Milano: dai divieti al trasporto pubblico più caro

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di Geronimo La Russa, presidente di ACI Milano

Il combinato disposto tra divieti Area B/Area C e il sempre più probabile aumento biglietto dell’ATM, suona come una beffa per tutti quei cittadini che devono raggiungere Milano e possiedono un veicolo non conforme alle caratteristiche richieste dal Comune per accedere in città.

Oggi, come in passato, ritengo che sia necessario trovare soluzioni condivise tra tutti i soggetti interessati, partendo da Comune di Milano e Regione Lombardia, per non penalizzare oltremodo chi, suo malgrado, a causa della crisi economica, deve già affrontare mille difficoltà.

Da concessionario ad agente: cambiamenti e opportunità

A destra, Roberto Scarabel,  Amministratore Unico del Gruppo Scarabel e Presidente di AsConAuto

 

In occasione della Fiera Mondo Motori, a Vicenza, il Convegno “Da Concessionario ad Agente” organizzato da Top Dealers Italia, promosso dalla testata infomotori.com e moderato da Beppe Gioia (già responsabile della sede RAI di Venezia) e da Carlo Valente (co-fondatore della testata) apre un confronto di approfondimenti  tra gli operatori  del settore sui  cambiamenti in corso  e sulle  nuove opportunità per gli operatori del settore, a partire dall’usato e dai servizi collegati. Dopo l’apertura del tavolo di confronto  da parte di Michele Crisci, presidente di Unrae,  i Top Dealers presenti hanno dato vita a un serrato dibattito con preziosi contributi sulle mutazioni che stanno rivoluzionando il mercato domestico, oltre a quello globale.

Le  osservazioni  di Roberto Scarabel, partecipante nel doppio ruolo di Amministratore Unico del Gruppo Scarabel e di Presidente di AsConAuto, hanno contribuito al vivace  confronto  tra gli oltre 30 presenti tra imprenditori, Ceo, Ad e General Manager che hanno mostrato di apprezzare  la concretezza dei temi e gli  spunti  illustrati.

Il presidente Scarabel: “I concessionari di oggi sono sopravvissuti alle trasformazioni epocali del business dell’Automotive degli ultimi quindici anni. Ricordiamoci che  le partite  IVA  erano oltre  3.000  mentre ora sono 1.200: gli imprenditori sono diminuiti, ma si sono anche rafforzati perché operano in territori più grandi, rappresentano più marchi, ma soprattutto beneficiano di maggiori sinergie all’interno del nostro progetto che ha come core business il ricambio originale. Essi hanno vissuto gli ultimi  anni attraverso un percorso che è stato terribile, da Leman&Brothers alla crisi del 2013 e, per qualcuno anche il Dieselgate del 2015 è stato uno shock terribile. Inoltre, gli ultimi eventi epocali (dalla pandemia alla guerra della Russia contro l’Ucraina), hanno reso la situazione sempre più complessa e difficile da affrontare. Nel tempo, e negli ultimi anni in particolare, si è così sviluppato il ruolo strategico assunto dal Concessionario nel comparto. Nel futuro è da ritenere che tanti cambiamenti saranno inevitabili nel nostro modo di operare e che alcune tematiche assumeranno uno speciale rilievo nello sviluppo del business dei Concessionari: l’usato (quasi fosse una sorta di paracadute), i servizi e la manutenzione tra gli altri, probabilmente con importanza crescente.  Il dealer diventerà sempre più Brnad del  proprio territorio e consulente di molteplici soluzioni di mobilità”.

Anche una articolazione e diversificazione dell’offerta potrebbero essere elemento di innovazione nella proposta  di servizi assai graditi  alla clientela,  che  sta cambiando rapidamente  comportamenti e richieste. A conforto  della tesi, il presidente Scarabel ha ritenuto di portare il suo stesso esempio di imprenditore nell’offrire,  già dal 2015, anche marchi motociclistici e quadricicli leggeri  alla propria clientela. 

Nel corso della stessa iniziativa è avvenuta la cerimonia per la consegna di 30 attestati TOP DEALERS ITALIA, tra i quali quello assegnato a Roberto Scarabel, presidente AsConAuto e Amministratore Unico del Gruppo Scarabel.

