Marziani UE + Elettrico + Euro 7 = auto e camion nel caos

A Bruxelles, a comandare, ci sono dei veri “marziani”. Non contenti di aver imposto per il 2035 il “tutti in elettrico”, costringendo i costruttori di vetture a imponenti investimenti, diciamola tutta, alla cieca, viste le incertezze che permangono su questa scelta e le velocità diverse in cui procedono i vari Paesi in quella direzione, ecco piombare sul settore – e di riflesso sui consumatori – la tegola Euro 7.

I nuovi severissimi standard sui limiti alle emissioni inquinanti saranno in vigore dal primo luglio 2025, per auto e furgoni, e dal primo luglio 2027, per bus e mezzi pesanti. Limiti molto ma molto ambiziosi da raggiungere in tempi fuori dalle più elementari logiche che – se confermati – costringeranno i costruttori a rivedere le strategie di investimento, proprio quello che il comparto sperava di non dover fare.

Siamo al paradosso: da una parte, la Commissione UE spinge per la sola mobilità elettrica; dall’altra, impone di rivedere, attraverso i nuovi standard Euro 7, tutti i limiti inquinanti delle attuali motorizzazioni. Ma come? Si chiedono a giusta ragione i capi dei colossi automobilistici e dei veicoli industriali? Devo stanziare altri miliardi e miliardi per l’Euro 7 quando so già, se le cose non dovessero cambiare, che dopo qualche anno i veicoli con tale omologazione non potranno essere più prodotti e venduti. Dei veri geni della coerenza. Intanto, per le auto si prevede già da ora un impatto tra i 90 e i 150 euro sui costi di listino e intorno ai 2.600 euro per bus e camion. Che si aggiungono ai rincari determinati dall’innalzamento dei costi energetici e dalla scarsità dei semiconduttori sul mercato.

 

Ancora una volta, Bruxelles non ha voluto ascoltare le istanze dei costruttori, un po’ il concetto espresso poco tempo fa da Carlos Tavares, ad di Stellantis, che proprio per questa ragione (l’essere ignorati dalla politica) ha deciso di uscire da ACEA, l’Associazione europea delle Case automobilistiche, ridotta ormai a lamentarsi di situazione ormai avviate, come ha fatto il presidente Oliver Zipse che ha palesato le sue serie preoccupazioni, precisando che “l’industria automobilistica prende molto seriamente il suo ruolo di ridurre sia la CO2 sia le emissioni inquinanti, ma purtroppo, il beneficio ambientale della proposta della Commissione è molto limitato, mentre aumenta pesantemente il costo dei veicoli”.

Una nuova mossa, quella dei “marziani” di Bruxelles, che rischia di indebolire ulteriormente l’industria dell’auto europea, costretta a ripensare i suoi piani con, alla fine, il pericolo di rallentare l’innovazione verso l’auto elettrica, a tutto vantaggio dei concorrenti cinesi dalle mani libere e da un potenziale economico senza pari. Quindi, grazie a Ursula (von der Leyen), Frans (Timmermans), Jan (Huitema) & compagnia cantante per continuare a remare contro gli interessi europei. E grazie anche dai consumatori che saranno sempre più discriminati dai prezzi delle vetture. Non bastava l’auto elettrica…

COP27: verso i soliti bla, bla, bla. E i grandi inquinatori restano a casa

Ci risiamo con i soliti bla, bla, bla che si preannunciano ancora una volta infruttuosi e viziati dall’ideologia e non da concretezza e pragmatismo. A Sharm el-Sheikh, i partecipanti al COP27, tanto per dare un esempio “virtuoso”, hanno raggiunto la località balneare egiziana su 400 aerei privati, contribuendo così, anche in questo caso, a far crescere la presenza di CO2 nell’aria. Complimenti.

 

Assenti pesantissimi sono i grandi imputati del surriscaldamento terrestre: Cina, in primis, India e Russia, che oltre oltre a essere i Paesi più climalteranti, sono anche quelli più inquinanti del Pianeta. C’è, invece, in forze, l’Europa che, nonostante le ridotte emissioni rispetto anche agli Stati Uniti, sta facendo di tutto per fare harakiri, uccidendo gradualmente la sua industria fiore all’occhiello, quella automotive, e aprendo le porte, invece di porli davanti alle loro responsabilità ambientali, ai cinesi.

