Guidare elettrico: promossa l’auto, ma il resto è una vera odissea

Vengo astiosamente dipinto come nemico delle auto elettriche, alla pari di vero “hater” di questa tecnologia solo perché esprimo, e mi onoro di essere stato tra i primissimi a farlo, le mie non poche perplessità sull’efficacia della volontà dell’attuale Commissione UE (finalmente agli sgoccioli del mandato) di farci comprare solo auto elettriche dal 2035.

 

Nel ribadire le mie riserve – e mi fa piacere che via via sono sempre più numerosi a pensarla allo stesso modo – confermo il fatto di essere a favore del principio meglio noto come “neutralità tecnologica” in direzione della decarbonizzazione e dell’abbattimento delle sostanze inquinanti.

 

Quindi, bene l’elettrico, ma altrettanto bene le altre soluzioni disponibili e, magari, anche meglio capaci di far raggiungere gli obiettivi “green” prefissati. In questo ambito, però, il consumatore deve essere lasciato libero di fare la sua scelta. Sarà anche vero che entro il 2035 il sistema delle colonnine di ricarica potrà essere via via migliorato, ma guardando all’oggi, la situazione resta disarmante.

 

A dimostrazione che non sono allergico alle auto elettriche, ne sto guidando una in questi giorni (e non è la prima volta): si tratta della Nissan Ariya, crossover coupé della Casa giapponese accreditato di oltre 500 chilometri autonomia (nel depliant si parla di soli 30 minuti per arrivare ad almeno 300 km disponibili in un punto di rifornimento rapido).

 

Che dire? Sinceramente una gran macchina: bella fuori e dentro, abitacolo avveniristico, spazio, comfort, connettività perfetta, prestazioni notevoli. Insomma, in generale promossa a pieni voti. Mi è stata consegnata con poco meno di 400 chilometri di autonomia e ho potuto viaggiare avanti e indietro per e da Milano tre/quattro volte (percorrenza complessiva giornaliera di una novantina di chilometri). Tutto bene, dunque.

 

Premetto che risiedo in una cittadina di 10mila abitanti scarsi, a meno di 50 chilometri da Milano, dove esistono solo tre colonnine di ricarica elettrica: una di Enel X a ridosso di un importante complesso ricreativo e due nel parcheggio di un supermercato. Stop. Premetto anche che non dispongo di “wall box” nel mio garage e non penso proprio di installarne una in quanto una vettura elettrica, visto dove abito e viste le mie esigenze, non mi serve. E lo stesso vale una vettura ibrida plug-in (confesso che quando mi capita di utilizzarne una non ho mai fatto ricorso all’opzione “full electric”).

 

Ma veniamo al dunque: i problemi arrivano quando ti accorgi che che sei arrivato al 20% di autonomia disponibile, in pratica una novantina di chilometri prima di rimanere a piedi. Urge provvedere alla ricarica. Mi reco alla colonnina Enel X con tanto di tesserino, ma niente da fare. Morta. Opto, quindi, per le due colonnine nel piazzale del supermercato (nelle ore di chiusura vengono disattivate).

 

Allaccio il cavo, mi accerto che la ricarica sia in atto e mi propongo di tornare a ritirare la macchina qualche ora dopo. E così faccio: torno dopo quattro ore e mi accorgo che la ricarica effettuata è di meno del 10%. L’autonomia è salita a 110 chilometri. Mi girano i santissimi e il sistema della Nissan mi avverte che sono disponibili altre infrastrutture in paesi vicini, a 5 chilometri e oltre. E, ovviamente, nella città più facilmente raggiungibile, a una ventina di chilometri.

 

Quindi, sarei dovuto andare nel paese più vicino e magari constatare che si tratta dello stesso tipo di infrastruttura “lumaca” o che la colonnina sia fuori uso. E intanto l’autonomia scende. Quindi, l’alternativa è dirigersi in città (con il rischio di esaurire l’energia), lasciare la macchina in ricarica e passare qualche ora a zonzo come se ciascuno di noi avesse tempo da perdere.

