Se i dealer sono appesantiti dalle Case auto (di Pier Luigi del Viscovo, direttore del Centro studi Fleet&Mobility)

Mercato dell'auto nel 2024: 45,5 miliardi (500 milioni meno del 2023)

Le concessionarie italiane sono arrivate all’attuale crisi del mercato (con cali mensili ben oltre le due cifre) appesantite negli indicatori fondamentali, per responsabilità loro e forse soprattutto delle Case auto, che di fatto governano le scelte organizzative e forzano quelle gestionali. A fine 2020 i concessionari in attività erano 1.248 rispetto ai 1.329 del 2019, pari al -6%, mentre nei 3 anni precedenti la diminuzione annua media era stata del 3%. In pratica gli indici medi sono stati tenuti su dall’uscita di chi li avrebbe affossati.


Gli indici 2020 riportano scostamenti minimi sul 2019, nell’ordine dei centesimali. Ma se nel 2020 le Case hanno allentato la pressione sulla rete, non l’avevano fatto tra il 2017 e il 2019, dove si nota un graduale appesantimento. Mentre i ricavi crescevano del 14%, le spese di gestione aumentavano del 16,5 e quelle del personale addirittura di oltre il 20%. Così il valore aggiunto e i ricavi per addetto diminuivano del 3,4 e del 3,8% rispettivamente.


Secondo le elaborazioni del Centro Studi Fleet&Mobility, lo stock usato ruotava più lentamente coi giorni medi di giacenza saliti da 68 a 71. Pur con un magazzino medio sceso da 89 a 76 unità, il peso sui ricavi saliva dal 18.6 al 19.5% peggiorando la leva finanziaria. I costruttori tra il 2017 e il 2019 hanno ripreso a spingere per investimenti in strutture, pur consapevoli che le relazioni migravano sul digitale, e per assumere personale, sapendo bene che 2 milioni di vendite non sarebbero mai tornati. Sia come sia, questi numeri raccontano del mondo che non c’è più: guardarli può fare più male che bene. Meglio pensare al prossimo.

 

Unrae, è Crisci III: “Transizione senza imposizioni dogmatiche”

Transizione energetica: accelerare con misure concrete

Fonte Ufficio stampa UNRAE – Foto di Angelo Carconi 

 

Michele Crisci è stato riconfermato per la terza volta presidente dell’Unrae, l’associazione che rappresenta le Case automobilistiche estere operanti sul mercato italiano. La scelta di Crisci, presidente e amministratore delegato di Volvo Car Italia, è una scelta di continuità: la sua prima elezione al vertice di Unrae risale al 2017.

La gestione della transizione tecnologica è il nostro primo obiettivo – dichiara – e proseguiremo nell’interlocuzione con il governo. Abbiamo alle spalle due anni complicatissimi, segnati da Covid, crisi dei chip e ora la guerra. Ciononostante – prosegue – dobbiamo guardare al futuro con ottimismo e fiducia. Ricordando che l’automotive non è un comparto a sé stante, ma è un volano che fa girare numerosi settori dell’economia“.

Nel suo discorso di insediamento, Crisci – che rimarrà in carica per il triennio 2022-2025 – ha indicato le varie direttrici lungo le quali si muoverà l’Associazione. “Il settore automotive sta percorrendo in questi anni un cammino molto impegnativo verso il futuro, attraverso una trasformazione radicale con ingenti investimenti – da parte dei costruttori – sulle nuove tecnologie ambientalmente sostenibili. Unrae- dovrà essere protagonista di questa nuova fase, svolgendo un ruolo guida, per continuare a garantire la salute di un settore indispensabile alla crescita economica del nostro Paese. Il nostro impegno è far sì che Unrae diventi sempre più il punto di riferimento delle Istituzioni, per fornire ai decisori il necessario supporto di idee e informazioni, da tradurre nelle scelte migliori per governare la transizione energetica del settore”.

Crisci ha anche assicurato che si adopererà “affinché Unrae tenga sempre alti il valore aggiunto per le associate e la credibilità nei confronti degli stakeholder esterni. A tal fine proseguirà il rafforzamento del Centro Studi e Statistiche Unrae, già parte del Sistan dal 2013, delle collaborazioni con altre istituzioni anche accademiche, per elaborare analisi, studi e osservatori che ne consolidino il prestigio come principale fonte di dati e informazioni sul settore automotive.

“Nei prossimi anni – ha detto ancora Crisci – tutto il comparto dovrà lavorare per fare in modo che i fondi stanziati dal PNRR, dal Decreto Energia e dalla riforma fiscale siano impiegati in modo altamente produttivo per tutti gli operatori della filiera. È fondamentale che i fondi siano indirizzati ad accompagnare la transizione energetica, senza imposizioni dogmatiche e senza sacrificare la neutralità tecnologica, accelerando il ricambio del parco veicolare circolante per ridurre l’impatto ambientale della mobilità. Con questi impegni che il mondo dell’automotive ha di fronte – ha concluso il presidente – è quanto mai opportuno che tutte le associazioni della filiera trovino momenti di collaborazione verso obiettivi comuni, lavorando in modo convergente per raggiungere un traguardo che rappresenti gli interessi di tutto il settore”.

