UE, transizione, pressioni, “cose strane”: si comincia a parlarne

Dall’inizio del 2022 a oggi il vento che sembrava spingere senza particolare ostacoli verso la direzione imposta dalla Commissione UE, solo auto elettriche dal 2035, ha cambiato direzione. E da un po’ di tempo soffia in direzione contraria. Inutile negarlo, anche se in tanti ci provano, studi “pilotati” alla mano e tentativi di negare la realtà dei fatti o, per così dire, sminuire quello che che sta accadendo. La teoria del “solo elettrico” per decarbonizzare il mondo vacilla sempre di più: in Italia le vendite di veicoli a batteria, nonostante gli incentivi ancora disponibili, sono di fatto crollate.

 

Si continua a prendere come esempio gli altri Paesi d’Europa, senza però entrare nei dettagli: lasciando perdere quelli scandinavi, è vero che in Germania e Francia la quota di mercato è intorno al 15%, ma si tratta di prime macchine? Chi le acquista sono privati o aziende? E’ ora di fare chiarezza. Intanto, i costruttori sono costretti a investire in questa transizione elettrica dai tanti lati oscuri, spinti da regole dettate frettolosamente e con il paraocchi dalla Commissione Ue, quasi incuranti della revisione di questa materia che la nuova – finalmente – Commissione UE farà nel 2026 dopo che nel 2025, per misurare la decarbonizzazione delle alimentazioni, si farà finalmente ricorso all’intero ciclo di vita del veicolo e non più sulle sole emissioni allo scarico.

 

Era anche ora che UNEM, Unione energie per la mobilità, cominciasse ad alzare la voce (l’avesse fatto con forza prima…) e, presentando la nuova piattaforma digitale che confronta le emissioni di CO2 dei veicoli sull’intero ciclo di vita, ha denunciato, tramite il presidente Claudio Spinaci, che a Bruxelles, ufficialmente, hanno sempre definito molto complicato questo metodo. “La verità – le parole di Spinaci – è che in questo modo verrebbe scardinata l’impostazione ideologica che ha portato alla visione attuale che punta solo sull’elettrico. Non utilizzare uno strumento corretto per valutare le diverse tecnologie è gravissimo: un’omissione che Bruxelles sta compiendo per alterare ciò che dovrebbe rivelarsi una normale evoluzione basata sulla neutralità tecnologia. Dietro tutto c’è una chiara volontà politica. La Commissione soffre di molte pressioni da parte di lobby potentissime”. Meglio tardi che mai, in proposito.

 

L’auspicio, ora, è che questi venti contrari continuino fino ad arrivare una riconsiderazione basata sul principio della neutralità tecnologica. Insieme a quella dell’elettrico, ci sono altre soluzioni che è doveroso considerare, in quanto portano alla decarbonizzazione e all’abbattimento degli inquinanti. I nuovi carburanti, in proposito, già disponibili, utilizzano come “materie prime”, biomasse, scarti, olio di colza e di palma, mentre il passo successivo riguarda i rifiuti. Ci sono poi i carburanti sintetici che annoverano la CO2 tolta dall’ambiente e usata come materia prima. Il problema, in questo caso, riguarda i costi, in particolare dell’idrogeno verde, l’altro componente. La soluzione è quella di investire nella industrializzazione.

 

Insomma, ciò che sembrava una certezza ora lo è molto meno e, sulla transizione “green”, come è stata costruita e imposta, cominciano ad aleggare dubbi e sospetti. A uscire allo scoperto, per per primo, è stato Carlo Bonomi, presidente di Confindustria. “Io mi pongo il tema – ha affermato in un suo recente intervento – se le scelte sull’automotive che abbiamo fatto sono scelte consapevoli di ciò che succedeva o se le abbiamo fatte spinti da pressioni esterne“.

 

Pressioni paventate anche dal presidente di UNEM, Spinaci, in una recente intervista al “Giornale”: “A Bruxelles soffrono di molte pressioni da parte di lobby potentissime. La Cina? Si assistono a cose strane…”.

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