 

Insomma, bella macchina, promossa a pieni voti, ma il resto è un disastro, almeno per chi non risieda in una metropoli o disponga di una ricarica domestica, ma anche qui (i condomini) non è poi tutto così semplice. La scocciatura resta sempre, almeno fino a quando non ci saranno sistemi di ricarica a sufficienza, facili da utilizzare e in grado di fare il pieno di energia nello stesso tempo del rifornimento di carburante. Ecco perché, come auto personale, ho scelto un’auto ibrida rigorosamente senza la spina.

 

“Gretini”scatenati: auto imbrattate, gomme a terra. MIMO e Motor Valley Fest avvisati

E ora tocca alle automobili essere imbrattate dai “gretini” dell’ambiente. Dopo opere d’arte e monumenti, la furia “green” si scaglia contro le automobili e ciò avviene, guarda caso, in concomitanza con la riemersione di Greta Thunberg (ma non aveva detto che si sarebbe ritirata per proseguire gli studi? Si vede proprio che punta a fare carriera nella politica).

La ventenne svedese, tra l’altro, è capace di protestare nel Continente con meno problemi di CO2 in assoluto, ma resta sempre ben lontana dal presentarsi al cospetto dei big dell’inquinamento, come i cinesi, o di reclamare contro i danni incalcolabili all’ambiente causati dalla guerra in Ucraina. È più facile farsi ritrarre “sorridente” al fianco di Ursula von der Leyen e di Frans Timmermans, il vicepresidente della Commissione UE “folgorato” dall’auto elettrica, piuttosto che rischiare un viaggio da Xi Jinping a Pechino o da Vladimir Putin a Mosca.

Comunque, “coraggiosissima” Greta a parte, la verità è che cartelloni pubblicitari di Case automobilistiche sono stati danneggiati in diverse città d’Europa per evidenziare l’impatto ambientale del settore.Tra l’altro, fino al 22 gennaio si tiene a Bruxelles il Salone dell’auto, uno dei pochi che è riuscito a sopravvivere: un’occasione ghiotta per inscenare proteste e azioni dimostrative.

“Tutti i veicoli di grandi dimensioni che stanno promuovendo sui cartelloni pubblicitari della città non menzionano l’impatto che hanno sul clima. Quindi è abbastanza semplice capire perché stiamo facendo questo! Vogliamo dirottare l’attenzione non sulle auto, ma su un problema serio”, affermano gli attivisti di “Extinction Rebellion”. E in segno di protesta sono stati affissi “contro-cartelloni” pubblicitari in diverse capitali europee.

Tante azioni dimostrative, ma zero proposte, se non creare problemi, disordini e intralci. “Dobbiamo agire adesso perché non abbiamo più tempo. L’umanità è minacciata da un evento senza precedenti nella storia. Se non affrontiamo immediatamente la situazione, saremo catapultati nell’ulteriore distruzione di tutto ciò che ci sta a cuore: questa nazione, i popoli che la abitano, gli ecosistemi in cui viviamo e il futuro delle generazioni a venire”: ecco il ritornello che si ode da più parti e che punta ad azzerare le economie mondiali in nome di un ambientalismo demagogico e manovrato da interessi che prima o poi verranno a galla.

Nei mesi scorsi, a Parigi, sempre in occasione del Salone dell’auto, gli stessi attivisti di Extinction Rebellion avevano macchiato di una sostanza nera le Ferrari esposte. E ancora, 900 Suv, tra Stati Uniti ed Europa, sono stati trovati con le gomme a terra dai rispettivi proprietari. “Sono veicoli altamente inquinanti e inutili per città”, lo slogan in quella occasione.

Senza dimenticare il “colpo” messo a segno di recente a Milano. Nel mirino di questi personaggi è finita la preziosissima Bmw M1 firmata da Andy Warhol, un’opera dal valore di circa 10 milioni, sporcata con 8 chili di farina all’interno della Fabbrica del Vapore dove era esposta.

La protesta, dunque, monta ed è proprio il caso che gli organizzatori dei prossimi eventi motoristici in Italia – MIMO e Motor Valley Fest – in primis, prendano gli opportuni accorgimenti. Manifestazioni “contro”, in quelle occasioni, non sono da escludere. Aprire un dialogo con questi attivisti non è facile (non sentono ragioni), ma i due appuntamenti potrebbero essere un’occasione per farlo. Tentar non nuoce.