Rischio lavoro per l’elettrico? Non sono preoccupata (di Alessandra Todde, viceministro allo Sviluppo economico (dall’intervento a “Electric Days 2022))

La crisi energetica sta aprendo scenari non previsti per la ripresa economica del nostro Paese. A oggi abbiamo 70 tavoli di crisi aperti e 100mila lavoratori a rischio. Per il prossimo inverno prevediamo sacrifici contenuti, per esempio con la riduzione del riscaldamento fino a tre gradi, ma le preoccupazioni maggiori riguardano l’inverno 2023.

È necessario gestire con la giusta attenzione la situazione energetica del nostro Paese, anche alla luce degli attuali scenari bellici. Abbiamo accettato di imporre sanzioni alla Russia e questo rende necessaria un’accelerazione sul fronte del processo di transizione energetica che ci dovrà rendere indipendenti dagli altri Paesi. La transizione rappresenta un’opportunità per accelerare sul fronte delle rinnovabili che ci consentiranno in futuro di avere una bolletta energetica più leggera di quella attuale. 

Oggi abbiamo intere filiere che si poggiano sul gas e questo impone un’emancipazione più rapida possibile dalle forniture russe. Poi andranno prese decisioni che comporteranno per ora limitati sacrifici,a esempio con la riduzione dei riscaldamenti delle case degli italiani di almeno 3 gradi nel prossimo inverno. Il vero problema sarà però l’inverno 2023, se non saremo veloci a diversificare le fonti energetiche e non saremo bravi ad aumentare la capacità di rigassificazione e questo impone oggi scelte serie e condivise. Diversificare le fonti è fondamentale, ma lo è ancor di più procedere all’elettrificazione dei consumi civili. Un’energia che costa cara ci rende meno competitivi.

Questa guerra sta lasciando emergere la necessità di una voce unica europea. Ci sono Paesi del Nord Europa, esportatori di gas, che beneficiano di questa situazione e altri come noi che la patiscono di più.Il conflitto sta definendo un nuovo ordine geopolitico e anche l’Italia dovrà ridefinirne al meglio la propria posizione.

Le criticità collegate al caro materie prime vanno risolte a livello europeo. Le stime recenti di crescita si sono ridotte a causa di questo trend, l’inflazione sta crescendo e alcune aziende stanno smettendo di produrre. Abbiamo aperto ad oggi 70 tavoli di crisi con 100mila lavoratori a rischio. La crisi energetica può imprimere un accelerazione sulla transizione verso l’auto elettrica. Bisogna investire sui sistemi di accumulo. Il tema dell’elevato costo delle vetture elettriche è oggi legato al numero di auto vendute ed è importante per questo dare un segnale del cambiamento, che non vuol dire solo mettere più colonnine sulle nostre strade, ma avere un programma serio e muovere sinergicamente tutti gli elementi, come a esempio testimonia la gigafactory di Termoli e le opportunità connesse al riciclo delle batterie.

Non sono preoccupata dagli allarmi sulle possibili perdite di occupazione legate alla transizione verso l’elettrico. Investendo sulle filiere e sulle competenze delle persone si possono creare 70mila posti di lavoro connessi all’elettrico.

 

Furgoni: sbagliato escludere dai bonus i non elettrici “green”

Decarbonizzazione

di Massimo Artusi, vicepresidente di Federauto con delega a «Truck&Van»

 

L’inserimento, tra i veicoli che potranno usufruire del nuovo Ecobonus, anche dei mezzi commerciali ad alimentazione elettrica (con rottamazione obbligatoria) a vantaggio delle sole PMI, è meglio del nulla che si stava profilando per il comparto, ma è ancora troppo poco. Siamo quindi parzialmente soddisfatti dell’inserimento nel provvedimento dei veicoli di categoria N1 e N2, ma è facile prevedere che l’incentivo all’acquisto dei soli mezzi ad alimentazione elettrica, a beneficio delle Pmi e che impone la rottamazione obbligatoria, sarà difficilmente utilizzabile. La misura, quindi, andrebbe tempestivamente integrata, per essere più efficace e favorire le Pmi attraverso l’apertura a tutte le formule di acquisto/possesso utilizzate dagli operatori già con l’Ecobonus 2021.

Sembra una occasione persa ed è difficile capire la motivazione che ha portato all’esclusione delle altre alimentazioni a basso impatto ambientale, che possono contribuire in maniera importante alla transizione ecologica del comparto e alla riduzione dell’inquinamento. È pertanto auspicabile che siano introdotti i correttivi necessari a rendere il provvedimento più aderente alle dinamiche del mercato.

Visto, peraltro, che il provvedimento non esaurisce lo stanziamento totale previsto e che per il 2023 e il 2024 saranno, dunque, disponibili ancora 300 milioni l’anno, ci auguriamo che da questi residui, opportunamente ampliati per i prossimi esercizi, si possa attingere per sostenere più concretamente la filiera della logistica che, proprio nei veicoli commerciali ha lo strumento insostituibile per la distribuzione dell’ultimo chilometro che tanto impatta sull’ambiente e sulla sicurezza.