Camion e bus: perché il diktat UE preoccupa la filiera

 

La proposta di revisione del Regolamento europeo sulla  riduzione delle emissioni di CO2 dei veicoli industriali (EU 2019/1242) avanzata lo scorso 14 febbraio dalla Commissione europea inasprisce notevolmente il target già fissato al  2030 (da -30% a -45%) e prevede target decisamente ambiziosi per il 2035 (-65%) e per il 2040 (-90%), destando preoccupazione nella filiera produttiva del comparto. E’ infatti molto difficile, se non impossibile, sviluppare in così pochi anni – appena sette  in riferimento all’ obiettivo del 2030 – soluzioni tecnologiche in grado di dimezzare le  emissioni di CO2 degli autocarri, mezzi da lavoro che hanno caratteristiche tecniche  diverse dalle autovetture e, soprattutto, una grande varietà di allestimenti e di missioni.

 

Pur apprezzando l’inclusione dei motori a combustione interna alimentati a  idrogeno, l’obiettivo per il 2040 mina il principio di neutralità tecnologica, che  risulta invece fondamentale per salvaguardare e valorizzare competenze già esistenti nell’industria automotive europea, mitigando gli impatti sociali della transizione  energetica. Solo introducendo nel regolamento un meccanismo di contabilizzazione dei  benefici apportati dall’utilizzo dei carburanti rinnovabili, sarà possibile favorire una  rapida e sostenibile decarbonizzazione del settore.

 

Desta forte preoccupazione anche la scelta della Commissione di introdurre un obbligo di vendita per i costruttori di autobus urbani che, a partire dal 2030, potranno essere solo a zero emissioni. E’ indispensabile creare le condizioni abilitanti per centrare l’obiettivo: un adeguato  sviluppo della rete infrastrutturale – ACEA, l’Associazione europea dei costruttori di  autoveicoli, stima che già per raggiungere il nuovo target al 2030 siano necessari in UE  almeno 50.000 punti di ricarica pubblici per gli autocarri, di cui 35.000 a elevate performance e almeno 700 stazioni di rifornimento di idrogeno – misure strutturali di  incentivazione all’acquisto dei mezzi a zero emissioni, una politica energetica che  permetta di generare energia elettrica e idrogeno al 100% da fonti rinnovabili e, non  ultima, la sostenibilità dei costi per gli operatori del settore.

 

In definitiva, le tecnologie veicolari rappresentano solo una parte della soluzione per uscire vincitori dalla sfida della decarbonizzazione dei trasporti, che deve necessariamente accompagnarsi a un set di politiche industriali e politiche dei trasporti coerenti e coordinate. 

 

In questo senso, ANFIA ribadisce la necessità di strutturare, a livello nazionale, un piano  pluriennale per il rinnovo del parco circolante autocarri con mezzi a basse e zero emissioni per cui siano previsti stanziamenti coerenti con quanto già messo in opera da  altri Paesi dell’Unione europea. In riferimento al comparto autobus, infine, l’obbligo di vendita al 100% di autobus urbani  a zero emissioni di CO2 a partire dal 2030 sottopone a una forte pressione gli operatori  del trasporto pubblico, chiamati a rivedere i loro piani di investimento e di  infrastrutturazione dei depositi. Potrebbe inoltre innescare un meccanismo di  anticipazione degli acquisti per cercare di ottenere gli ultimi mezzi ad alimentazione  tradizionale. Sicuramente, a livello nazionale, si rende necessario incrementare i fondi  già disponibili per il rinnovo del parco circolante a basse emissioni, che, alla luce dei  rincari delle materie prime e dell’aumento dell’inflazione, sono già insufficienti a raggiungere gli obiettivi prefissati antecedentemente.

 

ANFIA si impegna a dare il proprio contributo alle imminenti discussioni a livello europeo e auspica che con il sostegno del governo italiano, il Parlamento e il Consiglio  dell’Unione Europea, apportino le necessarie modifiche per pervenire a una legislazione che rispetti il principio di neutralità tecnologica e consenta l’accelerazione  della decarbonizzazione del settore in modo sostenibile.

Recommended Posts