Transizione energetica: riflessioni a 360 gradi (di Carlos Tavares, ad di Stellantis (dall’intervista al magazine “Auto”))

Carlos Tavares

Foto Carlo Tavares (archivio FORUMAutoMotive)

 

Attualmente abbiamo 19 veicoli elettrici in vendita e ne aggiungeremo altri 15 nei prossimi due anni. Quindi la transizione elettrica per un’azienda come la nostra è già pienamente in atto. Quindi per noi è un problema superato, è fatta. Il problema semmai è che quando metto le macchine nelle concessionarie, i clienti devono essere rassicurati, dalla densità dei punti di ricarica alla facilità di ripristinare il pieno d’energia alla propria auto e questo aspetto non è in capo ai costruttori ma agli Stati. Secondo, quando vai a ricaricare devi poter contare sul fatto che ci sia sufficiente energia nel network, quindi i Paesi devono assicurarsi di avere una strategia energetica.

Io vi assicuro che le auto a corrente hanno tutti i numeri per essere più piacevoli ed entusiasmanti delle termiche. Bisogna che le Bev siano “affordable”, accessibili, e quindi andranno incentivate ancora per un po’. E deve esserci la certezza della ricarica. Non potrà esistere che tu non possa caricare efficacemente la tua auto dalle 4 alle 9 di sera, per dire, perché c’è un picco di richiesta energetica…

Abbiamo passato gli ultimi cinque anni a spiegare che focalizzarsi soltanto sui dispositivi di mobilità, cioè i veicoli, può essere pericoloso perché è un intero ecosistema che dobbiamo abbracciare, con un approccio a 360 gradi. Ai nostri occhi è chiaro che i “tempi di consegna” di questa trasformazione non dipendono dai costruttori, ma dal lato dell’energia. E questi tempi sono una sfida per le nostre società, indipendentemente dalla guerra in Ucraina. E questa è la ragione per cui il nucleare è di nuovo sul tavolo. E potere chiedere ad alcuni dei politici ecologisti se ne sono felici.

Si torna a parlare di nucleare come conseguenza del fatto che abbiamo bisogno di energia pulita, dopodiché qualcuno potrebbe discutere se il nucleare si possa davvero definire tale, ma il fatto è che ora serve potenza elettrica – se non l’hai non puoi avere la mobilità a corrente – e il più pulita possibile: eolica, solare e anche nucleare. Io come industria sarò 100% elettrico dal 2030, l’ho dichiarato. Ma abbiamo una strategia energetica pulita pronta per quella data? Questa è una domanda da girare ai leader politici. E lo stesso si può chiedere sull’infrastruttura di ricarica. E a quel punto dobbiamo anche considerare la necessità per gli Stati di finanziare queste politiche, a fronte della diminuzione degli introiti derivanti dalla tassazione sui prodotti petroliferi.

La sfida è tutta per la politica. Non più per noi: noi stiamo disassemblando le linee di montaggio delle auto a combustione e stiamo trasformando le nostre fabbriche per la produzione di batterie, di motori elettrici e veicoli elettrici. Siamo nella fase di esecuzione del piano. Per il 2030 potremmo avere una gamma 100% elettrica in Europa e al 50% negli Stati Uniti.

C’è un bando sui motori termici in Europa per il 2035 e nel Regno Unito dal 2030. Allora, da una prospettiva puramente ambientale sappiamo che il global warming è un problema planetario e non locale. Quindi è etico dire che produrremo motori a combustione per generare CO2 da qualche altre parte, fuori dall’Europa? È un atteggiamento sincero? Ma se siamo sinceri, dobbiamo andare tutti assieme nella stessa direzione. Secondo, c’è un tema di accessibilità: se le termiche devono essere destinate a mercati meno avanzati, non sarebbe una buona idea produrle in una delle aree del geografiche con i costi del lavoro più alti del mondo. Infine, il terzo motivo: perché relegare alcuni stabilimenti al di fuori dalla portata di innovazione privandoli dell’opportunità di ricevere gli investimenti per la tecnologia del futuro, tenendoli ancorati al “vecchio mondo”? Preferisco dare loro l’opportunità di modernizzarsi e ai loro dipendenti educazione, nuovi apprendimenti, perché si preparino per il domani. Non dobbiamo congelare l’industria dell’auto nello status quo.

Penso ai miei dipendenti. Che cosa direbbe lei a un dipendente che lavora in quella parte di business? La nostra società è fatta di persone, non di loghi. Io penso che dovremmo muoverci tutti assieme nella stessa direzione, e farlo velocemente. Non è facile, certo. Mi riferivo alle fabbriche europee. Ma abbiamo nel resto del mondo un sacco di impianti, i quali possono continuare a produrre le tecnologie tradizionali per il mercato locale, comunque all’interno della stessa società. Penso che sia meglio dal punto di vista etico dire ai nostri dipendenti: guardate, siamo una grossa società, non è facile sterzare, ma dobbiamo dimostrare di essere agili, di imparare in fretta e di poterci muovere rapidamente in diverse direzioni secondo quello che chiede il mercato. Non dirò alla metà del mio gruppo: “Oh mi dispiace, ti è capitato di essere nella ‘old company'”. Non dirò a quei dipendenti: “Hai creato ricchezza per questa regione del mondo negli ultimi cento anni e adesso… arrangiati”. E lei ha detto: “Non siamo sicuri qui in Europa…”. Bene, se non siamo sicuri, perché mettere un bando? Lasciamo che siano i clienti a decidere se ci sono abbastanza punti di ricarica, se una macchina elettrica è più piacevole di una termica e via dicendo. Ma i politici europei hanno messo un bando. Quindi, evidentemente, loro sono sicuri.

Oggi l’età media dei veicoli su strada in Europa è di 11 anni. Le emissioni medie per un’auto di 11 anni o più sono di circa 170 grammi al chilometro. Prendiamo una hatchback di segmento B di oggi, mild hybrid, che si vende a un prezzo che la classe media si può permettere, stiamo sui 100 grammi: quindi, con adeguati sussidi alla rottamazione, noi potremmo togliere dalle strade i vecchi rottami sostituendoli con una mild hybrid nuova, il che significa meno 70 grammi di CO2 al km per macchina, moltiplicato per una base di automobilisti enorme.

L’impatto sull’ambiente sarebbe subito molto forte per via di questi volumi. Scegliendo tale strada puoi continuare a lavorare sulle elettriche pure, guadagnando del tempo, per migliorare tecnologia e infrastrutture, con una transizione morbida. Perché non si fa? Per dogmatismo. L’opposto del pragmatismo. Non è alternativo all’elettrico, ma complementare. Ma non è ciò che l’Unione europea vuol sentire. Sono stato presidente dell’Acea per due anni, e per due anni ho parlato nel deserto…

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