 

Un’altra assenza che non passa inosservata è quella di Greta Thunberg. Questo il suo messaggio delirante: “Non è un evento pensato per cambiare tutto il sistema, ma semplicemente per incoraggiare un progresso graduale”, come a dire che si deve tutti tornare all’Età della pietra. Nel frattempo, chi la segue va in giro a imbrattare opere d’arte nei musei e a bloccare il traffico come accade in questi giorni alle porte di Roma. Un modo più che mai “gretino” per protestare contro il cambiamento climatico.

 

Avanzo una proposta agli organizzatori del COP27 che da anni e anni lanciano allarmi su allarmi senza risolvere alcunché: il prossimo vertice lo si faccia a Pechino, il successivo a New Delhi e il successivo ancora, sperando che la guerra contro l’Ucraina sia terminata, a Mosca. Avranno il coraggio i nostri prodi di fare questo passo? Avrà il coraggio la paladina Greta di mandare al diavolo i leader di quei Paesi in casa propria? Avranno il coraggio gli scriteriati imbrattatori di tele di fare altrettanto al Mausoleo di Mao e al Museo Hermitage di San Pietroburgo? Un esempio per tutti: la Cina emette oltre un terzo delle emissioni globali di CO2.

 

Insomma, prepariamoci a nuovi annunci e buoni propositi che finiranno ancora una volta per ricadere sulle spalle della popolazione europea, ma lasciando i veri colpevoli dell’allarme sul clima di continuare a fare i loro comodi, per di più stendendo – come accade in Europa nei confronti della Cina – un pericolosissimo tappeto (guarda caso) rosso.

 

 

 

 

#FORUMAutoMotive tra nuovo Governo e follie UE: noi sempre dalla parte del buonsenso

Personalmente nutro fiducia in questo Governo a guida Giorgia Meloni: non vedo ideologie, si guarda alla realtà dei fatti sui vari problemi e temi aperti, mentre sul fronte della transizione ecologica la posizione assunta è basata sulla consapevolezza che, relativamente alle volontà UE di “elettrizzare” il mondo automotive dal 2035, si mette in atto un vero harakiri mandando al macero know how europeo e posti di lavoro. Insomma, un salto nel buio.

Tornando al Governo che si è appena insediato, un altro fattore positivo riguarda l’utilizzo, per gli spostamenti, soprattutto di vetture italiane, dalla Fiat 500X all’Alfa Romeo Giulia. Un segnale importante di valorizzazione del “made in Italy”, anche se non è che da un giorno all’altro si può fare a meno delle tradizionali berline tedesche da anni protagoniste quasi assolute. Ma è un primo passo. Non mi sembra che il cancelliere tedesco o il presidente francese siano soliti “tradire” i rispettivi “made in… ” a favore di una Maserati Quattroporte. E lo stesso vale per i reali inglesi e l’inquilino di turno al numero 10 di Downing Street, legatissimi ai marchi luxury del proprio Paese.

 

Fin qui alcune note che fanno ben sperare, a cui si unisce l’edizione autunnale, seconda di questo 2022, del nostro #FORUMAutoMotive. Ebbene, è stato un successo di partecipazione, contenuti, dibattiti e pubblico (sala adibita a studio tv dell’hotel Enterprise di Milano piena, tanti i collegamenti da Facebook per la diretta e tante le interazioni sui social di cui vi daremo conto).

 

Del resto non poteva che essere così, visti i temi trattati, più che mai legati alla situazione del momento, tra attacco dell’auto cinese all’Europa (problema deflagrato proprio nei giorni di #FORUMAutoMotive), riserve fortissime sul “tutti in elettrico” dal 2035 (e proprio all’indomani dell’evento è arrivato l’accordo fra il “Trilogo” UE che conferma questa scelta che ho sempre definito demagogica e in scia al “gretinismo”) senza dimenticare l’intervento in diretta da Lussemburgo del neo ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, che oltre a salutare la platea e i relatori, ha ribadito la linea di Governo per una democratizzazione della mobilità e di svolta sul fronte degli approvvigionamenti energetici. Pichetto, anche nel suo precedente ruolo di viceministro dello Sviluppo economico, si è dimostrato molto vicino alla filiera italiana automotive.