Caro carburanti e “influencer” della politica: sulle accise falsità, si chieda scusa

Ipocrisia e mistificazione fanno ormai parte di un certo mondo della politica italiana. C’è infatti chi si improvvisa “influencer” e diffonde fake con il chiaro fine di far indignare i cittadini e, in questo modo, (ri)portarli dalla sua parte. Un’offesa per gli italiani che, in questo modo, si tenta di far passare alla stregua di sprovveduti e disinformati. L’effetto boomerang, per questi politici, sarà inevitabile e meritato.

L’ultimo caso riguarda il tema delle accise sui carburanti che il precedente Governo guidato da Mario Draghi aveva deciso di ridurre temporaneamente nel pieno della crisi energetica e della conseguente impennata dei prezzi. Ridurre provvisoriamente, ovvero “scontare”, cioè una misura temporanea per poi tornare allo stato dell’arte.

Il nuovo Governo capeggiato da Giorgia Meloni non ha fatto altre che confermare il limite temporale prestabilito da chi era stato prima a Palazzo Chigi, ex Esecutivo di cui hanno fatto parte anche coloro che ora gridano alla scandalo per una misura approvata anche da loro. Bisogna essere chiari.

Quindi è una falsità gravissima affermare sui social, in continuazione, che il Governo Meloni ha aumentato le accise sui carburanti, affermazioni offensive per i diretti interessati e soprattutto nei confronti dei cittadini.

È vero che il problema delle accise, così come composte e per il peso che – tassa sulla tassa – hanno sui prezzi, ma è pur vero che, andando a memoria, non c’è stato un premier che nei suoi discorsi abbia parlato di provvedimenti per risolvere la questione e di metterci seriamente mano. Infatti, non si è mossa una virgola. Personalmente, saranno almeno 30 anni che ne sento parlare. Mi chiedo solo se a sospendere lo sconto sulle accise fosse stato un altro Governo, avremmo assistito a tutti questi attacchi pretestuosi

Unica cosa positiva delle polemiche di questi giorni è che qualcosa forse si sta muovendo. In particolare, il Governo ha stabilito che “in presenza di un aumento eventuale del prezzo del greggio e, quindi, del relativo incremento dell’Iva in un quadrimestre di riferimento, il maggiore introito incassato in termini di imposta dallo Stato possa essere utilizzato per finanziare riduzioni del prezzo finale alla pompa”. Inoltre, buoni benzina esentasse sino a fine anno.

Ritengo comunque fondamentale che chiunque si appresti ad assumere ruoli istituzionali di peso, a qualsiasi schieramento appartenga, eviti di promettere o parlare di cose che risultano in seguito di difficilissima se non impossibile, almeno nell’immediato, attuazione.

L’accisa è una imposta sulla fabbricazione e sulla vendita di prodotti di consumo, come la benzina, il Diesel e il gas da autotrazione. Ed è applicata  in tutto il mondo, anche se con modalità e percentuali che variano da Paese a Paese. Ecco le 16 voci che fanno parte dell’elenco delle accise sulla benzina e gasolio.

 

Finanziamento della guerra d’Etiopia del 1935-1936.

Finanziamento della crisi di Suez del 1956.

Ricostruzione dopo il disastro del Vajont del 1963.

Ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze del 1966.

Per la ricostruzione dopo il terremoto del Belice del 1968.

Ricostruzione dopo il terremoto del Friuli del 1976.

Ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980.

Finanziamento della missione in Bosnia del 1996.

Rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004.

Acquisto di autobus ecologici nel 2005.

Per far fronte al terremoto dell’Aquila del 2009.

Finanziamento alla cultura nel 2011.

Per far fronte all’arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011.

Per far fronte all’alluvione che ha colpito Liguria e Toscana nel 2011.

Ricostruzione dopo il terremoto in Emilia del 2012.

Per il decreto “Salva Italia” del 2011.

 

Secondo l’ultimo monitoraggio del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, la somma di imposte (Iva) e varie accise, ammonta addirittura al 58,2% del prezzo che si paga per la benzina e al 51,1% di quello del Diesel.