“Bergamoinbicicletta”: il progetto vince l’Urban Award

È Bergamo la città italiana più attenta alle due ruote a pedale di quest’anno: il Comune lombardo ha vinto l’Edizione 2022 dell’Urban Award, il contest ideato da Ludovica Casellati e organizzato da Anci con ANCMA (l’Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori), che premia ogni anno i migliori progetti legati alla bicicletta e alla mobilità sostenibile realizzati delle amministrazioni comunali sul territorio nazionale. A convincere la giuria di esperti del settore e giornalisti è stato il progetto “Bergamoinbicicletta” che comprende, tra le altre cose, una velostazione, la riapertura della storica Ciclofficina, quasi 3mila posti bicicletta, un nuovo servizio di bike sharing con 390 biciclette e Bike box per parcheggiare in sicurezza.

 

Al secondo posto la città di Cuneo, per la capacità di comunicare le attività intraprese e di sensibilizzazione sull’importanza della mobilità dolce attraverso il Cuneo Bike Festival, mentre la terza piazza è andata a Caltanissetta per promozione e realizzazione di un percorso ciclabile che conduce i ciclisti in sicurezza verso Enna. Con la vittoria dell’Urban Award Bergamo riceve in premio una dotazione gratuita di tre cargo bike elettriche motorizzate Bosch offerta da Bergamont, associata a Confindustria ANCMA.

Nuovo governo: le nostre tre richieste urgenti

di Michele Crisci, presidente di UNRAE

 

I grandi ed epocali cambiamenti che stanno interessando il mondo della mobilità, con  l’evoluzione dell’industria dell’auto e la transizione verso una mobilità sostenibile, richiedono  una urgente riflessione su come affrontare la riconversione industriale nel nostro Paese.

 

Al nuovo esecutivo chiederemo interventi urgenti su tre punti cardine: uno stimolo robusto ed efficace al rinnovo di un parco circolante molto anziano e alla diffusione della mobilità a zero e bassissime emissioni; infrastrutturazione accelerata in tutto il territorio nazionale di punti di ricarica pubblici e privati, con indicazione chiara di tempi, luoghi,  tipologie di colonnine da installare e soggetti incaricati agli investimenti; infine, revisione  strutturale della fiscalità privata e aziendale sull’auto.  

Concessionari: sempre più consulenti di mobilità

di Roberto Scarabel, presidente di AsConAuto
(dall’intervista al quotidiano “Panorama” del 5/12/2022)

 


Fino a oggi si è parlato di sistemi ibridi per quanto riguarda la meccanica delle auto, ma anche il sistema distributivo è destinato a diventare ibrido. Questo è un concetto, molto importante perché i costruttori stanno seguendo strade diverse. Ci sono Case automobilistiche che hanno già affermato che i contratti di concessionaria continueranno così come sono oggi, altre Case
automobilistiche passeranno ai contratti di agenzia per i modelli elettrici puri, lasciando immutato nel breve il sistema distributivo delle concessionarie, 
mantenendo anche i cosiddetti prodotti ancillari. In questa definizione rientrano i finanziamenti e le assicurazioni delle vetture, ma anche la gestione dell’usato.

 

 Altre organizzazioni, invece, non prevedono di lasciare all’ex concessionario né prodotti ancillari, né la gestione del ritiro dell’usato.
In questo panorama si inseriscono i concessionari, operatori insostituibili sul territorio, destinati a diventare ancora più fondamentali, perché la parte del service diventerà veramente molto importante. I pilastri fondamentali delle concessionarie saranno in un futuro prossimo l’autoriparazione, l’usato e i prodotti finanziario-assicurativi.


Ormai è evidente che il concessionario dovrà trasformarsi in consulente in mobilità, in grado di fare tesoro delle esperienze maturate nelle fasi che portano al passaggio dalla proprietà di un’auto al possesso attraverso formule finanziarie di leasing, noleggio e quant’altro. Tra breve il compito di una concessionaria sarà quello di vendere chilometri, perché si stanno già sperimentando formule che consentano a un cliente di noleggiare con un’unica tariffa, per esempio, un’auto per trecento giorni e per il tempo restante un multivan per il tempo libero o anche una moto.


