
di Andrea Taschini, manager automotive (dal magazine “Parts)
L’auto elettrica sta portando il settore automotive alla sua commodizzazione, con conseguenze gravissime sul tessuto industriale europeo perché occupa 13 milioni di addetti. Competere su un prodotto indifferenziato che per le sue caratteristiche verrà fabbricato quasi esclusivamente dalla Cina e non solo per questioni legate alle materie prime, sarà per le Case europee una missione che rasenta l’impossibile. L’ultima trimestrale di Tesla ne è la prova più tangibile. Bisogna che il legislatore ne prenda atto e legiferi di conseguenza, con urgenza e senza più alcuna esitazione.
I recenti e non certo lusinghieri risultati economici riportati da Tesla nell’ultimo quarter (un calo dell’utile netto del 44%), hanno sorpreso un po’ tutti gli analisti finanziari, ma non avrebbero dovuto cogliere impreparati gli addetti ai lavori del nostro settore. Le dichiarazioni di circostanza del sempre imprevedibile Elon Musk hanno poi espresso più chiaramente l’inedita visione dell’imprenditore sudafricano che ha delineato uno scenario futuro che non prevede risvolti favorevoli per l’automotive europeo e più nello specifico quelli riguardanti l’auto elettrica.
Poco importa se Musk arrampicandosi sui vetri, ha attaccato la politica monetaria attualmente in corso in occidente o più genericamente l’andamento dell’economia: è oramai più che evidente che i problemi che stanno attraversando la sua azienda sono di carattere strettamente strutturale e più specificatamente riguardano l’essenza stessa dell’auto elettrica, temi peraltro di cui abbiamo più volte parlato proprio su queste pagine.
La principale motivazione per cui Tesla ha quasi dimezzato l’utile, è proprio da ricercarsi nella guerra dei prezzi che l’azienda ha dovuto affrontare negli ultimi mesi con i produttori cinesi per non sacrificare i volumi necessari per la propria sostenibilità industriale. Non solo i produttori d’auto cinesi sono diventati più aggressivi in patria ma con la rapidità d’azione che li contraddistingue, hanno cominciato ad invadere territori in cui Tesla aveva un dominio incontrastato. Come è ben risaputo, abbassare i prezzi ha una ricaduta verticale senza più possibilità di recupero sui conti economici ed è probabilmente tra le tante possibili, la mossa più devastante che un’azienda possa compiere.
Musk incalzato dalle domande degli analisti, ha in seguito sottolineato che per affrontare la concorrenza asiatica sarà costretto ad abbassare i costi fino al 50%. Mission impossible dunque, tanto che ha poi aggiunto che allo stato di fatto, equivarrebbe a “scavare un tunnel con un cucchiaino”: dirlo è una cosa, poterlo fare, un’altra. L’attuale legislazione e più in generale le spinte mediatiche che vorrebbero imporre per legge l’auto elettrica, hanno aperto enormi problematiche in tutto il settore auto occidentale, esponendo inutilmente (le motivazioni ecologiche sono insussistenti) un comparto industriale che solo in Europa dà lavoro a 13 milioni di persone, a una concorrenza cinese non affrontabile sia per via dei costi sia per i parametri di preservazione ambientale che le imprese del Vecchio continente sono tenute a gestire.
Il livellamento percettivo dell’auto elettrica
Nell’ottobre del 2020 scrissi per “Parts” un articolo intitolato “Storie di ordinaria banalità” (lo trovate su Linkedin nel mio profilo sotto documenti) nel quale affrontavo il tema del livellamento verso il basso in cui l’auto elettrica avrebbe trascinato tutto il settore. Si sta evidenziando sempre più chiaramente infatti come la vettura a batteria si stia incanalando verso uno stato di commodizzazione accelerata che tradotto significa una guerra dei prezzi nella quale l’Europa non ha alcuna chance di vincere.
Le cause sono facilmente identificabili: la caratteristica più importante comunicata agli automobilisti riguarda l’autonomia della batteria; essendo un prodotto di elettronica, le peculiarità fondamentali riscontrabili nell’auto sono quelle dei software e sappiamo bene come essi siano prodotti già ampiamente commodizzati; l’aspetto esteriore dell’auto non ha quasi più rilevanza; i modelli disponibili sono sempre più standardizzati: ogni Casa auto ne possiede massimo 3/5; gli accessori per un upgrade della vettura perdono di rilevanza; il marchio di conseguenza ha sempre meno appeal e il prezzo diviene quindi l’unica leva attuabile.
Non c’è dunque da sorprendersi se è in atto un gigantesco switch di mercato tanto che marchi asiatici fino a poco tempo fa sconosciuti, stanno scalando le classifiche delle auto elettriche più vendute in tutto l’Occidente, relegando le Case auto europee a semplici comparse. Durante i primi otto mesi del 2023, nelle 20 top car sales plug in, solo 3 sono europee e ben 15 sono marchi cinesi fino a pochi mesi fa totalmente sconosciuti sulle strade d’Europa.
La perdita di appeal dei marchi europei
In uno scenario come quello prospettato l’aspetto più evidentemente grave consiste nella perdita di attrattività dei marchi europei che costituiscono un asset fondamentale dell’economia del Vecchio continente. Non avere compreso che l’auto elettrica avrebbe, per dirla con Nietzsche, “trasvalutato tutti i valori”, è stato il più grave degli errori di sottovalutazione dei manager delle Case auto ma soprattutto della politica dell’Unione.
Quando si toglie valore e differenziazione a un prodotto, non rimane altro che la leva del prezzo. Avere a disposizione solo pochi modelli indifferenziati come nel caso di Tesla, solo per raggiungere il massimo dell’efficienza industriale, si impedisce alla politica di pricing quei movimenti fondamentali che permettono di “marginare” sulle proprie specificità.
Dato che tutto il resto è equivalente, l’automobilista che acquista un’auto elettrica, oramai è solo interessato all’autonomia che la batteria gli può offrire ed è già risaputo di come esse siano una prerogativa quasi esclusivamente del Made in China. Non c’è quindi da sorprendersi se le Case auto europee saranno escluse dal mercato delle elettriche, perché tutto il sistema valoriale su cui esse si basavano, è stato sovvertito e a oggi i margini di manovra per un recupero appaiono flebili per non dire praticamente inesistenti. Un tremendo autogol che nonostante ciò che si racconta, non darà al settore alcuno spazio di riconversione.
Quali le vie d’uscita
Tardivi ripensamenti si stanno susseguendo tra i più accreditati protagonisti dell’automotive anche in senso più ampio, talvolta con tratti ondivaghi tra l’incredulo e il rassegnato. Non vi è alcun dubbio che disfare la matassa legislativa che ha causato tutto questo pasticcio in un settore così portante per l’intera economia non sarà affatto facile, ma il legislatore dovrà avere il coraggio di prendere atto dell’impossibilità di risolvere questioni fondamentali, come quello dell’approvvigionamento delle materie prime e dei costi industriali e di trarne le dovute conclusioni.
Bisogna a volte avere l’umiltà di riconoscere i propri errori soprattutto se coinvolgono milioni di persone, fermarsi un attimo e ripercorrere a ritroso i propri passi per imboccare una strada più consona che preservi il lavoro, l’industria e il benessere dei cittadini che si ha l’onore di rappresentare.