di Andrea Cardinali, direttore generale di UNRAE
In vista del voto imminente del Parlamento Europeo sul Regolamento per le infrastrutture dei combustibili alternativi (AFIR), UNRAE – come l’Associazione dei costruttori europei ACEA – insiste nuovamente sulla necessità di accelerare lo sviluppo delle infrastrutture di
ricarica nel nostro Paese – cresciute nell’ultimo trimestre di circa duemila punti – e, soprattutto, la disponibilità di punti di ricarica veloce.
Il passaggio alla mobilità elettrica potrà avvenire su larga scala o se, come ripetiamo da tempo, sarà consentito agli automobilisti di poter ricaricare i propri veicoli con la stessa facilità e velocità con cui oggi lo fanno per i carburanti tradizionali, e se lo potranno fare
sia su strada, sia in aree private aperte al pubblico come i centri commerciali, sia in aree aziendali, sia infine nelle abitazioni private.
Riguardo a queste ultime, ben vengano gli incentivi previsti dal DPCM del 4 agosto, ai quali peraltro manca ancora il Decreto direttoriale per divenire operativi, ma la dotazione di 40 milioni – per giunta sottratti ai fondi per gli incentivi alle autovetture elettriche – corrisponde a soli 8mila condomìni su quasi 15 milioni di edifici in Italia. Insomma, una buona partenza, ma si tratta di
una goccia nel mare: serve di più.
L’Italia, dotata di una modesta disponibilità di punti di ricarica veloce specie in ambito autostradale, a fine giugno con 6,1 punti di ricarica contro la media europea di 8,2 punti per 100 km, risulta al 14° posto nel ranking europeo, alle spalle del Portogallo.
Occorre ribadire che questo è l’unico indicatore sensato nella fase attuale del mercato, ancora lontanissimo dalla sua maturità. L’elevato rapporto tra punti di ricarica e parco ECV circolante, che talvolta vediamo commentare paradossalmente come un vanto
nazionale, è dovuto unicamente alla esiguità del circolante, causata a sua volta proprio dalla insufficiente capillarità della rete.
Quando tutta la rete stradale sarà adeguatamente, e in modo omogeneo sul territorio, dotata di infrastrutture, solo allora vedremo le vendite dei veicoli elettrici allinearsi agli altri grandi mercati e il circolante potrà saturare le infrastrutture, come auspicano i cosiddetti “charging point operator”.
Altri indicatori di performance relativi ai punti di ricarica appaiono decisamente meno significativi, come il rapporto ai kmq di superficie del
territorio (ovviamente non percorribili), o poco indicativi, come il confronto con la popolazione (che non tiene conto del tasso di motorizzazione). Più senso avrebbe allora, in ottica prospettica alla luce degli sfidanti obiettivi di conversione dell’intero parco autovetture
oggi circolante, rapportare a quest’ultimo il numero di punti di ricarica: si riscontrerebbe un livello di infrastrutturazione ben peggiore degli altri grandi mercati, con l’eccezione della Spagna.