In questo panorama saranno ancora una volta gli imprenditori più attenti ad offrire prodotti migliori, con benefici tangibili per il cliente. Quel che manca è purtroppo una concertazione degli scenari futuri con le Case automobilistiche. Le soluzioni arrivano dall’alto, in un mercato che è cambiato molto: oggi le partite Iva degli imprenditori del nostro settore in Italia sono arrivate a essere circa 1.200 circa rispetto alle oltre 3.000 circa di dieci anni fa. Questo non vuol dire che ci siano meno concessionarie, i punti sono gli stessi, gestiti da un numero inferiore di imprenditori.


Tutto questo ha favorito le sinergie, con uffici marketing che lavorano per quattro, sedici, cinque o dieci sedi e call center operativi per più punti vendita. La rete si è rafforzata, grazie anche agli anticorpi di chi ci ha creduto e ha investito in dieci anni terribili. Da Lehman Brothers al Dieselgate, dalla crisi del 2013 al Covid-19 alla guerra, sono dieci anni che non si sono visti nei 50 precedenti.


I tempi sono cambiati, dieci anni fa quando un cliente entrava in una concessionaria per acquistare un’auto rischiava di uscire con idee più confuse a causa della vastità dell’offerta di cilindrate e potenze, quando i motori proposti erano solo Diesel o a benzina. La potenza e la velocità massima erano i valori che più colpivano i clienti e influenzavano le scelte, mentre oggi le dinamiche sono differenti. Con meno motorizzazioni proposte, l’attenzione di chi vuole acquistare una vettura è influenzata più che altro dallo stile e dalle dotazioni di sicurezza.

Mercato dell’auto ’22: in Italia chiuderà sotto del 10,5% sul ’21

Paolo Scudieri, Anfia

di Paolo Scudieri, presidente di ANFIA

 

A novembre il mercato auto presenta, come già a ottobre, un incremento a  doppia cifra dei volumi (+14,7%), proseguendo il trend di recupero avviato lo scorso agosto anche beneficiando del confronto con un novembre 2021 in pesante flessione (-24,6%), in piena crisi dei semiconduttori. 

Speriamo che la rimodulazione degli incentivi, disponibile dal 2 novembre scorso, con  l’estensione dell’ecobonus alle società di noleggio possa sostenere le immatricolazioni  di vetture a zero e bassissimo impatto ambientale (BEV e PHEV) nei mesi a venire e ribadiamo l’urgenza di dare attuazione alla misura di incentivazione per le infrastrutture di ricarica private e nei condomini, fattore indispensabile di stimolo al

canale dei privati verso scelte d’acquisto orientate ai veicoli elettrificati.

 

Intanto, sul  fronte delle misure di sostegno alla transizione produttiva della filiera, pochi giorni fa sono state definite dal ministero delle Imprese e del Made in Italy le modalità di  utilizzo delle risorse assegnate ai contratti di sviluppo, volti a promuovere programmi di investimento di grandi dimensioni e di particolare rilevanza strategica e innovativa,  che sicuramente aiuteranno molte imprese ad affrontare la trasformazione in ottica

green.

Infine, entrando nell’ultimo mese del non facile 2022, possiamo ormai  ragionevolmente prevedere che la chiusura del mercato auto italiano si attesterà a fine anno intorno a 1,3 milioni di unità immatricolate, con un ribasso del 10,5% circa  rispetto al 2021.

 

I risultati di uno studio: l’Italia non è un Paese per bici

L’Italia investe nell’auto quasi 100 volte più che nella bici: 98 miliardi di euro per il settore automotive e le infrastrutture stradali contro poco più di un miliardo per bonus bici e ciclabili urbane ed extraurbane. Questo senza contare riduzione delle accise e altri sussidi ambientalmente dannosi. Il risultato è che l’Italia, sul piano della ciclabilità, è il fanalino di coda del contesto europeo: le città italiane hanno una media, secondo i dati Istat, di 2,8 km di ciclabili per diecimila abitanti, con grandi disparità territoriali, da zero km in molti capoluoghi del Centro-Sud ai 12-15 km di Modena, Ferrara, Reggio Emilia, considerando i chilometri medi, superiori, di Helsinki (20 km/10.000 abitanti), Amsterdam (14 km/10.000 abitanti) o Copenaghen (8 km/10.000 abitanti).

