
E in assenza di un’alternativa il comparto rischia una crisi inarrestabile, che in Italia mette in forse 120mila posti di lavoro. ACEA e CLEPA, associazioni di costruttori di auto e dei fornitori, dopo aver assecondato le scelte europee hanno inviato una lettera in cui chiedono di rivedere il processo della transizione ecologica, ma senza una presa di posizione forte non è detto che saranno ascoltati.
Tra l’altro dal dialogo strategico è stata esclusa l’ARA (Automotive Regions Alliance) che riunisce le regioni a vocazione automobilistica: un segnale che non fa presagire niente di buono sulla sincera volontà della Commissione di interrogarsi su eventuali cambiamenti.
Bonora, ACEA e CLEPA dicono alla UE di rivedere la transizione energetica, vogliono evitare lo stop ai motori a combustione previsto nel 2035. Troppo tardi per rimediare alla situazione dell’automotive?
“La lettera che hanno inviato a Ursula von der Leyen per certi versi è una presa in giro: fino all’altro ieri la linea era stata tracciata e si teneva la barra dritta puntando sulle auto elettriche, ricordando gli ingenti investimenti realizzati in questo campo, per oltre 200 miliardi. Poi arriva questa lettera, nella quale i costruttori chiedono assolutamente di fare marcia indietro perché altrimenti si va incontro al disastro, che è già in corso. Hanno commesso un errore enorme e adesso cercano di rimediare”.
Ma rimediare è possibile?
“Ci sono grossi problemi oggettivi: i costi dell’energia, il mercato che non risponde. Hanno fatto i conti senza l’oste”.
Costruttori e fornitori chiedono proprio di riallineare la transizione energetica alle condizioni di mercato. Un argomento convincente per Bruxelles?
“I costruttori dovevano pensarci prima. Tra loro c’è anche chi è intenzionato a produrre più auto elettriche e meno macchine convenzionali per prepararsi ed evitare di pagare fra tre anni le sanzioni ora sospese dall’Europa per i produttori che non si allineano all’orientamento comunitario. Le realizzeranno e poi le daranno ai concessionari, che sono obbligati a prenderle. Le sanzioni sono inutili, un modo per imporre scelte ideologiche. Ora c’è chi si richiama alle proteste degli agricoltori contro le politiche di Bruxelles, ma loro sono andati davanti alla sede UE con le macchine agricole, hanno fatto una bella manifestazione, hanno esibito i muscoli. Bisogna avere il coraggio di una iniziativa decisa”.
Il dialogo strategico del prossimo 12 settembre potrebbe realmente essere l’occasione di cambiare l’orientamento europeo?
“Vediamo cosa succederà. Intanto c’è stato un segnale nient’affatto positivo, l’esclusione dell’ARA, l’alleanza europea delle 40 regioni automotive, di cui è presidente l’italiano Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo economico in Lombardia. È stata esclusa dalle audizioni perché la UE ha paura, non vuole rotture di scatole”.
Vuol dire che non c’è davvero la volontà di cambiare?
“La cosa più vergognosa in assoluto è che tutti quelli che hanno preso decisioni sbagliate, sia nella politica, sia nel mondo dell’automotive, sono ancora lì a comandare. Lo stesso Oliver Blume, che adesso lascerà la Porsche a causa del doppio incarico per cui era anche alla guida della Volkswagen, ha sbagliato, lo dimostra il fatto che la Porsche elettrica non va”.
La UE, intanto, ha ottenuto di abbassare al 15% i dazi sull’automotive: un successo importante o la crisi è così ampia che non basta per migliorare la situazione del settore?
“La von der Leyen ha accettato il 15% e naturalmente è meglio del 27,5%, anche se ora, dopo il pronunciamento della Corte d’appello federale, bisognerà attendere la Corte Suprema USA, a maggioranza repubblicana, per capire se Trump ha abusato o no dei suoi poteri per imporre i dazi”.
Viste le premesse dal dialogo strategico messo in agenda dalla von der Leyen cosa c’è da aspettarsi?
“Potrebbe essere anche un modo per prendere ulteriormente tempo. Anche se di tempo non ce n’è. Bisogna battere i pugni sul tavolo, lasciare lì da sola la von der Leyen a guardare il soffitto. Va messa di fronte alle sue responsabilità”.
I cinesi, nel frattempo, stanno cercando di portare la produzione in Europa e si rivolgono anche ad altri mercati, come quelli del Sudamerica. Per tutelare la sua produzione l’Europa dovrà imporre dei dazi sulle vetture del Dragone?
“Secondo alcune segnalazioni i cinesi stanno cercando di aggirare i dazi europei, ad esempio esportandole in Turchia: insomma, le fanno entrare da altri Paesi. Ormai i buoi sono scappati. Una grande casa cinese come SAIC in Europa ha superato la quota del 3% di mercato, Byd si sta avvicinando al 2%. Per qualcuno potrebbe essere poco, ma è successo in un anno e ci sono anche altri marchi che stanno guadagnando posizioni. Ribadisco: è vergognoso che in Europa nessuno tra politici e costruttori abbia sentito il dovere di chiedere scusa. Solo Toyota ha tenuto la barra dritta con una visione neutrale, ed è forse l’unica casa che in questo momento non ha problemi particolari”.
L’Italia in questo contesto come è messa?
“Anche le famiglie italiane rischiano di pagare il prezzo di questa situazione. Solo nel nostro Paese si parla di 120mila posti di lavoro tra fabbriche auto e indotto. Il ministro delle Imprese,Adolfo Urso, ha detto che Stellantis si è impegnata a non chiudere gli stabilimenti in Italia, speriamo che sia così. Nel 2026 si può ancora passarla liscia, ma un Paese non può andare avanti ad ammortizzatori sociali, bisogna prendere delle decisioni, elaborare una strategia”.
Il dialogo strategico sostanzialmente con chi sarà, con i costruttori?
“Costruttori e componentisti. La Commissione prevede anche modalità di consultazione aperte a tutti, con un questionario a cui chiunque può rispondere, ma è fatto in modo tale da scoraggiare chi è intenzionato a esprimere il suo parere. Ci sono tante domande, alcune molto tecniche, formulate in modo troppo complesso”.