Il 30/1 ad Abano Terme faccia a faccia con il ministro dell’Ambiente

 

 

Prendo lo spunto delle ultime dichiarazioni sul tema automotive del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, per invitare gli amici che mi seguono su il Giornale”, su #FORUMAutoMotive e tutti coloro che sono interessati alla transizione del settore verso una mobilità più sostenibile, anche dai punti vista economico e sociale, a partecipare alla “Festa dei lettori del Giornale”, in programma all’hotel Mioni Pezzato di Abano Terme, dal 30 gennaio al 5 febbraio prossimi. Proprio il 30 gennaio, infatti, avrò il piacere, insieme al collega Marcello Zacché, caporedattore Economia, di intervistare il ministro Pichetto ampliando il dibattito anche alla platea dei presenti. A fare gli onori di casa sarà il direttore Augusto Minzolini. Numerosi gli ospiti-relatori attesi, tra i quali il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che è stato per anni capo della redazione romana del quotidiano.
Per maggiori informazioni e prenotazioni si può chiamare il numero 0498668377 oppure scrivere a info@hotelmionipezzato.it.

 

Solo auto elettriche dal 2035? Pichetto è per la neutralità tecnologica

 

Anche il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, interviene sul tema della mobilità futura e della volontà dell’UE, ora come ora, di far produrre e vendere solo auto elettriche dal 2035. In scia alle dichiarazioni del premier Giorgia Meloni, che sull’argomento ha detto di voler dare battaglia a difesa dell’industria automotive, Pichetto ha pure affermato come debba prevalere “una certa flessibilità” nel processo di elettrificazione del settore auto che va accompagnato nella sua trasformazione.

 

L’intervento del ministro, che all’epoca del governo a guida Mario Draghi, nella sua funzione di viceministro dello Sviluppo economico, è stato “l’uomo automotive” dell’allora capo del MISE, Giancarlo Giorgetti, parlando a Radio 1 si è detto convinto che “ci sarà il superamento degli attuali motori di origine fossile”, anche se nel breve termine siamo convinti che serva un po’ di flessibilità, da un lato normativa, mentre dall’altro occorre accompagnare il settore sul fronte della produzione.” 

 

L’Italia – ha quindi puntualizzato riferendosi alla neutralità tecnologica – con le sue imprese è in grado di offrire anche possibilità di carburanti alternativi, si tratta di seguire la scelta e accompagnare il cambiamento”. Per poi ricordare che “sull’automotive nel Paese sono impiegate 100mila persone direttamente e oltre un milione con tutto l’indotto. Da qui l’esigenza di accompagnare un cambiamento di pelle. E il tutto deve andare al passo con il cambiamento che stiamo vivendo, adeguando anche la data, fermo restando l’obiettivo di abbattimento delle emissioni e di completa neutralità al 2050”.

 

Un discorso, quello di Pichetto, basato sulla realtà dei fatti. Del resto, la piattaforma digitale per la misurazione – vera – delle emissioni di un veicolo messa a punto da UNEM e che svela molte falle nel processo decisionale compiuto dalla Commissione UE, ha messo più di una pulce nell’orecchio in vista della revisione decisiva dei piani “green” europei, legati alla mobilità, prevista entro il 2026.

Sicurezza stradale: bene l’appello di Mattarella, ora si acceleri con i fatti

Le parole del capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel suo discorso televisivo di chiusura d’anno, in tema di sicurezza stradale, fanno ben sperare che il 2023 possa essere l’anno buono per una revisione completa di un Codice della strada vecchio ormai di 30 anni e oggetto – salvo eccezioni,  come l’introduzione della patente a punti e le norme sull’omicidio stradale – di continui “rattoppi”, ma in colpevole ritardo sugli sviluppi della mobilità in generale. Ecco cosa ha affermato il presidente della Repubblica nel messaggio agli italiani, riferendosi in particolare ai giovani.

 

“Parlando dei giovani vorrei – per un momento – rivolgermi direttamente a loro: siamo tutti colpiti dalla tragedia dei tanti morti sulle strade. Troppi ragazzi perdono la vita di notte per incidenti d’auto, a causa della velocità, della leggerezza, del consumo di alcol o di stupefacenti. Quando guidate avete nelle vostre mani la vostra vita e quella degli altri. Non distruggetela per un momento di imprudenza. Non cancellate il vostro futuro“.