 

È questo il punto di partenza da cui Clean Cities, Fiab, Kyoto Club e Legambiente, sono partite per la realizzazione del dossier “L’Italia non è un Paese per bici”, documento che mostra come, per colmare il gap con il resto d’Europa, alle città italiane servono 16.000 km di ciclabili in più (rispetto al 2020), per un totale di 21.000 km al 2030. Da una stima prudenziale del fabbisogno economico, l’investimento dovrebbe essere di almeno 3,2 miliardi di euro nell’arco dei prossimi sette anni, pari a 500 milioni di euro l’anno, ovvero appena il 3,5% di quanto già stanziato per il comparto auto e le infrastrutture connesse, ma molto di più di quanto predisposto fino ad ora per la ciclabilità.

 

La proposta delle organizzazioni rivolta al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit) e al nuovo Parlamento è quindi di integrare il Piano Generale della Mobilità Ciclistica, approvando un piano straordinario di investimenti per la ciclabilità nella prossima legge di bilancio, con uno stanziamento di 500 milioni di euro all’anno fino al 2030. ”La nostra analisi ci dice tre cose: uno, che spendiamo tante, troppe delle nostre tasse per sovvenzionare l’uso dell’automobile privata, e pochi spiccioli per dare a tutti la possibilità di muoversi in bicicletta; due, che le nostre città sono ancora molto poco ciclabili, e che vasta parte degli attuali progetti di sviluppo della ciclabilità non sono sufficienti a consentire un vero salto di qualità; tre, che per rendere le nostre città ciclabili davvero basterebbe investire poco più di tre miliardi di euro, tanto quanto stiamo spendendo ogni tre mesi per abbassare un pochino il prezzo di Diesel e benzina“, osserva Claudio Magliulo, responsabile italiano della campagna Clean Cities. 

Incidenti stradali: quali i mesi più a rischio

Sulle strade italiane 73 incidenti su 100 avvengono nei centri abitati, 5 in autostrada e 22 su strade extraurbane. Complessivamente, nel 2021 rispetto al 2019, diminuiscono sia gli incidenti sia i decessi (5.119 gli incidenti in meno, 179 i decessi). In autostrada i sinistri calano del 15,9%, e i morti del 20,6%, come pure sulle strade extraurbane, -10,1% gli incidenti, -10,5% i morti e nei centri abitati con -19,5% incidenti e -18,7% morti.

 

I dati sono ricavati dallo studio dell’ACI “Localizzazione degli incidenti stradali 2021”, che ha analizzato i 31.407 incidenti (1.002 mortali), con 1.078 decessi (il 37,5% del totale) e 47.740 feriti, distribuiti su circa 53.000 km di strade principali italiane (indice di mortalità medio pari a 3,4 morti per 100 incidenti). In autostrada le auto sono il 71,5% dei veicoli coinvolti in incidente (73,8% nel 2019), i veicoli industriali sono il 22,9% (20,4% nel 2019) e i motocicli il 5,3% (stabile rispetto al 2019).

 

Gli spostamenti e le partenze nei weekend incidono in modo particolare, con giugno, luglio e agosto i mesi con la maggiore incidentalità. Venerdì è la giornata in cui si verificano più incidenti (15,2%). Dalle 18 alle 20 le ore più critiche, l’indice di mortalità è più elevato a gennaio (4,2 decessi ogni 100 incidenti), seguito da giugno (4,0), mentre rispetto al 2019, gli incidenti sulla rete primaria sono diminuiti del 14% e i morti del 14,2%.

Auto elettriche: sì, anzi no, si vedrà, ma ci conto

di Thierry Breton, eurocommissario all’Industria e al Mercato interno

 

La transizione da Diesel e benzina all’elettrico avrà così tante implicazioni per le aziende del settore che l’Europa non può permettersi errori. Se dovessero esserci intoppi l’Unione dovrà rivedere la data del phase out senza alcun tabù. Potrebbe essere necessario un freno d’emergenza. Sarebbe un elemento fondamentale per darci il tempo di reagire se necessario, perché stiamo evidentemente parlando di un cambiamento gigantesco per un intero settore industriale.

