“Dialogo Strategico” di Ursula: chiamati gli ambientalisti e non i concessionari, uno scandalo

Decarbonizzazione: il nostro appoggio al "Non Paper" del Governo
di Massimo Artusi, presidente Federauto
 
Ci troviamo in un momento decisivo per il futuro dell’automotive italiano ed europeo. Il dibattito sulla decarbonizzazione dei trasporti in atto all’interno delle istituzioni europee è segnato da due connotati: uno scontro durissimo tra i fautori del full electric e tra coloro che sostengono il mix di vettori energetici. Lo confermano – da ultimo – le recenti notizie riportate dal quotidiano olandese “De Telegraaf”. Quindi, il principale obiettivo di questa contrapposizione è la conquista del mercato delle automobili, o per alcuni il suo azzeramento, che per numeri e fatturati, sovrasta gli altri comparti del trasporto stradale.
 
Basti ricordare che Il rapporto tra autovetture e autocarri pesanti, in Italia, è schiacciante. Nel 2023 sono state immatricolate circa un milione e mezzo di autovetture contro quasi 29mila autocarri sopra le 3,5 ton. Il rapporto quindi, in Italia, è di 54 a 1. Con queste proporzioni in campo, la voce della filiera dell’autotrasporto giunge ai decisori più flebile di quella della filiera dell’automobile. Eppure, i problemi del camion – e dei suoi utilizzatori – sono diversi da quelli dell’automobile e l’approccio, qualunque sia il tema, non può essere lo stesso per entrambi i comparti. C’è un solo momento – ed è il più significativo – che accumuna questi due segmenti dell’automotive: il gradimento di un cliente, quindi, il mercato.
 
Oggi è la voce del mercato – di tutto il mercato, auto e camion compresi – che vuole giungere chiara e forte ai decisori. E chi meglio dei concessionari, abituati ad averne la responsabilità, può esprimere il sentimento del mercato? In Italia siamo più di mille, tutte imprese a capitale familiare di piccola media e grande dimensione che occupano oltre 90 mila dipendenti e un fatturato di 45 miliardi l’anno. Un centinaio di noi si occupa di mezzi pesanti. Tutti siamo rappresentati da Federauto e abbiamo tre caratteristiche peculiari: capillarità territoriale; capacità di interpretare tendenze, desideri e necessità del cliente; vocazione a crescere e a investire per la soddisfazione del cliente Il mercato parla chiaro, a chi sa leggere.
 
Chi proclama che i camion elettrici – compresi i plug-in – sopra le 3,5 tonnellate immatricolati nel 2024 sono aumentati del 115,2%, nasconde che questa percentuale corrisponde a soli 114 veicoli in più rispetto al 2023 e che i 213 immatricolati nel 2024 sono lo 0,7% del totale delle immatricolazioni del segmento. Per di più, questa piccola quota è concentrata nella fascia più bassa di peso. Sopra le 5 tonnellate i veicoli elettrici immatricolati lo scorso anno sono stati 43: lo 0,15% (3 ogni 2000 veicoli). Questo non è un mercato, è un deserto. Non siamo lontani dagli obiettivi indicati: siamo distanti anni luce!
 
Per di più, non stiamo parlando di privati che hanno prevalentemente motivazioni d’acquisto personali, ma di imprese per le quali il camion è lo strumento di lavoro. L’acquisto è una fase di un investimento che rientra in una programmazione d’impresa. Un investimento orientato dal Total Cost of Ownership (TCO) specifico di ciascuna impresa che non si ferma al costo del veicolo, ma mette nel conto economico anche tutto il suo processo di vita. Questo cliente oggi è perplesso, confuso, intimorito. Prezzi d’acquisto e di esercizio troppo elevati, incentivi incerti nella durata e farraginosi nell’erogazione, impianti di ricarica fast insufficienti (al 30 settembre scorso in Italia solo 3.566 sopra i 150 kW, non è dato sapere quanti funzionanti e connessi), tempi di rifornimento lunghi, autonomia inadatta alla natura dei viaggi generalmente variabili, necessità di attrezzature proprietarie per le ricariche, tra l’altro, estremante costose, obsolescenza prematura.
 
E i clienti responsabili, per andare sul sicuro, comprano i veicoli disponibili, nuovi o usati, con motori termici a bassissimo impatto di inquinanti e climalteranti. Questo scenario non può non far parte del “Dialogo strategico” sull’automotive che la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen ha aperto proprio in questi giorni per rispondere al “grido di dolore” che arriva a Bruxelles dalla filiera. Purtroppo, a questo “Dialogo” sono stati invitati i costruttori – ed è giusto – i ricambisti e fornitori – ed è giusto anche questo – e può essere anche giusto coinvolgere anche chi produce le colonnine elettriche. Ma che partecipino al «Dialogo», associazioni come Transport&Environment e non le reti concessionarie è uno scandalo che conferma il dirigismo, la miopia e una indifferenza al mercato che non ha parole per essere definita.
 