 

Grazie, presidente Mattarella. Un appello importante visto che il tema della sicurezza stradale è stato eccessivamente trascurato con le conseguenze drammatiche a cui assistiamo quasi tutti i giorni. Il suo monito non potrà essere ignorato. Nelle scorse settimane il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, intervenendo alla presentazione dell’annuale “Rapporto Dekra” sulla sicurezza stradale, aveva sollevato il problema dicendosi pronto a convocare un “tavolo” specifico, per poi chiedere interventi durissimi per chi si mette alla guida – consapevolmente – in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe, e si renda responsabile di un incidente. Educazione stradale obbligatoria nelle scuole, patente a più livelli e regolamentazione della micromobilità, attraverso il casco obbligatorio, l’assicurazione e la targa di riconoscimento per chi viaggia in monopattino, le altre questioni sulle quali agire.

 

Bene, queste le parole – apprezzate da tutti – ma ora ci vogliono i fatti. Ritardi non sono più ammissibili. Il conto alla rovescia per la messa in atto dei provvedimenti è partito. #FORUMAutoMotive vigilerà attentamente.

Meloni e il no al diktat UE: l’Italia si ribella, gli altri si uniscano

L’Italia, con il suo nuovo Governo, dichiara apertamente guerra alla volontà della Commissione europea di stoppare dal 2035 le vendite di veicoli con motori termici. Un passo importante e coraggioso, quello compiuto dal premier Giorgia Meloni, che ora può fare da battistrada ad altri Paesi del Vecchio continente che aspettavano solo che qualcuno facesse la prima mossa. Bruxelles è avvisata.

 

“Non considero ragionevole la scadenza del 2035 per l’addio ai motori a combustione, che considero profondamente lesiva del nostro sistema produttivo. C’è una convergenza trasversale a livello nazionale e intendo usarla per porre la questione con forza”. Poche, ma ficcanti le parole del premier, e un bravo al collega di “Radiocor” che l’ha sollecitata su questo tema proprio in chiusura della lunga conferenza stampa di fine anno. E che botto!

 

La strada della ribellione è dunque aperta e le frasi di Giorgia Meloni rendono ancora più incisiva la richiesta di UNEM, con il suo presidente Claudio Spinaci, di rivedere i parametri di misurazione delle emissioni dei veicoli, finora calcolate attraverso un metodo incompleto e premiante solo per l’obiettivo che la Commissione UE intende raggiungere: imporre in Europa la sola mobilità elettrica dal 2035.

 

L’attacco del premier italiano si aggiunge alle numerose prese di posizione contro il piano “Fit for 55”, così come è stato presentato e varato. Le voci contrarie crescono e coloro che ritenevano di aver vinto a mani basse, ora cominciano a tornare sui loro passi e a palesare non poco nervosismo

 

Insomma, se Akio Toyoda, ad di Toyota, ha parlato di “maggioranza silenziosa che, all’interno dell’industria automobilistica, non crede che i veicoli elettrici siano il futuro”, ora – grazie a Giorgia Meloni – c’è chi comincia a contestare con veemenza le scelte ideologiche di Bruxelles, oggetto di forti pressioni lobbistiche di vario genere, e a impugnare una decisione che rischia di mandare a gambe all’altra l’eccellenza europea automotive. È solo il primo passo e, come abbiamo detto più volte, la situazione è cambiata: a soffiare forte è il vento del buon senso.

UE, transizione, pressioni, “cose strane”: si comincia a parlarne

Dall’inizio del 2022 a oggi il vento che sembrava spingere senza particolare ostacoli verso la direzione imposta dalla Commissione UE, solo auto elettriche dal 2035, ha cambiato direzione. E da un po’ di tempo soffia in direzione contraria. Inutile negarlo, anche se in tanti ci provano, studi “pilotati” alla mano e tentativi di negare la realtà dei fatti o, per così dire, sminuire quello che che sta accadendo. La teoria del “solo elettrico” per decarbonizzare il mondo vacilla sempre di più: in Italia le vendite di veicoli a batteria, nonostante gli incentivi ancora disponibili, sono di fatto crollate.