Sono circa 600mila posti di lavoro che verranno distrutti nella transizione all’elettrico. Non sto parlando delle grandi Case automobilistiche, che sicuramente la supereranno, ma dell’intero ecosistema e della produzione di energia. Per produrre tutte le auto elettriche necessarie a sostituire quelle tradizionali, avremo bisogno di 15 volte più litio entro il 2030, di quattro volte più cobalto, di quattro volte più grafite e di tre volte più nichel. Quindi ci sarà un fabbisogno di materie prime enormemente superiore e questo è un fattore che dobbiamo studiare.

Se vogliamo che tutte le auto nuove siano elettriche, avremo bisogno di produrre 150 gigawattora di energia in più ogni anno, vale a dire il 20-25% in più di quella che viene prodotta attualmente nell’Unione Europea. Quindi, dovremo incrementare massicciamente l’attuale produzione, ma dovrà essere elettricità carbon-free: se la faremo con il carbone o il gas non avrà senso.

Entro il 2030 vogliamo 30 milioni di auto elettriche sulle strade europee. Ma questo significa che abbiamo bisogno di sette milioni di punti di ricarica: oggi ce ne sono soltanto 350mila, e il 70% del totale è concentrato in Francia, Germania e Paesi Bassi.

L’aspirazione è di rendere la transizione un successo e sono completamente d’accordo con quest’ambizione, ma devo altresì assicurarmi che ci siano tutti i mezzi per metterla in atto e che per raggiungere l’obiettivo sia necessario un freddo realismo, che passa anche per il liberarsi di un certo idealismo e la capacità di concentrarsi su alcuni punti chiave, dalla realizzazione di un’infrastruttura di ricarica capillare alla crescita nei volumi produttivi delle materie prime necessarie per le batterie.

Anche le auto elettriche devono diventare più pulite. Ci sono emissioni aggiuntive, che sono molto importanti, da pneumatici e freni, che emettono particolato molto dannoso per la salute. Quindi anche dopo il 2035, quando non saranno più commercializzate automobili con motori termici, ci saranno ancora emissioni: le auto elettriche pesano all’incirca il 40% in più rispetto a quelle tradizionali.

UNEM: pronti a misurare la decarbonizzazione dei trasporti

Foto: Claudio Spinaci, presidente di UNEM

 

Con il pacchetto Fit for 55 l’Unione Europea indica non solo obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni di GHG (gas a effetto serra) entro il 2035, ma anche un percorso “obbligato” che decreta la fine dei motori endotermici a esclusivo beneficio della trazione elettrica, escludendo di fatto alternative già disponibili, tra cui i biocarburanti e, più in generale, i low carbon fuels (LCF). Un indirizzo parzialmente rivisto dal Trilogo del 27 ottobre scorso tra Parlamento e Consiglio europeo sul regolamento CO2 per auto e van che, nonostante abbia confermato complessivamente gli indirizzi già assunti, ha previsto la messa a punto di una metodologia LCA e la definizione di procedure per immatricolare veicoli ICE alimentati da fuel climaticamente neutri.

 

Un cambio di prospettiva, seppur parziale, che ricalca le evidenze emerse dal recente studio elaborato da RIE (Ricerche Industriali Energetiche) di Bologna, insieme a UNEM, i cui risultati sono stati illustrati nei giorni scorsi. Lo studio ha analizzato le potenzialità di questi nuovi carburanti, lo stato dell’arte delle tecnologie, le principali caratteristiche tecniche, logistiche ed economiche, i fattori abilitanti, la disponibilità di materie prime per la loro produzione, nonché le possibilità di sviluppo in relazione agli scenari energetici attesi per il 2030.

 

Lo scenario elaborato è alternativo, ma non antitetico a quello adottato da RSE, ma sempre in coerenza con gli obiettivi ambientali del Fit for 55, traguarda un maggior sviluppo dei LCF e una più realistica penetrazione dei veicoli elettrici (3,4 milioni, equamente ripartiti tra BEV e PHEV rispetto agli oltre 7 milioni previsti dallo scenario RSE). Il confronto tra gli scenari rende evidente come l’uso di LCF, in combinazione con la parziale elettrificazione del parco veicoli nel trasporto leggero su strada, risulti altrettanto efficace ed efficiente nella riduzione delle emissioni rispetto all’elettrificazione spinta del comparto.