 

Insomma, la sfera di cristallo che avevamo scrutato all’inizio dell’estate per predisporre i temi della tappa autunnale di #FORUMAutoMotive ci è stata ancora una volta amica e ci auguriamo che lo sia ancora anche nel 2023. Intanto, seguiteci sempre, abbiamo bisogno del vostro sostegno e della vostra amicizia.

 

 

Salone di Parigi: lo sfogo di Tavares e gli allarmi di #FORUMAutoMotive

Sarà perché si avvicina, anche se manca qualche anno, l’età della pensione (c’è chi dice, come ho riportato sul “Giornale” che Luca De Meo, capo di Renault, potrebbe essere tra i candidati a prendere il suo posto,) sarà perché il top manager che ha dato forma a Stellantis vuole dimostrare che l’uscita da ACEA, l’Associazione europea dei costruttori di auto, è veramente dettata dall’atteggiamento passivo di quest’ultima.

 

Ebbene, sarà per queste e altre cose, che al Salone di Parigi, nello stesso giorno della visita del presidente francese Emmanuel Macron, Tavares ha sparato a zero sui piani “green” dell’Unione europea e sul fatto che il Vecchio continente ha di fatto aperto, senza muovere un dito, le porte ai “big” dell’auto cinesi, mettendo così ancora più a rischio il settore del nostro Continente.

 

Tavares, insomma, si è tolto dei macigni dalle scarpe, si è sfogato e fa piacere che il top manager portoghese abbia ripetuto, dalla sua autorevolezza e competenza, concetti che noi di #FORUMAutoMotive ribadiamo da tempo, tra i primissimi – e non vogliamo peccare di presunzione – a lanciare una serie di allarmi fin dal periodo pre pandemia.

 

In pratica, tutti i temi che affronteremo il 24 e 25 ottobre nei nostri appuntamenti “live” di #FORUMAutoMotive, sono stati toccati dal numero uno di Stellantis. Cosa ha detto? Ecco: “In Europa si fanno politiche che stanno uccidendo il futuro della mobilità e la decisione dogmatica di vendere solo auto elettriche nel 2035 ha conseguenze sociali ingestibili“; “La normativa Euro 7 per i motori endotermici è da cancellare in quanto richiede energie e risorse da destinare invece all’elettrico; un nuovo step al 2027/2028 non ha infatti senso se si punta sul tutto elettrico. Occorre pragmatismo”; “Non c’è motivo che si renda l’accesso al mercato europeo facile per i costruttori cinesi senza avere in cambio il contrario“; “Sulla mobilità elettrica i leader politici non dovrebbero prendere decisioni scientifiche, ma bisogna garantire alla classe media di poter comprare un’auto. Vanno ridotti i costi dell’elettrico, chiedendo per questo sostegno che va dato anche per resistere alla concorrenza cinese. E ci vogliono incentivi per le vetture ibride“.

 

Insomma, la sfera di cristallo e il nostro pragmatismo ci stanno dando ragione. Da qui ai prossimi mesi ne vedremo delle belle.

“Vaielettrico” mi accusa? Orgoglioso del mio buon senso

“Vaielettrico” scrive e mi cita: “Il partito che esulta se l’elettrico non si vende. In Italia ha molti proseliti, chissà perché, e uno dei più accesi è il direttore di ACI Radio, Pierluigi Bonora…”.

 

Conosco Mauro Tedeschini da diversi anni, un rapporto di amicizia che si è consolidato soprattutto all’epoca della sua direzione di “Quattroruote”. Mi sorprende, ma allo stesso mi fa piacere – in quanto significa che ho colpito nel segno e ho sollevato un problema reale – che per la seconda volta in pochi mesi mi citi tra i più accesi sostenitori di una sorta di partito che esulta se l’auto elettrica non si vende. È quanto riporta Tedeschini su “Vaielettrico”, megafono, quindi chiaramente di parte, della potente lobby della mobilità elettrica, annessi e connessi. Mi si accusa di esultare, dunque, perché a settembre le vendite di auto elettriche sono crollate del 40% nonostante i congrui ecobonus ancora disponibili e inutilizzati.

Caro Mauro, è la realtà dei fatti, nulla più. E quanto ho riportato nella sezione Economia de “il Giornale” (nelle pagine dedicate ai Motori, preciso, trattiamo sempre e con imparzialità le novità Bev, senza censure, ci mancherebbe), a commento del mercato italiano di settembre, rispecchia la tendenza in atto: il consumatore, a cui spetta l’ultima parola, sta chiaramente indicando gli orientamenti alla base della situazione socio-economica in cui ci si trova, cioè di estrema incertezza e preoccupazione.