 

Si continua a prendere come esempio gli altri Paesi d’Europa, senza però entrare nei dettagli: lasciando perdere quelli scandinavi, è vero che in Germania e Francia la quota di mercato è intorno al 15%, ma si tratta di prime macchine? Chi le acquista sono privati o aziende? E’ ora di fare chiarezza. Intanto, i costruttori sono costretti a investire in questa transizione elettrica dai tanti lati oscuri, spinti da regole dettate frettolosamente e con il paraocchi dalla Commissione Ue, quasi incuranti della revisione di questa materia che la nuova – finalmente – Commissione UE farà nel 2026 dopo che nel 2025, per misurare la decarbonizzazione delle alimentazioni, si farà finalmente ricorso all’intero ciclo di vita del veicolo e non più sulle sole emissioni allo scarico.

 

Era anche ora che UNEM, Unione energie per la mobilità, cominciasse ad alzare la voce (l’avesse fatto con forza prima…) e, presentando la nuova piattaforma digitale che confronta le emissioni di CO2 dei veicoli sull’intero ciclo di vita, ha denunciato, tramite il presidente Claudio Spinaci, che a Bruxelles, ufficialmente, hanno sempre definito molto complicato questo metodo. “La verità – le parole di Spinaci – è che in questo modo verrebbe scardinata l’impostazione ideologica che ha portato alla visione attuale che punta solo sull’elettrico. Non utilizzare uno strumento corretto per valutare le diverse tecnologie è gravissimo: un’omissione che Bruxelles sta compiendo per alterare ciò che dovrebbe rivelarsi una normale evoluzione basata sulla neutralità tecnologia. Dietro tutto c’è una chiara volontà politica. La Commissione soffre di molte pressioni da parte di lobby potentissime”. Meglio tardi che mai, in proposito.

 

L’auspicio, ora, è che questi venti contrari continuino fino ad arrivare una riconsiderazione basata sul principio della neutralità tecnologica. Insieme a quella dell’elettrico, ci sono altre soluzioni che è doveroso considerare, in quanto portano alla decarbonizzazione e all’abbattimento degli inquinanti. I nuovi carburanti, in proposito, già disponibili, utilizzano come “materie prime”, biomasse, scarti, olio di colza e di palma, mentre il passo successivo riguarda i rifiuti. Ci sono poi i carburanti sintetici che annoverano la CO2 tolta dall’ambiente e usata come materia prima. Il problema, in questo caso, riguarda i costi, in particolare dell’idrogeno verde, l’altro componente. La soluzione è quella di investire nella industrializzazione.

 

Insomma, ciò che sembrava una certezza ora lo è molto meno e, sulla transizione “green”, come è stata costruita e imposta, cominciano ad aleggare dubbi e sospetti. A uscire allo scoperto, per per primo, è stato Carlo Bonomi, presidente di Confindustria. “Io mi pongo il tema – ha affermato in un suo recente intervento – se le scelte sull’automotive che abbiamo fatto sono scelte consapevoli di ciò che succedeva o se le abbiamo fatte spinti da pressioni esterne“.

 

Pressioni paventate anche dal presidente di UNEM, Spinaci, in una recente intervista al “Giornale”: “A Bruxelles soffrono di molte pressioni da parte di lobby potentissime. La Cina? Si assistono a cose strane…”.

De Meo (Renault) verso il vertice ACEA: cosa lo attende

(estratto da “il Giornale” del 18/12/2022)

Porte girevoli in ACEA, l’Associazione europea dei costruttori di automobili. Il primo gennaio 2023 toccherà all’italiano Luca De Meo, ad di Groupe Renault, ricevere dal tedesco Oliver Zipse, numero uno di Bmw Group, il testimone della presidenza che vede alternarsi i top manager al volante della Case associate. Contestualmente alla piena operatività di De Meo a Bruxelles, Acea perderà però Stellantis e, negli stessi giorni, anche Volvo. L’uscita di Stellantis, annunciata mesi fa dall’ad Carlos Tavares, è un fatto rilevante visti i numerosi marchi rappresentati. A questo punto, fuori l’intera galassia Stellantis (restano, per l’Italia, Ferrari e Iveco Group) e Volvo, lo sbilanciamento verso i big tedeschi (Volkswagen, Bmw e Mercedes-Benz), che già ora hanno parola in capitolo, sarà ancora più evidente.