 

“La tutela ambientale è assolutamente necessaria, ma se a questa non affianchiamo contemporaneamente la sostenibilità economica e sociale, e quindi la sicurezza energetica, i risultati sono quelli che oggi abbiamo davanti ai nostri occhi”, ha sottolineato il presidente di UNEM, Claudio Spinaci. “Lo studio Illustrato – ha aggiunto Gianni Murano, presidente di Esso Italiana e chairman del Gruppo strategico carburanti alternativi ed energie per la mobilità di UNEM – sviluppa uno scenario che, pur traguardando gli obiettivi 2030, presenta un parco circolante più realistico di quelli elaborati nel PNIEC e da RSE. Appare infatti significativo notare come lo scenario RSE preveda 6,2 milioni di autovetture elettriche pure (BEV) al 2030 a fronte di poco meno di 40.000 unità immatricolate nei primi dieci mesi del 2022. Ferme restando queste tendenze, sarebbe quindi necessario che per i prossimi 7 anni l’80% di tutte le nuove immatricolazioni fossero elettriche per arrivare agli obiettivi indicati da RSE”.

 

Un momento di confronto importante che ha visto, inoltre, il lancio di una nuova piattaforma digitale (Car CO2 comparator) in grado di calcolare e confrontare, in tempo reale, le emissioni di GHG delle auto e di diversi tipi di fuel valutandone l’impronta ambientale lungo il suo intero ciclo di vita (LCA – Life Cycle Assessment).

 

Nella valutazione dell’impatto ambientale che sono alla base delle tecnologie di trasporto leggero ciò che conta è il valore dell’impronta carbonica complessiva lungo l’intero ciclo di vita delle vetture, non solo allo scarico. Il controllo esclusivo in questa fase, oltre a trascurare un gran numero di altre emissioni climalteranti generate durante la vita del veicolo, risulta infatti parziale in quanto assimila la CO2 riciclata a quella fossile alterando i risultati in termini di effettiva decarbonizzazione dei trasporti.

 

Lo strumento messo a punto dal Concawe è stato realizzato per misurare e confrontare in modo interattivo le emissioni di gas serra nel ciclo di vita delle autovetture in base a diversi parametri: powertrains, fuel utilizzati, profilo di guida, intensità carbonica nella produzione di elettricità o di fuel, condizioni ambientali. I parametri, inseriti nel modello interattivo, modulabili in funzione del confronto scelto, derivano da analisi specifiche e dalla letteratura prevalente in materia.

 

“Il nuovo strumento di calcolo elaborato dal Concawe in collaborazione con IFPEN – ha spiegato il presidente Spinaci – permette di valutare le emissioni sul ciclo di vita (LCA) di diverse combinazioni veicoli-fuels e compararle con la valutazione di quelle solo allo scarico. Ciò che emerge è che con un approccio LCA (ciclo di vita) all’aumentare della quota di componente bio/rinnovabile dei LCF cresce il vantaggio delle HEV e delle PHEV rispetto alle BEV. Risultati sorprendenti che mostrano come, di fatto, è il metodo di calcolo a indirizzare oggi le scelte tecnologiche della Ue e non come dovrebbe essere gli obiettivi ambientali”La piattaforma è accessibile dal nuovo sito di unem all’indirizzo www.unem.it.

 

Sono stati presentati quattro casi mettendo a confronto un’auto elettrica (BEV), una ibrida non ricaricabile (HEV) e una Plug-in ricaricabile (PHEV) con diversi tipi di alimentazione per le HEV e PHEV: 1) gasolio B7 (cioè quello che troviamo oggi sui punti vendita con il 7% di componente bio), 2) biocarburante avanzato derivato da materiali di scarto di origine organica, utilizzabile in purezza (HVO) 3) carburante sintetico derivato dalla combinazione di idrogeno rinnovabile e CO2 (e-fuel); 4) efuel e zero intensità carbonica per produzione di energia elettrica.