Io guardo alla realtà dei fatti e non accetto imposizioni ideologiche come sta avvenendo per la mobilità delle persone. Mi sta bene l’auto elettrica come mi stanno bene le altre soluzioni “green” disponibili. Sono per una politica veramente democratica, che rispecchi le esigenze ambientali, economiche e soprattutto sociali anche in questo ambito.


Dico solo che è necessario rivedere scelte dettate dal “non buon senso” perché il mondo sta cambiando, purtroppo in peggio, e l’Italia sta pagando le NON politiche energetiche e industriali del recente passato. Per non parlare dei listini inavvicinabili (lasciando da parte tutti gli altri problemi, tra infrastrutture, materie prime, cinesi alle porte, ecc) di un’offerta elettrica che diventa sempre più “premium”, a dispetto di una mobilità un tempo pensata per essere a misura d’uomo e di città.


Mi spiace notare che “Vaielettrico” continui a procedere con il paraocchi, scambiando ogni intervento non in linea con la propria visione come un attacco strumentale.

Caro Mauro, bisogna fare i conti con la realtà. È la realtà, oggi, è questa. Altro che festeggiare sulle testate con cui collaboro, come scrivi: qui c’è da mettersi a lavorare seriamente sull’oggi e sul futuro prossimo. Al nuovo Governo il messaggio riguarda l’auspicio che lavori all’insegna del pragmatismo. E lo stesso vale per il futuro Europarlamento dopo le elezioni del 2024 e in vista della revisione del “Fit for 55” prevista nel 2026. Sicuramente non sono allergico al buon senso.

Elettriche in caduta libera: decide il mercato, non la politica

Cosa succede all’auto elettrica? Nonostante i fondi residui come incentivi (al 6 ottobre scorso poco meno di 164 milioni per le elettriche pure e oltre 192 milioni per le ibride con spina, a fronte del «tutto esaurito» da tempo dei sostegni per le alimentazioni tradizionali) è chiaro che a impattare sulle scelte dei consumatori restano i timori legati alle bollette; i listini sempre elevati anche a causa di un’offerta prevalentemente premium e lontana dalle capacità reali di spesa; la carenza di colonnine di ricarica elettrica; e le incertezze politiche ed economiche che si ripercuotono sul mercato.

E così si presenta questo significativo scenario. In settembre guizzo di benzina (+15,6%) e Diesel (+6,4%); bene le ibride senza spina (+23,6); crolla invece la richiesta di elettriche (-40,2%) ed è in calo anche quella delle ibride con spina (-29,1%). A questo punto si delinea, alle porte di un periodo dell’anno che si prospetta difficilissimo, l’orientamento degli italiani nel momento in cui hanno concluso (nonostante la scarsa disponibilità di modelli) l’acquisto di un nuovo veicolo. Un mercato, quello del mese scorso, che per il secondo mese consecutivo segna una crescita (+5,4%), ma che da inizio anno continua a essere in sofferenza (-16,3%).

Ha dunque ragione Gian Primo Quagliano, presidente del Centro studi Promotor, quando afferma che “i numeri dimostrano chiaramente come i percettori di redditi bassi non possono permettersi soluzioni ecologiche avanzate”. Una chiara risposta anche alle imposizioni di una politica, soprattutto a livello UE, preda di dannose ideologie e priva di buon senso.

A entrare in gioco, inoltre, sono anche i divieti di accesso alle città (il caso Milano, fa scuola) anche per i veicoli di recente omologazione. L’obbligo, sempre nella Milano del sindaco “radical-chic” Beppe Sala, di far pagare il ticket per l’Area C anche alle auto ibride senza spina, con emissioni sopra i 100 grammi per chilometro di CO2, potrebbe spingere i consumatori a evitare un segmento che riscontra dati in crescita. E per il mercato sarebbe un ulteriore duro colpo.

 

Elettrico e 120mila posti a rischio: ora una sterzata verso il buon senso

Prima oltre 70mila, da fonti ANFIA, ora fino a 120mila, come denuncia il sindacato UILM guidato da Rocco Palombella in occasione del suo congresso generale. Si accavallano gli allarmi sulla tenuta del sistema occupazionale dell’industria automotive italiana. E ha ben ragione il segretario generale Palombella a sottolineare come “la mancanza di determinazione e consapevolezza dei governi italiani che si sono avvicendati negli ultimi anni, in quanto la transizione ecologica non si fa dall’oggi al domani, non sarà indolore e le risorse messe a disposizione non saranno sufficienti”.