A questo “Dialogo”, tuttavia, Federauto vuole contribuire chiedendo alle nuove istituzioni europee un cambiamento di linea basato su tre punti: E+eliminazione delle multe alle case costruttrici; anticipo al 2025 della verifica prevista dal regolamento CO2; approccio basato sulla neutralità tecnologica per la decarbonizzazione dei trasporti.  Esaminiamo questi tre punti. Le multe si presentano come uno tsunami che si sta per abbattere sui produttori. I Regolamenti comunitari impongono già da quest’anno alle case – sia per le automobili che per i mezzi commerciali leggeri e pesanti anche se con parametri diversi- di rispettare percentuali di riduzione delle emissioni di CO2 dei veicoli immatricolati, sotto pena di pesanti sanzioni commisurate al superamento della quota stabilita, che varia a seconda del tipo di veicolo immatricolato.
 
Si tratta di quote palesemente irraggiungibili, che secondo le prime stime potrebbero far ammontare il totale delle multe a 15 miliardi di euro, un costo insostenibile per un settore il cui mercato vivacchia in uno stato larvale (specialmente in Italia, dove è sempre più urgente la revisione della politica fiscale dell’auto per allinearsi a quella degli altri Paesi europei acconsentendo la fine della stagione degli Ecobonus), che finirebbe inevitabilmente per ricadere sui concessionari, ma soprattutto sui clienti, rischiando di provocare una crisi di sistema. Per evitare di pagare queste pesanti sanzioni c’è chi chiede alla Commissione europea incentivi più massicci, ma l’Unione è ancora esitante, ci vorrà tempo e sarebbe a carico della collettività;  c’è chi acquista quote ETS da produttori cinesi (o americani?),  ma in questo modo si finanzia e si rinforza la concorrenza più agguerrita, certo non si rinforza la nostra industria continentale; c’è chi preme sui concessionari per far acquistare da loro veicoli elettrici, ma può essere una misura solo episodica e temporanea;  c’è chi sta riducendo la produzione di veicoli termici,  ma così si rinuncia a vendere i veicoli che hanno più diffusione e si accentua la crisi-
 
Federauto, responsabile della distribuzione e assistenza dei veicoli per i costruttori, è pronta ad affiancare le case nella richiesta di eliminazione delle multe, ma per essere forte questa richiesta dovrebbe essere unitaria e partire dalla realtà del mercato Secondo punto. Il Regolamento CO2 impone alla Commissione Europea di effettuare una verifica sull’efficacia delle misure ed eventualmente di proporre una loro modifica. Il governo italiano, con il “Non Paper” del ministro Adolfo Urso, ha chiesto l’anticipo di tale revisione al 2025. Sette stati membri si sono detti subito d’accordo, mentre altri hanno aperto a questa ipotesi. Un solo anno, per un’industria può voler dire vivere o morire.
 
Alla luce dell’attuale stato fallimentare del complesso dei regolamenti, perché non anticiparne la revisione anche alla luce della decisione della nuova amministrazione americana, che ha revocato proprio in questi giorni le norme sugli standard per la riduzione dei consumi di carburante? Per quanto riguarda l’autotrasporto, tuttavia, va ricordato che non c’è neppure bisogno di anticipare il check. Lo stesso Regolamento già prevede una verifica sulla possibilità di impiego dei biocarburanti sui veicoli pesanti entro il 2025. È un’opportunità da non perdere perché permetterebbe di adottare un Carbon Correction Factor (CCF) adeguato a stimolare una reale neutralità tecnologica e non – come è stato finora – un compromesso di facciata.
 
Terzo punto. La neutralità tecnologica, oltre che dal governo italiano, è stato sollecitato dall’ultimo Rapporto Draghi, e – alla fine dello scorso anno – dai presidenti delle Confindustria di Germania, Italia e Francia. Neutralità che dovrebbe essere garantita attraverso TUTTI i numerosi regolamenti che compongo il puzzle del “Green Deal”. Immergendoci in questo scenario, tuttavia, non dobbiamo fare l’errore di sottostimare il presente. Il programma utopistico imposto dall’Europa, concentrando attenzione, sforzi e investimenti su un traguardo lontano (il 2035), trascura la decarbonizzazione e la riduzione dell’impatto di gas a effetto serra che già oggi potrebbe essere ottenuta sostenendo i biocarburanti. Ciò è tanto più valido per i veicoli sopra le 3,5 ton. che hanno un’età media di 14,5 anni e per il 48% sono di una classe inferiore a Euro 4. È su questo parco, così obsoleto, inquinante e pericoloso che dovrebbero indirizzarsi fin da oggi interventi pubblici massicci, incentivi costanti e agevolazioni normative. Incentivi che sono soldi di tutti e devono essere impiegati per sostenere il mercato di tutti, non per creare un mercato per nessuno. 
Foto-Massimo Artusi Federauto © Francesco Vignali Photography
 

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