton, lei e il resto compagnia di Bruxelles siete al corrente del fatto che l’Europa, la stessa che la vede al “governo”, contribuisce solo per l’8% (e l’Italia per l’1%) alle emissioni mondiali di CO2 (37 miliardi di tonnellate) con India, Cina e Usa pesare per il 50%? E che Cina e India ritengono, inoltre, di raggiungere la neutralità climatica, rispettivamente, entro il 2060 e il 2070?

Di questi giorni, poi, è anche la notizia della nascita a Lipsia, in Germania, di un’alleanza delle Regioni europee per affrontare e ridiscutere, con una strategia comune, la condanna a morte decisa da Bruxelles dei motori a benzina e Diesel nel 2035. Si chiede, in un documentato presentato anche alla Commissione UE, l’avvio di un meccanismo europeo a sostegno di una transizione giusta ed equa delle produzioni del settore automotive, tenendo bene in considerazione gli effetti sui distretti produttivi nelle regioni.

Meglio tardi che mai, ma sempre tardi. Come sempre e purtroppo per noi.

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