 

La nuova conta che porta 120mila gli occupati aderiva da un attento studio a cura di EStà, onlus no profit che si occupa di sostenibilità ed economia, secondo cui “il settore automotive sarà quello più impattato dalla transizione ecologica con il passaggio dal motore endotermico a quello elettrico”. Del resto un veicolo tradizionale con motore endotermico è composto da 7mila componenti, mentre uno elettrico arriva ad averne un massimo di 3.500/4mila. A questo punto il 40-45% degli occupati italiani, ovvero tra i 110 e i 120mila lavoratori, saranno impattati dal passaggio all’elettrico. Circa 59mila necessiteranno di corsi di aggiornamento volti al ricollocamento, possibilmente all’interno dello stesso settore di partenza, mentre almeno 52mila addetti dovranno riqualificare le proprie competenze al fine di sviluppare un profilo tutto nuovo, all’interno o anche all’esterno del comparto di riferimento. Infine, 9mila persone sono attese da una formazione volta all’aggiornamento all’interno del proprio profilo professionale.

 

L’auspicio, ora, è che il Governo in via di formazione dia subito un segnale di svolta e cambiamento, assegnando una priorità all’equilibrio tra sostenibilità “green” e sostenibilità sociale. I tempi sono strettissimi, ma il coraggio di dare una sterzata in direzione del buon senso e contro la maledetta ideologia che ha dominato in tutti i questi anni, può risultare determinante. Un’azione del genere rappresenterebbe un esempio per gli altri Paesi dell’UE e, soprattutto, un segnale contrario forte a una Commissione europea totalmente allo sbando.

 

Futuro Governo e automotive: svolta in vista, stop all’ideologia

Sì a un mondo più green, ma allo stesso tempo attraverso azioni e investimenti che tutelino la sostenibilità sociale. È la linea che il futuro Governo italiano guidato da Giorgia Meloni potrebbe seguire con riferimento specifico al settore automotive, vittima ormai da anni di speculazioni ideologiche che al primo vero ostacolo (prima la pandemia, ma ora soprattutto il caos energetico e le bollette caratterizzate da costi insostenibili) avrebbe fatto i conti con la cruda realtà. Come è accaduto e come sta accadendo.

 

Decisioni destinate a segnare il futuro necessitano di visioni a lungo e non a corto raggio, tenendo attentamente conto delle tante variabili che possono capitare (ed è capitato nel modo più pesante che ci si potesse aspettare). Basarsi sull’ideologia e sulle pressioni interessate affinché il mondo dei trasporti imbocchi un’unica strada, quella dell’elettrico, oltre a essere anti democratico è azzardato e soprattutto rischioso. E così i nodi sono venuti al pettine.

 

Cosa farà, a questo punto, il futuro Governo italiano? Potrebbe impuntarsi, cercando sponde in altri Paesi, affinché a livello Ue venga rispettate il principio della neutralità tecnologica, ovvero di prendere in considerazione tutte le opzioni “green” sul mercato: elettrico, ibrido, ma anche carburanti sintetici, biocarburanti fino all’idrogeno. È una visione, questa, più volte espressa da Geronimo La Russa, presidente di Aci Milano, che trova riscontro anche nelle richieste che le associazioni di categoria (Anfia, per la filiera italiana; Unrae, per le Case automobilistiche estere; Federauto, per i concessionari) portano avanti da tempo e rivolte sia al Governo sia a una Commissione Ue fortemente condizionata dalle lobby ambientaliste più radicali e da quelle dell’elettrico.

 

Con l’aggravarsi della crisi energetica, i costruttori a caccia di gas (Volkswagen ha aperto le danze)  e la mancanza di materie prime, buona parte delle intenzioni palesate a Bruxelles potrebbero infatti tornare in discussione. Tra l’altro, nel 2024 la palla passerà al nuovo Europarlamento e alla nuova Commissione Ue. In gioco, inoltre, proprio in virtù della conversione forzata all’elettrico della manifattura, è il destino di tante imprese e famiglie. E se fino a prima delle dimissioni di Mario Draghi, c’era un ministro (Giancarlo Giorgetti) che diceva una cosa e l’altro (Enrico Giovannini) il contrario – con Roberto Cingolani nel ruolo di «battitore libero» – nel nuovo Governo la linea da seguire si preannuncia condivisa, realistica e non ideologica.

