In questo quadro non conforta certo il fatto che la situazione italiana non differisca significativamente da quella dell’Unione Europea. Le ragioni del mancato recupero da parte del mercato dell’auto dell’Unione dei livelli ante-pandemia vanno ricercate essenzialmente nella politica per la transizione energetica nella mobilità dettata all’Unione essenzialmente dall’ambientalismo ideologico. Le conseguenze sono ormai sotto gli occhi di tutti. I diktat, le multe miliardarie ai produttori di auto e la caduta delle vendite hanno determinato, come è noto, una gravissima crisi con chiusure di stabilimenti e licenziamenti in massa e il concreto pericolo dell’invasione dei mercati dell’Unione da parte di prodotti cinesi.
D’altra parte, i forti aumenti dei prezzi delle auto hanno prodotto un calo della domanda di auto nuove e un rinnovato interesse per il mercato delle auto usate che gode di ottima salute in quanto beneficia sia della domanda di ceti sociali che non possono più permettersi di acquistare un’auto nuova, che di quella di ceti emergenti, come gli immigrati, che si accontentano di auto usate che in altri tempi sarebbero state rottamate. A tutto questo si aggiunge il fatto che la maggior parte degli acquirenti di auto elettriche le compra come auto da aggiungere a quella o quelle già possedute. Per cui all’acquisto di un’auto elettrica corrisponde generalmente un incremento del parco.
L’insieme degli elementi citati sta determinando nel nostro Paese una situazione per molti aspetti paradossale. Le vendite di auto nuove sono molto depresse, ma il parco circolante continua ad aumentare e ciò nonostante che la popolazione sia in calo. Prima della crisi da pandemia nel 2019, secondo l’Isfort (Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti), il tasso di motorizzazione in Italia era pari a 65,6.