L’automobile: una nuova lotta di classe

di Andrea Taschini, manager automotive (dal magazine “Parts”)

 

Nello scorso articolo pubblicato su questa rivista avevamo analizzato i processi decisionali che dovrebbero condurre a una sana ed efficace politica energetica e della mobilità attraverso la triplice formulazione di scopo, mezzi e contesto evidenziando come spesso le decisioni vengono prese dalla politica più per questioni ideologiche che di sostanza. Ora vorremmo invece affrontare i temi di fattibilità e delle conseguenze anche sociologiche di una transizione fatta di estremismi e fughe in avanti senza per altro vi siano le condizioni materiali ed infrastrutturali per implementarle.

 

Tre questioni fondamentali

Tom McClintock un congressman americano di lungo corso, in una recente audizione al parlamento di Washington, ha posto tre questioni fondamentali e molto acute che riguardano la transizione verso la mobilità elettrica. La prima afferma che se l’auto a batteria richiede 6 volte le materie prime necessarie per la sua costruzione rispetto a un’auto con il motore endotermico, sarà necessario aprire 384 nuove miniere per l’estrazione dei materiali necessari tra i quali litio, nickel, rame, terre rare e grafite.

Rivolgendosi agli stessi ambientalisti presenti che vorrebbero imporre a gran voce l’auto elettrica, chiede come ciò sia conciliabile con il non volere l’apertura di nuove miniere. You can’t have both” non potete averli tutti e due, sbotta ironico durante lo speach evidenziando il cortocircuito intellettuale in cui essi si sono infilati.

La seconda domanda agli auditori è come sia possibile reperire la potenza elettrica necessaria per alimentare decine di milioni di autovetture, visto che oggi le infrastrutture non permettono espansioni energetiche così elevate che avrebbero oltretutto picchi orari di assorbimento verticali. Specifica, inoltre, che l’energia elettrica viene oggi prodotta in larga parte con i fossili e che quindi si tratta di una falsa soluzione a eventuali tematiche ambientali; la chimera delle rinnovabili come si può constatare, per ora rimane un investimento privo di benefici reali in termini di produzione di KWh.

La terza domanda riguarda i costi: se si sceglie un regime di scarsità di offerta come quello voluta dai movimenti ambientalisti, i costi per le materie prime sia per le vetture sia per il fabbisogno energetico saliranno alle stelle creando come poi vedremo in seguito, non solo una nuova discriminazione di classe nella popolazione, ma veri e propri stati di povertà diffusa. Credo che il pragmatismo americano abbia sollevato tre questioni non eludibili da chiunque usi un minimo di onestà intellettuale per analizzare i fatti.

 

Per un’analisi sociologica dell’auto elettrica e dei mezzi di mobilità

Siamo abituati al luogo comune dell’equazione ricchezza = auto elettrica. In realtà c’è molto da discutere a riguardo e la nostra visione diverge dal mainstream più in voga. La produzione cinese di vetture elettriche sta crescendo a una velocità pressionante sia perché l’enorme popolazione ha bisogno di un passaggio alla mobilità a quattro ruote sia perché l’industria cinese punta ad invadere il mondo con le proprie vetture elettriche.

L’80% delle vetture a batteria prodotte al mondo sono vendute in Cina e l’unico produttore occidentale che veramente può competere con i produttori asiatici è e rimane Tesla che comunque ha nel Paese asiatico impianti di produzione molto importanti. Tesla si è vista costretta recentemente ad abbassare i prezzi fino al 20% dei suoi modelli per far fronte aduna concorrenza cinese sempre più agguerrita e decisa a conquistare quote di mercato sempre più rilevanti sacrificando margini che si sono immediatamente riflettuti sul conto economico dell’azienda.

In questo non riscontriamo grandi differenze con ciò che le aziende del Paese asiatico hanno fatto in altri comparti dei vari settori di riferimento: credo basti l’esempio dell’elettronica per farsi un’idea concreta o del settore tessile. Riteniamo che il momento in cui le auto cinesi low cost sbarcheranno massivamente nel Vecchio continente, non sia troppo lontano e quando questo succederà causerà un vero e proprio cataclisma sociale e nel tessuto industriale europeo.

L’auto elettrica, contrariamente al posizionamento di mercato che ha oggi, diverrà l’auto del popolo con prezzi eramente molto competitivi. Saranno auto dotate di tecnologia di base, ma con tutti i comfort che l’elettronica di consumo può offrire, ben disegnate da esperti occidentali e con interni molto accattivanti che tuttavia saranno a bassa autonomia e con un costo sotto i 15.000 euro, è difficile non pensare che possano essere appealing per una clientela con una limitata disponibilità economica.

Le auto euranti, le vetture con il motore endotermico a lunga autonomia, diverranno invece il prodotto più ambito dalle élite che potranno disporrlettriche di lusso europee, ma prodotte in Cina, saranno una nicchia a uso urbano per pochi privilegiati. Con l’avvento degli e-fuels e dei Bio-carburanti le vetture con il motore endotermico a lunga autonomia, diverranno, invece, il prodotto più ambito dalle élite che potranno disporre di molto denaro per acquistare un’auto tradizionale che diverrà così uno status symbol e che segnerà visibilmente le differenze tra classi sociali ben distinte.

Dei vantaggi competitivi della Cina nella produzione di batterie e dei motori elettrici abbiamo già ampiamente parlato ma è bene risottolineare che nonostante i proclami della Commissione europea a volte imbarazzanti per modalità e argomentazioni, la supremazia di Pechino in fatto di possesso di materie prime sta aumentando giorno per giorno la propria superiorità sull’Occidente.

Il vero tema industriale non è quanto le nostre aziende riusciranno a riconvertire della propria produzione per adeguarsi alle imposizioni legislative europee, ma di quanto caleranno i volumi di vendita delle auto Made in Europe e di conseguenza dei livelli occupazionali a essi legati.

Con una segmentazione di mercato come accennata nel paragrafo precedente, i volumi delle vetture europee e conseguentemente dalla componentistica, subiranno un crollo verticale. È infatti sui segmenti più economici che i volumi sono maggiori: le nicchie di mercato creano alto valore aggiunto, ma l’assenza di massa critica creerà problemi macroscopici. Chi lavora nell’industria sa bene come la leva volume abbia un impatto decisivo sulla produzione dei margini e della sostenibilità del business.

 

Per un dibattito serio e pragmatico

Si leggono sempre più articoli anche di autorevoli firme giornalistiche che parlano e straparlano del problema senza tuttavia avere alcuna esperienza o idea di come funzioni un sistema industriale. Sparano cifre per sentito dire, su fantomatici posti di lavoro creati dal nulla, di mirabolanti riconversioni industriali come se stessero parlando del riammodernamento di un’osteria, di strepitosi risparmi di milioni di barili di petrolio dovuti all’elettrificazione del parco circolante europeo dimenticandosi che i posti di lavoro non necessariamente si creeranno dove servono, che per riconvertire una fabbrica serve una domanda da soddisfare e che soprattutto l’energia elettrica si produrrà ancora per decenni con gli idrocarburi (chi afferma il contrario deve ancora dimostrarlo).

Questo che sembra sempre più un suicidio industriale annunciato, è purtroppo supportato da autorevoli incompetenti. Ciò non deve meravigliare perché oggettivamente molte delle scelte disastrose di politica industriale ed energetica del passato sia in Italia che in Europa, hanno avuto parecchi fiancheggiatori che in molti casi non servivano la ragione, sicuramente non i cittadini ma certamente interessi molto, molto particolari.

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