Automotive: FIM-CISL vs Governo, cerchiamo di ragionare

Altro che colomba portatrice di “pace”. Proprio nel fine settimana di Pasqua si è infatti aperto un nuovo e inaspettato fronte di guerra, questa volta tra il sindacato FIM-CISL e il Governo. Di fatto, il potente sindacato metalmeccanico ha accusato il Governo Meloni di immobilismo a proposito di transizione automotive, aggiungendo anche – attraverso il segretario nazionale Ferdinando Uliano – che “si stanno finanziando unicamente gli incentivi alla domanda” e che “vengono sottratte risorse per la reindustrializzazione, indispensabili per evitare l’impatto negativo di oltre 75.000 lavoratori nel comparto auto a seguito del cambio delle motorizzazioni”.

Una prima osservazione: fino a pochi mesi fa, questo stesso numero (e anche maggiore, secondo altri) di posti a rischio era addebitato all’imposizione UE di puntare solo al “tutto elettrico” dal 2035, mentre ora la situazione viene ribaltata. Il sindacato stesso, infatti, prende adesso una chiara posizione a senso unico: “I volumi saranno sull’elettrico, quindi occorre muoversi di conseguenza per non perdere il treno dell’innovazione”.

Seconda osservazione: è ingiusto accusare il Governo di immobilismo. E’ vero, invece, che proprio grazie alla forte pressione italiana su Bruxelles (lasciamo da parte il comportamento ambiguo della Germania), la Commissione UE ha riaperto i giochi alla neutralità tecnologica (anche se, per ora, solo ai carburanti sintetici). Cioè, quello che era auspicato da più parti, sempre fino a poco tempo fa. E ora, invece, si afferma che gli eco-carburanti non serviranno a bel niente (sempre Uliano, rispondendo proprio a una mia domanda durante la recente conferenza stampa del sindacato FIM-CISL, sostiene che “il peso di biocarburanti ed e-fuels, rispetto all’elettrico, sarà molto minimo”).

Una cosa è certa: il piano automotive predisposto dal Governo è da rivedere con urgenza: da una parte, guardando a tutti i problemi a cui il settore va incontro tra riconversioni produttive e adattamento anche ai nuovi carburanti (perché svilire subito questa importante possibilità?); dall’altra, come sostiene a giusta ragione il ministro Adolfo Urso, adoperarsi per svecchiare il parco circolante, venendo incontro a chi ha la necessità di cambiare auto, ma non riesce a farlo per i listini esagerati (“Chi acquista un veicolo elettrico di certo non ha problemi economici”, come afferma sempre Urso).

Insomma, nuove fratture nella visione italiana in tema di transizione “green” legata all’automotive, fanno solo il gioco di chi vuole proprio questo, ovvero far naufragare la possibilità – adesso reale – che la decarbonizzazione sia raggiunta con più soluzioni.

È vero che i costruttori di veicoli stanno investendo sull’elettrico montagne di miliardi, ma è pur vero che, alla fine, è sempre il mercato a dire l’ultima parola. E fino a che si continueranno a pubblicizzare sui vari canali soprattutto auto elettriche che costano 60-70-80mila euro, la strada non può che essere sempre più in salita.

A proposito, l’imminente Salone dell’auto di Shanghai proporrà tanti nuovi modelli elettrici – cinesi – a prezzi assai competitivi. Ne vedremo delle belle. 

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