A tu per tu con Tavares: tre domande (con risposte) al capo di Stellantis

Delle sei domande che mi ero preparato da rivolgere a Carlos Tavares, ad di Stellantis, ne sono andate a segno tre, oltre le mie aspettative. L’incontro con il top manager portoghese, all’Heritage Hub di Mirafiori, proprio all’interno dello storico polo industriale Fiat torinese, è stato molto interessante e soprattutto esaustivo. Tavares ha risposto puntualmente alle mie e alle altre domande dei colleghi. Ma quello che più mi ha soddisfatto è che alcuni suoi punti di vista rispecchiano – e lo dico senza alcun problema – una serie di mie riflessioni sul dibattuto tema di una transizione energetica verso il “tutto elettrico” che le autorità Ue hanno impostato male e stanno pure gestendo male.

 

Un esempio per tutti: spesso nei miei commenti ho sottolineato come nel dare il via a questa campagna che nel 2035 dovrebbe portare al “tutto elettrico” sulle strade, con il progressivo abbandono delle motorizzazioni endotermiche (sarà poi veramente così?), il decisore di Bruxelles ha ragionato e agito alla rovescia, in pratica costruendo un palazzo partendo dal tetto per poi arrivare alle fondamenta. Tavares, in proposito, ha invece indicato la sequenza logica che si sarebbe dovuta applicare: prima la messa a punto di un piano ad hoc per produrre energia da fonti pulite, quindi la capillarizzazione della rete di infrastrutture di ricarica e, alla fine, i servizi alla mobilità.

 

Altro aspetto rilevato dal top manager, che pure sta investendo miliardi e miliardi come Stellantis nella mobilità elettrica (una imposizione politica e non una scelta di matrice industriale) riguarda l’esigenza di rendere accessibile a tutti questo nuovo corso, a partire da una transizione in direzione dell’elettrico che passi attraverso la massiccia diffusione di veicoli ibridi (mild hybrid) a beneficio anche del parco circolante (-50% le emissioni di CO2 grazie a questa tecnologia) e, ovviamente, alle capacità di spesa di una platea sempre più in difficoltà a causa delle crisi internazionali e le pesanti ripercussioni sulle bollette e i costi in generale. Sulla transizione green (“ci vorranno 20 anni per passare dal fossile all’elettrico e 10 per aver un sistema adeguato di infrastrutture”) l’ad di Stellantis ha ricordato come “da tempo ripeto ai governi che non si può danneggiare il diritto alla mobilità, impedendo l’accesso della classe media all’acquisto di nuove auto elettriche”.

 

Da non tralasciare assolutamente, poi, il problema Cina. “La produzione di batterie è direttamente collegata ai prezzi delle materie prime che sono molto volatili – ha affermato Tavares – e questo si trasferisce sui listini delle auto. Il prezzo di vendita dei veicoli elettrici cinesi, che stanno arrivando in Europa, può essere un fattore positivo per i consumatori, ma anche un forte rischio per noi europei, ecco perché bisogna lavorare sull’accessibilità”.

 

Infine, la mia richiesta di approfondire la decisione di far uscire Stellantis da ACEA, la “lobby” dell’auto europea: “Quando sono stato presidente, le autorità europee non ci ascoltavano ed era una loro scelta. Non ho risorse e tempo per parlare con chi non ascolta, preferisco rivolgermi direttamente alla gente”. Una sorta di bocciatura, la risposta al mio quesito, dell’azione svolta finora da ACEA. E Tavares non ha tutti i torti.

Milano e i divieti: tocca alle auto Diesel Euro 5

È paradossale, ma ormai ci abbiamo fatto il callo, che una maggioranza che si proclama di sinistra e “democratica” dal nome del suo partito “locomotiva”, si comporti in modo da rendere sempre più difficile la vita ai cittadini dei ceti sociali medi e a quelli più in difficoltà (che dovrebbero essere in cima alla lista delle priorità) e basi oggettivamente il suo consenso grazie alle fasce radical chic.

