Belle, alte, occhi a mandorla, ma senza un cuore: e il settore?

di Giuseppe Nanula, responsabile marketing e acquisti di RTR TECNORICAMBI srl 

 

Valvole EGR di bassa ed alta pressione, corpi farfallati sulla tubazione di scarico, due/tre/quattro/ sonde di presenza particolato e lambda, FAP DPF infarciti di sensori di pressione e temperatura, serbatoi di AdBlue e tutto il carrozzone di rilevatori NoX + iniettori e km di tubazioni. Questo è ciò che troviamo oggigiorno in un comunissimo impianto di scarico di una plebea autovettura media a gasolio. Che sia una 500X, una GLA o una Giulia non importa. La lotta per rientrare nella normativa antinquinamento Euro 6 e tutte le successive “evoluzioni”, ha costretto tutti i costruttori a realizzare sistemi di scarico pieni zeppi di diavolerie elettroniche e meccaniche impensabili fino a una ventina di anni fa. 

Ricordo ancora, come fosse ieri, la semplicità e la robustezza di motori come il 1.697 cc turbodiesel Fiat o i primi TDI 1.896cc made in Volkswagen. Propulsori che non primeggiavano per le prestazioni, ma che si dimostravano più tosti di un mulo e che potevano essere riparati con quattro soldi. Questa è proprio la nota dolente. I costi, sia di progettazione che di manutenzione di queste moderne unità a gasolio. In merito alla progettazione, tutto quell’ ambaradan che avete letto nell’ intro, in futuro potrebbe essere ulteriormente più impressionante per far rientrare una semplice Duster nelle tanto paventate normative Euro 7 di cui tutti i big nutrono molti dubbi.

Ragionando, però, in termini spiccioli, è lecito e logico chiedersi perché un costruttore dovrebbe ancora investire pesantemente per ripulire i gas di scarico. Meglio puntare su altro… Sul fronte della manutenzione, invece, riparare un sistema di alimentazione e scarico così raffinato è ormai un rebus che, una volta risolto, pesa come un macigno sulle tasche del povero automobilista di turno, il cui desiderio era in principio di “spegnere la spia avaria motore”. Una insignificante lucetta, che solitamente nasconde un’ anomalia di natura oscura e ignota. Meglio prenderla in leasing, ripararla nella rete ufficiale e cambiarla ogni 3 anni. Un bel pacchettino…

Al netto di tutto ciò, avanza a spron battuto il partito dell’elettrificazione, non supportato, momentaneamente almeno nello Stivale, dalle immatricolazioni delle vetture totalmente elettriche, ferme al palo da diversi mesi. Ma trattasi di un’ intensa ventata di watt e kilowatt foraggiata massimavamente da qualsivoglia casa costruttrice e organo di informazione. Attualmente, però, nessuno sa quando avverrà questa svolta epocale, neanche tutti gli automotive Ceo-star messi insieme. 

Sta di fatto che ci ritroveremo a guidare degli elettrodomestici usa e getta su ruota, magari tutti made in China col marchio blasonato sul cofano (sulla falsariga della rediviva DR), dove non conteranno più piacere di guida, raffinatezza della piattaforma, precisione del cambio o stabilità in curva. Sentimenti nostalgici, quasi “patriottici”, che verranno declassati (e lo sono in buona parte già adesso) a favore di autonomia residua, mega tablet nell’abitacolo e spettacolarità dei fari

Delle lavatrici a quattro ruote, magari alte, con linee rastremate e più scintillanti delle luminarie delle feste patronali. Belle, tecnologiche, ma senz’anima. E l’ aftermarket come reagirà? Riusciremo per diversi anni a portarci la pagnotta a casa, almeno fino a quando saremo spettatori di questa pseudo elettrificazione orizzontale dei listini, di cui sono protagoniste le vetture ibride, la cui manutenzione ordinaria e straordinaria non è praticamente dissimile da quelle con alimentazioni classiche. Ma come ci comporteremo con l’invasione di Panda, Puma e Captur full electric?

Non abbiamo quasi mai avuto una visione di lungo termine. Provincialità e illusione di un lavoro quasi eterno e intaccabile, sono i must del nostro settore. Ma nulla dura per sempre… L’ elettrificazione di massa sarà la prima vera sfida per la filiera Aftermarket dopo un secolo di soddisfazioni…

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