Elettrico, eco-carburanti: Timmermans nel panico fa lo scaricabarile

Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione Ue e “papà” del piano che prevede il «tutto elettrico» dal 2035, in questi giorni è alle prese con una ipocrita serie di retromarce tattiche, cercando di scaricare sulle Case automobilistiche la decisione di puntare sull’elettrico o sui motori «green» a combustione interna, quelli destinati a utilizzare i gli eco-carburanti – gli stessi che sarebbero stato banditi secondo il progetto iniziale – a patto che si arrivi alle zero emissioni di CO2.

 

Timmermans, in Italia nei giorni scorsi, ha affrontato questi temi in alcune interviste (“TG24” e “La Repubblica”), ma senza che chi stava dall’altra parte gli chiedesse spiegazioni sul cambio di rotta, fatto passare per normale, cioè di voler affidare alle Case costruttrici, costrette da tempo a investire montagne di soldi sull’elettrico, la scelta delle tecnologie migliori. Una puntualizzazione gravemente tardivaDi fatto, è l’effetto del vento contrario che deriva dalla dura posizione presa dall’Italia, insieme ad altri Paesi, sull’obbligo di produrre e vendere solo auto elettriche, decretando così la fine delle motorizzazioni endotermiche, riconosciuto fiore all’occhiello dell’industria automotive europea. Il tentativo, ora, è di girare la frittata facendo passare opposizioni e critici per allocchi.

 

A questo punto, le affermazioni di Timmermans non fanno altro che generare ancora più incertezza e confusione. Il classico scaricabarile nella consapevolezza che gli attuali decisori Ue rischiano non poco, in occasione del prossimo voto sul piano, dopo il recente rinvio determinato dai Paesi “ribelli”, di uscirne con le ossa rotta, visto anche che nel 2024 ci saranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo con la possibilità che cambi l’orientamento politico attuale, basato sulla demagogia e sull’ideologia.

 

Insomma, a Bruxelles si comincia a riconoscere che la politica fin qui adottata porterà l’Europa in un pericolosissimo “cul de sac”, favorendo i concorrenti cinesi insieme alla sempre maggiore dipendenza asiatica per le materie prime, nonché lo spettro della desertificazione industriale. 

 

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