Al neo presidente De Meo spetterà, fin da subito, cercare di mantenere gli equilibri interni, nell’interesse di tutti, e soprattutto riportare ACEA nel ruolo di interlocutore primario nei confronti delle istituzioni, la Commissione Ue in testa. Lo stesso Tavares, nel momento in cui ha comunicato l’addio di Stellantis ad Acea, era stato schietto: «Non voglio spendere tempo e risorse in un’associazione che vuole parlare con istituzioni che non ascoltano. Preferiamo fare altre cose con le nostre risorse. Le autorità europee non ci hanno ascoltato e questo è evidente, è stata una loro scelta. Ma se l’Ue non ascolta, allora non ci serve l’ACEA; parlerò direttamente con gli stakeholders. Ad esempio, attraverso il Freedom Mobility Forum», la nuova iniziativa del gruppo presieduto da John Elkann che sarà presentata i primi mesi del 2023.

Acea, inoltre, dovrà fare i conti anche con il venir meno della quota associativa di Stellantis (c’è chi parla di circa 1 milione) oltre a quella di Volvo. La Casa svedese, controllata dal colosso cinese Geely, ha motivato la decisione di lasciare Acea per via delle posizioni completamente opposte sul programma di elettrificazione del mercato automotive voluto dall’Ue. Volvo, infatti, ha già avviato la sua trasformazione in un’azienda in grado di poter contare su una gamma completamente a zero emissioni, mentre ACEA ha avanzato perplessità sulla scelta dell’Ue sul «tutto elettrico» dal 2035, evidenziando i problemi del progetto e le difficoltà nel realizzarlo entro i tempi prefissati.

Un atteggiamento, quello di Acea, che però non è stato incisivo al punto giusto. Del resto, questa associazione ha a che fare, come nel caso di Volvo, con aziende che hanno varato piani strategici tutti impostati sulla decarbonizzazione, ma con modalità differenti. Per non parlare delle pressioni politiche e lobbistiche che subiscono. Dunque, non sarà semplice il lavoro di De Meo. Il futuro presidente di ACEA top manager dovrà prestare anche molta attenzione alle immancabili ingerenze dei cinesi che proprio ora stanno accelerando l’espansione nel mercato europeo.

È vero che la decisione di Volvo, secondo fonti ufficiali, è stata presa a Göteborg, in Svezia, e non dall’azionista di Pechino. Ma è altrettanto vero che la stessa Geely ha un ruolo di grande peso anche all’interno di Mercedes-Benz, e ha appena siglato un accordo con la stessa Renault a guida De Meo: grazie a «Horse», la joint-venture franco-cinese, Geely attingerà dal know how di Parigi nei motori ibridi e alimentati da carburanti alternativi, chiudendo così il cerchio vista la carenze delle realtà asiatiche proprio nelle tecnologie endotermiche.

Transizione all’elettrico e rischi: il senno di poi fa solo arrabbiare

La svolta imposta dalla Commissione Ue verso la mobilità solo elettrica dal 2035, con il contestuale rischio di perdere del tutto l’industria europea dei motori endotermici, continua a incutere timori. Nicolas Peter, direttore finanziario di Bmw Group, in un’intervista al quotidiano finanziario francese “Les Echos”, oltre a sottolineare che “sarebbe un peccato se i produttori europei perdessero la competenza per servire i mercati dei motori a combustione al di fuori del Vecchio continente“, si lamenta anche per le incertezze che pesano sulla scadenza del 2035 per la transizione al tutto elettrico.

 

Peter le manda a dire anche a proposito della normativa sull’Euro 7 appena presentata da Bruxelles, ricordando come, con gli attuali motori Euro 6d, il settore automotive abbia fatto passi da gigante nell’abbattimento delle sostanze nocive.

Lo sfogo del Cfo bavarese – che si aggiunge ad altri – testimonia una volta di più il caos che regna ai piani alti delle Case automobilistiche anche alla luce delle recenti dichiarazioni del commissario Ue al Mercato interno e all’Industria, Thierry Breton. Da una parte, infatti, ipotizza “una clausola di revisione da attivarsi nel 2026 per consentire lo spostamento dello stop ai motori endotermici fissato nel 2035″, mentre dall’altra insiste sull’aspirazione a rendere la transizione un successo, elencando però i non pochi nodi da sciogliere.