Guardiamo, per esempio, ai cosiddetti Ferragnez e ai loro recenti comportamenti che sposano proprio questa sinistra radical chic. E’ facile e strumentale dalla posizione privilegiata in cui si trovano: gli appezzamenti illusori di chi li segue sui social non fanno altro che arricchirli ulteriormente. Pazzesco.

Una delle ultime iniziative controproducenti per chi deve utilizzare la macchina per entrare a Milano e recarsi al lavoro, accompagnare i bambini  a scuola o un parente a fare una visita, riguarda il divieto di circolazione nell’Area B (quindi le porte della metropoli, dal prossimo 1 ottobre, ai veicoli Diesel omologati Euro 5, nonostante siano piuttosto recenti e – come leggerete più avanti – vengano considerati virtuosi dal punto di vista ambientale.

Nei giorni scorsi, a una conferenza stampa alla quale ho partecipato, era presente anche il sindaco di Milano, Beppe Sala. Un’occasione ghiotta per fargli presente i problemi che la sua amministrazione sta creando – limitandoci all’aspetto della mobilità – a migliaia di cittadini tra parcheggi in continuo ridimensionamento, piste ciclabili pericolose e mal disegnate, carreggiate sempre più strette con i conseguenti rallentamenti del traffico, monopattini che sfrecciano sui marciapiedi e abbandonati ovunque. E ora lo stop alle auto Diesel Euro 5. 

Ecco il mio botta e risposta con Sala e, a seguire, il parere di un esperto sul divieto che sta per entrare in vigore.

Sindaco Sala, conferma il divieto di accesso all’Area B ai veicoli Diesel Euro 5 a partire dal prossimo 1 ottobre? “Tutto confermato”. Ribatto: ma in questo caso si discriminano tanti cittadini: non è giusto. E Beppe Sala: “Che non sia giusto è una sua opinione e la posso anche rispettare, ma rimane il fatto che abbiamo sempre chiarito ai cittadini milanesi, sia a chi mi ha votato sia a quelli che non mi hanno votato, che la transizione ambientale è fondamentale e stiamo cercando di portarla avanti, a nostro giudizio, con buon senso; un passaggio che vede impegnate le grandi città. Lascio le polemiche a chi vuol farle. Questo blocco non è una sorpresa, lo avevo dichiarato un anno fa e proseguo su questa strada”.

Scusi, sindaco – incalzo – e chi non può permettersi di cambiare la macchina e non può farne a meno per varie ragioni? La non risposta di Sala: «E cosa fanno i milanesi che respirano male? E quelli che chiedono un cambiamento a livello di profilo ambientale? I diritti sono di tutti, per cui l’amministrazione comunale lo ha detto e lo farà e lascio a Matteo Salvini le sue polemiche anche un po’ sterili…». Ma cosa c’entra Salvini – ribatto ancora -: la gente è stata spinta a comprare vetture Euro 5 usate e poi si vieta loro di circolare… Visibilmente infastidito, Sala taglia corto: “L’ho detto, andiamo avanti, nessuna novità”.

A Sala e ai suoi illuminati assessori e collaboratori risponde un esperto in materia di carburanti e impatto ambientale. “Bloccare la circolazione di tutte le auto Diesel Euro 5 – la precisazione dell’esperto – è profondamento sbagliato. Lo stato della qualità dell’aria a Milano è in costante e continuo miglioramento e tale situazione è legata soprattutto alla progressiva penetrazione nel parco auto circolante proprio di vetture Euro 5 ed Euro 6. Infatti – aggiunge l’esperto – i dati di emissione estremamente bassi o prossimi allo zero, soprattutto per il particolato delle auto Diesel Euro 5 ed Euro 6, non contribuiscono minimamente alle concentrazioni di inquinanti nell’aria che sono invece imputabili alle vetture e ai veicoli pesanti più vecchi, agli impianti termici e a quelli industriali. Anche le emissioni non allo scarico rivestono un ruolo importantissimo sulla concentrazione delle polveri. Sugli NOx, inoltre, i Diesel Euro 5 presentano decisi miglioramenti rispetto alle precedenti motorizzazioni, di fatto annullando il loro contributo alle concentrazioni nell’aria di questo inquinante”.

La sintesi finale: “La scelta del Comune di Milano dà un segnale ai consumatori totalmente sbagliato, generando una notevole incertezza che di fatto blocca il ricambio del parco veicoli in circolazione che, invece, è alla base proprio dei miglioramenti riscontrati negli ultimi anni”.