L’Italia e l’auto elettrica: c’è una resistenza quasi ideologica

di Francesco Naso, segretario generale di Motus-E

Lo scorso mese di settembre ha confermato l’anomalia italiana sulle auto elettriche. Ma perché il nostro Paese sta perdendo il treno degli altri big europei? Ci sono più cause su cui è urgente aprire un confronto. Sicuramente il sistema di incentivi ereditato dai precedenti Governi non funziona, ma sono sufficienti pochi aggiustamenti a parità di risorse per renderlo più efficace: alzare il “cap” di prezzo per accedere alle agevolazioni, estenderle in forma integrale ad aziende e noleggi – anche per alimentare il mercato dell’usato – e rivedere in chiave green la fiscalità sulle flotte.

Agire sui bonus, tuttavia, è una condizione necessaria ma non sufficiente per recuperare. È utile per farsi un’idea osservare anche la correlazione tra le immatricolazioni elettriche e variabili come la diffusione delle colonnine o il reddito medio della popolazione. L’Italia ha una rete di ricarica più densa rispetto ai competitor in rapporto alle BEV circolanti e dall’incrocio dei dati di mercato con le rilevazioni Istat e OCSE sui redditi emergono evidenze interessanti. Colpisce, ad esempio, il confronto tra Nord Italia e Francia, che pur a fronte di redditi medi paragonabili mostrano market share dell’elettrico molto diverse (4% vs 15,4% negli 8 mesi).

In Italia si è innescata una resistenza quasi ideologica all’elettrico, figlia di informazioni fuorvianti e di incertezza sul quadro normativo. In un panorama globale chiaramente rivolto alla mobilità elettrica, rimanere indietro può essere fatale per l’industria nazionale. Per questo è indispensabile che il dibattito su questi temi segua direttrici economiche, scientifiche e sociali, senza deragliare sotto la spinta di falsi miti che rischiano di causare un danno incalcolabile al Paese.

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