 

I cinesi, intanto, ringraziano. Caos, incertezze, lamentele e tardive prese di coscienza in Europa sono, per l’industria automobilistica di Pechino, una manna. La reazione ipotizzabile una volta toccati realmente con mano i problemi (ora siamo solo all’inizio) di questa transizione mal gestita e pilotata da interessi dipinti di “verde”? Semplice, si assisterà al solito patetico scaricabarile. Il senno di poi è inutile. Case automobilistiche, associazioni di categoria e politici pragmatici, invece di assistere passivamente a decisioni prese sulla pelle degli altri, avrebbero dovuto fare la voce grossa prima. 

Diktat elettrico e rischi correlati: in tanti se ne rendono conto solo ora. Perché?

È vero che non è mai troppo tardi, ma è pur vero che se costruttori, associazioni che li rappresentano, sindacati, politici con il buon senso e anche gli automobilisti si fossero dati una forte mossa prima, a quest’ora non si sarebbe qui a lanciare allarmi a tutto spiano sui rischi che il diktat UE sulla transizione verso una mobilità solo elettrica dal 2035, via via che i mesi passano sono sempre più evidenti. Occupazione, listini elevati e non sostenibilità sociale, soprattutto in un momento di grandi incertezze paure come quello che viviamo, sono i temi che a Bruxelles, da parte della Commissione UE, vengono continuamente ignorati.

Per poi arrivare a toccare veramente il fondo, quando uno degli eurocommissari, Thierry Breton, si rende conto del possibile approssimarsi del disastro e mette le mani avanti: “La svolta che porterà ai soli motori elettrici nel 2035, con il contestuale stop a quelli endotermici, potrebbe costare 600mila posti di lavoro“. A parte una quantificazione in eccessivo difetto, verrebbe voglia di chiamare Breton a rapporto e chiedergli dove si trovava quando i suoi colleghi varavano il piano verso il “tutto elettrico”.

L’industria automotive del Vecchio continente rappresenta 2,6 milioni di posti, oltre 13 milioni se si considera tutto quanto ruota attorno: il 6,6% dell’occupazione totale. E in Italia sono almeno 250mila i lavoratori interessati alla trasformazione imposta dall’Ue, di cui 168mila riguardano la componentistica. E solo nel nostro Paese, dai calcoli del sindacato Uilm, rischiano di saltare 120mila occupati, mentre a essere penalizzato di più sarebbe l’indotto, con il 50% degli addetti in bilico.

Ma non contento, il solito Breton si lascia andare anche a un’altra affermazione di “consapevolezza”, ahinoi, gravemente in ritardo: “Nonostante il divieto di vendita di veicoli a combustione interna entro il 2035, nel 2050 ci sarà ancora almeno il 20% di queste auto sulle strade, con il rischio che l’obiettivo del 2035 debba slittare“. Complimenti ancora, eurocommissario Breton, a cui suggeriamo di fornire anche agli altri membri della Commissione UE la ricetta della pozione che lo ha portato a una sorta di ravvedimento.

Almeno, illustre Breton, lei e il resto compagnia di Bruxelles siete al corrente del fatto che l’Europa, la stessa che la vede al “governo”, contribuisce solo per l’8% (e l’Italia per l’1%) alle emissioni mondiali di CO2 (37 miliardi di tonnellate) con India, Cina e Usa pesare per il 50%? E che Cina e India ritengono, inoltre, di raggiungere la neutralità climatica, rispettivamente, entro il 2060 e il 2070?

Di questi giorni, poi, è anche la notizia della nascita a Lipsia, in Germania, di un’alleanza delle Regioni europee per affrontare e ridiscutere, con una strategia comune, la condanna a morte decisa da Bruxelles dei motori a benzina e Diesel nel 2035. Si chiede, in un documentato presentato anche alla Commissione UE, l’avvio di un meccanismo europeo a sostegno di una transizione giusta ed equa delle produzioni del settore automotive, tenendo bene in considerazione gli effetti sui distretti produttivi nelle regioni.

Meglio tardi che mai, ma sempre tardi. Come sempre e purtroppo per noi.