Provvigioni dalle captive bank alle concessionarie: il caso dell’IVA

Avv. Paolo Vitali

di Paolo Vitali, partner dello studio Vitali e Associati

 

Negli ultimi mesi è stata attribuita una notevole attenzione all’attività di accertamento che l’Agenzia delle Entrate sta indirizzando alle concessionarie automobilistiche in relazione alla fatturazione delle provvigioni finanziarie da esse ricevute dalla captive bank collegata alla casa automobilistica mandante.

 

Il problema è molto diffuso quanto ormai noto: la casa madre propone alle concessionarie di cedere le autovetture praticando sconti alla clientela che conclude contratti di finanziamento con la captive bank. Quest’ultima corrisponde alla concessionaria, a fronte della promozione del finanziamento, una provvigione finanziaria che, in quanto tale, è esente da IVA. Senonché l’Agenzia delle Entrate qualifica tali provvigioni quali integrazione del prezzo dell’autovettura – venduta al cliente con un rilevante sconto – e non quale compenso della promozione del finanziamento, ovverosia una provvigione; di conseguenza ritiene l’operazione imponibile IVA e non esente.

 

L’impatto economico dell’IVA in tal modo pretesa, degli interessi e delle sanzioni è notevole e, per una concessionaria di medie dimensioni può giungere a pesare per varie centinaia di migliaia di euro annue. Questa constatazione economica conduce a valorizzare l’incidenza che il recupero dell’IVA a carico delle concessionarie finirebbe per avere sul rapporto contrattuale di concessione di vendita.

 

Una necessaria osservazione preliminare: il contratto di concessione è fortemente asimmetrico e vede la concessionaria in una posizione di soggezione, se non di dipendenza economica dalla casa madre. La concessionaria è tenuta, ad esempio, a garantire un certo volume di acquisti dalla casa madre e ha l’obbligo di avviare azioni promozionali e pubblicitarie aderendo alle direttive della casa madre. E dunque, può verificarsi il caso in cui la concessionaria, per raggiungere gli elevati obiettivi contrattuali di vendita imposti dalla casa madre, applichi sconti cercando di promuovere finanziamenti, in modo da poter fare affidamento sulle commissioni finanziarie che la captive bank liquiderà in suo favore.

 

Ma può verificarsi anche il caso in cui la casa madre imponga, anche mediante lanci di promozioni a livello nazionale, una certa scontistica alla clientela e pianifichi, in tale quadro, che il margine della concessionaria sia salvaguardato dall’erogazione delle provvigioni finanziarie da parte della captive bank, persino individuando il trattamento fiscale della fatturazione di tali provvigioni da parte della concessionaria, indicando l’esenzione dall’IVA.

 

Quindi possiamo trovarci dinanzi a casi in cui l’esenzione da IVA nella fatturazione tra concessionaria e captive bank sia prevista in una pianificazione della casa madre dalla quale la singola concessionaria non può discostarsi proprio a causa dei propri obblighi contrattuali. E qui si pone il problema: perché – stando alla tesi dell’Agenzia delle Entrate – tenuto alla fatturazione con IVA delle provvigioni finanziarie è la concessionaria e, quindi, l’illecito fiscale è della concessionaria ed è essa che sopporterà, in via diretta, le conseguenze in termini di IVA, interessi e sanzioni.

 

Una prima tutela deriva dalla legge: una volta pagati IVA, interessi e sanzioni, la concessionaria avrà diritto di rivalsa nei confronti della captive bank ex art. 60 d.p.r. n. 633/1972. In tal modo, sarà recuperata l’imposta. A suo carico, però, rimarranno interessi e sanzioni che – soprattutto se l’accertamento sopraggiunga ad anni di distanza – saranno di importo assai maggiore rispetto all’imposta stessa.

 

L’unico modo, per la concessionaria, di recuperare interessi e sanzioni sarà quello di far valere i propri diritti contrattuali in relazione a una condotta imposta dalla casa madre.

 

La difficoltà di tutela di una tale posizione dipende, di fatto, dalla preminenza della casa madre rispetto alla concessionaria; dal punto di vista giuridico, dipende dal carattere atipico del contratto di concessione. Non vi è una specifica disciplina di tale contratto e bisogna ricorrere alla disciplina generale del contratto oppure individuare una analogia tra la vicenda del rapporto contrattuale appena descritta con una fattispecie prevista per un contratto tipico. Non è in questa sede possibile addentrarsi in specificità tecnico-giuridiche. Si può comunque accennare che, sotto il primo profilo, il generale obbligo di buona fede potrebbe venire a rilevanza in quanto la casa mandante è tenuta a proteggere gli interessi della concessionaria nell’ambito di un proprio ragionevole sacrificio e, a maggior ragione, se l’illecito fiscale deriva da una propria direttiva.

 

Sotto il secondo profilo, invece, sussistono norme che disciplinano contratti tipici le quali prevedono che una parte debba indennizzare l’altra per i costi ed i danni nei quali incorra per adempiere il contratto. E queste norme potranno essere applicate per stabilire l’obbligo della casa madre o della captive bank, o di entrambe, a tenere indenne la concessionaria dalle azioni e dagli interessi sull’imposta.

 

Nel frattempo, comunque, la concessionaria non potrà che resistere alla pretesa dell’Agenzia delle Entrate – in effetti tutt’altro che fondata – per fare tutto il possibile per evitare di incorrere nell’esborso. Ciò al fine di evitare che la casa madre o la captive bank possano opporle, in tal modo evitando di tenerla indenne dagli esborsi di cui si è detto, di aver incautamente pagato o di non aver fatto tutto quanto possibile, secondo l’ordinaria diligenza, per evitare il danno.

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